Rishloo
Living as Ghosts with Buildings as Teeth

2015, Autoproduzione
Prog Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 17/02/15

Ci avevano fatto credere di essersi sciolti e di essere sostanzialmente scomparsi nel nulla, tra screzi insanabili col leader Andrew Mailloux e progetti paralleli dai nomi improbabili ("The Ghost Apparatus") che pubblicavano più grafiche digitali e roboanti annunci che frammenti di vera musica. E invece no, i Rishloo c'avevano gabbati: non hanno reso vane per sempre le speranze di tanti amanti del prog più alternative e affilato, che anni fa trovarono come oggetto della propria passione quegli ammassi di romantici, acutissimi deliri vocali e chitarristici che erano "Feathergun" o ancora prima "Eidolon". Gustandosi tutti i loro dettagli notevoli ma senza dubbio perfettibili, nell'attesa di quel disco impeccabile che si supponeva che sarebbe dovuto arrivare, ma non si sapeva ancora quando.

Ebbene, il disco perfetto però non è neanche "Living As Ghosts With Building As Teeth", malgrado cinque anni di indubbia maturazione, malgrado un'apertura stilistica maggiore che in passato, malgrado una produzione che questa volta ha il buon cuore di risparmiare qualche bassa frequenza da un impietoso falcidiamento. Perché i Rishloo hanno ancora una certa ingenua tendenza a strafare, ad eccedere con i loro proverbiali giochi di contrasti, accelerazioni, mutilazioni di strutture melodiche e cose strane alla chitarra clean: e quando da estemporaneo colpo di tecnico genio la cosa diventa quasi una regola, a uscirne irrimediabilmente lesa è tanto la ricordabilità dei singoli brani (si prenda "Dark Charade": 10.45 minuti di suite il cui tema viene stravolto un numero indefinito di volte), quanto la scorrevolezza e la fruibilità del disco preso come unica entità.

Non a caso la band di Seattle il meglio di sè lo dà quando la musica pare provenire dalle viscere prima ancora che da un'accurata macchinazione. Quando in "Landmines" gli affilati riff circolari e l'amabilmente sgraziata crudeltà delle vocals sminuzzano implacabilmente battute e strofe, lasciandosi dietro un tessuto di fumo e macerie da cui s'innalzano d'improvviso un angelico coro di armonizzazioni vocali e limpide tastiere, e uno stupendo assolo gorgogliante che pare una sorta di futuristica, post-apocalittica rievocazione dell'anima blues. O quando, su "Just a Ride", si imbastiscono crescendo vocali dall'incredibile epicità su versi di giusto un paio di parole, togliendosi lo sfizio d'interrogarsi sullo scopo stesso della musica ("Is this the cause, for causing choruses to erupt in front of stages in the dark?") in ritornelli d'estrema musicalità e dolcezza. In fondo quelli di "Living As Ghosts With Building As Teeth" sono i pregi e i difetti che può avere la buona poesia nei confronti della solida prosa: smettere di stupire -e in casi di più bassa sopportazione, anche cominciare ad annoiare- sulla lunga distanza, dare il meglio di sé soltanto a piccole, piccolissime dosi. Ma anche, nell'immediato, far sognare, emozionare, lasciare un segno difficilmente dimenticabile.




1. The Great Rain Beatle
2. Landmines
3. Dead Rope Machine
4. Dark Charade
5. Salutations
6. Radio
7. Winslow
8. Just A Ride

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