Non è un lavoro particolarmente studiato o rimuginato nel tempo, le undici tracce che troviamo in questo secondo disco nascono direttamente dall'impegno portato in breve tempo in studio dal supergruppo, completato da Craig Blundell (Steven Wilson) e John Beck (It Bites), quest'ultimo stavolta nei panni di special guest. Il risultato è inevitabilmente una raccolta di tracce abbastanza slegate, ispirate da una combinazione tra i concetti volteriani di morte e libertà di parola e prodotte in una direzione prettamente album-oriented, ma non per questo prive dell'impronta digitale dei talentuosi autori. In primis quella dello stesso, naturalmente centrale nel sound del progetto e presto identificabile, oltre che nel timbro vocale, nel suono caldo e blueseggiante della sua chitarra, che non attende a farsi sentire a suon di assoli e riff corposi a partire dalle opener "Radio Voltaire" e "The Dead Club". In questo modo si giunge presto ad un risultato pomposamente hard rock, nel quale la figura di guitar hero di Mitchell emerge in maniera naturale, non senza tirare leggermente la coperta agli altri membri della band.
Le componenti prog sono comunque presenti e non limitate agli sporadici pezzi a tempo dispari, le influenze art rock di Marillion e Porcupine Tree si fanno talvolta vive in elementi come i sintetizzatori e il basso, del quale troviamo addirittura un assolo nella parte centrale di "Out Of Time". Il tutto però è intervallato da qualche pezzo di cui non si sentiva esattamente la necessità. La ballata di voce e pianoforte in "Idlewild" è un esempio abbastanza indicativo di banalità e piattezza, nemmeno parente di "Keep The Faith", costruita sulla stessa base, ma abbondantemente sopra per dinamismo e godibilità.
Godibile. Questo potrebbe essere un aggettivo che si presta bene nella definizione di "Radio Voltaire". La qualità certo non manca, ma, d'altronde, non può essere l'unico metro di giudizio per un album che nasce dall'impegno di musicisti di questo livello. Quello che si ha la sensazione di non afferrare a pieno è, invece, il senso dell'intero lavoro, per niente legato da logiche musicali forti e a tratti a rischio di limitarsi al mero sfoggio di invidiabilissima tecnica. "Radio Voltaire" è immediatamente accessibile, orecchiabile, per tratti accattivante e per altri monotono, ma sicuramente disomogeneo, tanto da apparire come un assemblaggio di alcune tracce effettivamente in stile Kino con altre inequivocabilmente riconducibili all'ultima fatica di Mitchell sotto l'alias di Lonely Robot, dal quale verosimilmente provengono. Insomma, se questo ritorno dei Kino merita la sufficienza anche e soprattutto in virtù delle sue già discusse qualità di dinamismo e godibilità, certo questa sufficienza non si può definire ampia e non ci si può dire pienamente soddisfatti soprattutto in quanto a compattezza e solidità del lavoro.