Folkstone: Il Confine traccia per traccia
Prima prova d'ascolto per la nuova opera discografica della band bergamasca


Articolo a cura di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 27/02/12
Invitati all’evento speciale dedicato alla consegna in anteprima del nuovo disco dei briganti di montagna orobici Folkstone ai fan che hanno supportato – anche economicamente – la realizzazione dell’opera, noi di SpazioRock abbiamo avuto modo, oltre che di fare un’intervista alla band presto in esclusiva su queste pagine, anche di dare un ascolto approfondito al nuovo “Il Confine”. Eccovi, dunque, le prime, assolutamente non esaustive, impressioni derivanti dall’ascolto del nuovo parto discografico della band bergamasca, un antipasto di quello che vi aspetta da metà marzo in tutti i negozi di dischi.

Il confine: Un arpeggiare mistico ed orientaleggiante ci introduce ad una scarica di chitarre, con un’apertura melodica sul ritornello assolutamente non scontata quanto liberatoria. Le cornamuse sostengono la melodia senza sovrastarla, in questo gioco di epicità trattenuta eppure potente e, per questo, affascinante.

Nebbie: Brano maggiormente diretto, dalla struttura rock, in cui chitarre e cornamuse vanno a braccetto per un brano dall’impalcatura maggiormente regolare strofa-ritornello e, per questo, adatto come singolo, anche se affatto scontato ed immediato quanto i presupposti lascerebbero intendere.

Omnia Fert Aetas: percussioni medievaleggianti sostengono un coro di natura alpina, creando un ponte ideale tra il passato ed il presente delle Orobie. Un brano sicuramente evocativo, che si dischiude lentamente ed in modo assolutamente non invasivo al rock. Un’ottima prova di maturità compositiva da parte della band.

Non sarò mai: Si riprende la struttura più diretta cornamusa-chitarra del singolo “Nebbie”, mentre i testi parlano di libertà individuale e di espressione, su un ritornello di quelli da cantare pugni al cielo in sede live.

Luna: L’arpa e la cornamusa dipingono un affresco notturno, in cui la tipica struttura da ballad metal trova una casa estremamente accogliente. Il testo in bergamasco, poi, contribuisce ulteriormente a far crescere l’interesse attorno ad un altro brano “anomalo” per i Folkstone, ma proprio per questo estremamente interessante.

Anomalus: intermezzo strumentale per cornamuse e percussioni, “Anomalus” è anche l’unica concessione all’atmosfera festosa nel disco, se vogliamo; questo è, tuttavia, un brano che manifesta una gioia antica, medievale, da fiera e giochi nei borghi attorno ad un castello. Lontana, dunque, dalla Taberna in cui i Folkstone solevano alimentare i loro fumi alcolici. 

Storia Qualunque: Di nuovo rock, in cui risalta il gioco in controcanto di Lore, un elemento di cui la canzone è pervasa. Ancora una volta, liriche che esprimono la precisa volontà di manifestare la propria identità.

Frammenti: un’apertura celtica lascerebbe intendere una ballad, che si trasforma subito, però, in un brano rock dove la strofa, meravigliosamente lasciata in mano al basso ed alla batteria, sorprende ed entusiasma. Brano in cui il folk si esprime più che altro nei toni epici del ritornello e nel break di cornamusa, e che trasuda, quindi, una meravigliosa modernità.

Lontano Dal Niente: Altro giro di brano diretto e dal riffing incalzante, in cui un Lore molto feroce arriva a perturbare i bridge di chitarra.

Ombre Di Silenzio: di nuovo l’arpa ad introdurci, con note placide e suadenti, un quadro estremamente tranquillo e contemplativo, in cui la voce di Lore si esprime in un’inedita timbrica sinceramente emozionata. Il ritornello, poi, esplode in un’ode alla morte. Probabilmente, è la prima e vera e propria ballad scritta dai Folkstone, una canzone che tradisce una dolcezza meravigliosa, come quella espressa precedentemente in “Nell’Alto Cadrò”.

Simone Pianetti: una canzone dai toni decadenti ed energici, per affrontare la storia di Simone Pianetti, controversa figura che ha animato la storia delle Orobie. Costruito in crescendo e con ritorni melodici quasi meccanici (come il mulino elettrico del Pianetti), che rendono il brano decisamente efficace per un testo di pura narrazione.

C’è Un Re: cover dei Nomadi che, nelle mani dei Folkstone, assume toni ancora più epici ed incalzanti, pur senza perdere della genuinità della versione originale. Brano che fu quanto mai di attualità nella storia recente dell’Italia ed ottima l’idea di incidere un brano lungamente proposto in sede live dai Folkstone.

Grige Maree: Mid tempo che rappresenta una chiusura d’opera anomala, in quanto affresco sonoro che lascia come un senso di sospensione, una finestra aperta su un paesaggio che va al di là de “Il Confine”…

Al termine dell’ascolto del terzo inciso in studio dei Folkstone, chiara è la sensazione di un’ulteriore maturità acquisita da parte della band bergamasca, un ulteriore allontanamento dalle aspettative iniziali che li voleva “band goliardica da festa della birra a tutti i costi”, e che dimostra che i nostri guerrieri orobici possiedono il talento e l’ambizione necessari per poter tracciare questa linea di confine con assoluta decisione, anche a costo di suonare più complessi e meno diretti. Ulteriori e più approfondite considerazioni riguardo al disco vi attendono prossimamente sulle nostre pagine, insieme a quell’intervista promessa ad inizio articolo.

Vi diciamo, comunque, di prepararvi, perché ne leggerete delle belle…




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