Death SS: la presentazione ufficiale del nuovo album
Per Steve Sylvester e la sua band è tempo di "Resurrection"


Articolo a cura di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 31/05/13
A sette anni dall’ultimo disco di inediti, i Death SS rinascono dalla proprie ceneri con “Resurrection” un disco che, come di consueto, si preannuncia ricco di grandi canzoni e di contenuti tematici. SpazioRock ha incontrato in anteprima Steve Sylvester e il resto della band per uno degli eventi “metallici” più attesi dell’anno. Con la franchezza e professionalità che lo caratterizzano, il leader della band ci racconta i dettagli di questa inattesa “Resurrection”!


A volte ritornano” è una citazione un po’ pacchiana se parliamo dei Death SS. Sarebbe più opportuno dire “bentornati”, perché dei Death SS iniziavamo a sentire un po’ la mancanza. Gli alfieri dello shock rock tricolore, rispettatissimi all’estero e mai troppo in patria, dopo anni di silenzio solo apparente tornano alla luce con un disco nuovo di zecca e di assoluto livello. SpazioRock ha avuto l’opportunità di partecipare al promo day assieme a poche altre testate, un’autentica full immersion gomito a gomito con la band e la sua nuova creatura, che abbiamo ascoltato in anteprima. La cornice dell’evento è uno splendido casolare della campagna Toscana, dove la band ha concepito e registrato “Resurrection” in totale indipendenza e tranquillità. Insomma, mai come oggi i pettegolezzi stanno a zero, con i Death SS la fortuna ci vede benissimo, al punto da regalarci una splendida giornata di sole e una calorosa accoglienza da parte di tutti. I giorni in cui la band concedeva interviste nei cimiteri (celebre quella rilasciava a Beppe Riva della rivista “Rockerilla”, era l’anno 1982) sembrano davvero un lontano ricordo. “Se oggi andassi in giro per cimiteri a concedere interviste la cosa sarebbe patologica. Trent’anni fa eravamo dei ragazzini, la cosa era molto morbosa e se ci pensi anche un po’ malata… Ma era una cosa nuova, siamo stati i primi a fare un certo tipo di shock rock. Ho voluto scrivere la mia autobiografia “Il Negromante del Rock” anche per tirare una riga su determinati fatti riguardanti il passato della band (Steve si riferisce alle accuse di satanismo e violenza sugli animali, ndr). Siamo cinque convinti animalisti, io sono vegetariano, qualcuno di noi è persino vegano, per cui portiamo vanti anche un impegno in questo senso. Oggi tutto è diverso, ma non perché non ci creda più. Pur non rinnegando le mie esperienze, cerco di focalizzarle nel presente e di essere professionale. La passione e la grinta ci sono ancora, ma sono mediate da una professionalità che allora non c’era”.

Sette sono i sigilli che la band ha coniato fino ad oggi, sette gli anni che ci separano dall’ultima prova in studio, ma di risvolti esoterici per una volta non v’è traccia.“Non esiste un ottavo sigillo, “Resurrection” è piuttosto l’inizio di una nuova fase. Non nascondo che la pressione dei fan è stata decisiva. Dopo la celebrazione del trentennale nel 2007 ho seriamente pensato di dare un taglio a tutto. Da un lato un ciclo poteva considerarsi concluso, dall’altro diciamolo chiaramente, in Italia non abbiamo mai avuti non dico dei tornaconti economici, ma almeno qualcosa che ripagasse gli sforzi che ci sono dietro un progetto come quello dei Death SS, che sono davvero tanti. Mi sono preso un periodo sabbatico in cui ho lavorato per il cinema, su progetti solisti e sulla mia autobiografia. Un po’ alla volta abbiamo tirato su queste canzoni che rappresentano una sorta di “best of” di inediti e un motivo valido per farci tornare. Fosse stato un disco mediocre, non saremmo mai tornati”.

“Resurrection” potrebbe essere il disco perfetto per chi si addentra per la prima volta nel mondo dei Death SS. Un full length che sintetizza tutte le sfumature stilistiche assunte negli anni, siano esse moderne, gotiche o metal classico. “Il disco è un’alternanza di situazioni che raccontano la storia di questi anni sotterranei. Ci sono sei canzoni che fanno parte delle soundtrack di altrettanti horror movie indipendenti, mentre le restanti sono ispirate a tematiche esoteriche, in particolare alle opere di Aleister Crowley. Le canzoni toccano generi diversi, parte delle mie influenze arriva fino ai Sisters Of Mercy e al gothic degli anni ‘80. Abbiamo cercato di andare alle radici di quel movimento e allo stesso modo posso dire con un certo orgoglio che “The Song Of Adoration” ha un trademark in pieno stile Death SS che non ha termini di paragone. Abbiamo attinto dai tre input creativi che da sempre caratterizzano la nostra musica: film di genere, in particolare quelli di derivazione anni ’70, la matrice esoterica, i cosiddetti fumetti sexy horror italiani (l’artwork è opera di Targhetti, storico disegnatore di fumetti cult degli anni ’70, ndr)”.

L’ambizione di Steve e della band si misura tutta in questo brano di ampio respiro, sorta di liturgia a cavallo fra gli abissi dell’antico Egitto e atmosfere alla “Eyes Wide Shut”, con la presenza di un’orchestra vera alle spalle. Oltre alla suite, fra i brani di punta citiamo “Dyonisus” (di cui abbiamo visto in anteprima uno splendido video che la band pubblicherà a breve) e “The Crimson Shrine”, due brani dal forte appeal  gotico, capaci di conciliare atmosfera e gusto per la melodia. Tocca a invece Freddy Delirio, tastierista e produttore della band, raccontarci nei dettagli il “making of” del disco:“L’esperienza accumulata negli anni ci ha fatto capire che non avevamo più bisogno di produttori stranieri. Questo ci ha permesso di lavorare senza pressioni, con una certa calma e con il dovuto distacco. Abbiamo registrato i pezzi uno per volta e mi sono poi trovato a lavorare su pezzi concepiti in momenti diversi. Dover riaprire tutto per creare una sinergia fra i brani è un lavoro notevole e che dura più di quanto si pensi, ma che alla fine qualche risultato lo porta. Ci sono delle rifiniture che nelle prime session non erano presenti. Ogni canzone è come il tassello di un puzzle ed è un disco che abbiamo visto crescere giorno dopo giorno”. “Resurrection” è dunque un disco fatto in casa quindi, nell’accezione positiva del termine. In questo senso il ruolo di Freddy in fase di arrangiamenti è stato notevole. “Parliamo in termini tecnici: siamo nel 2013, dall’ultimo disco sono passati sette anni e già allora eravamo in un’era tecnologica assai avanzata. Abbiamo lavorato con strumentazioni che ci hanno dato possibilità incredibili anche solo rispetto a qualche anno fa. Su alcuni pezzi siamo arrivati ad avere fino a centoquaranta tracce, per cui non ci siamo tirati indietro … Ci sono anche pezzi più minimali come ”Ogre’s Lullaby” dove ci sono appena tre tracce, un violino qualche suono di ambiente e il risultato è bello che pronto. Però dove abbiamo potuto osare, lo abbiamo fatto”.

E il tour? “Ci stiamo lavorando. Stiamo preparando uno spettacolo completamente nuovo, ed è un lavoro più lungo e oneroso di quello che potete immaginare. Non abbiamo grossi budget né agenzie alle spalle, per cui dobbiamo smazzarci tutto da soli. Il 16 agosto saremo headliner a questo show in Sicilia. Il tour vero e proprio dovrebbe partire in autunno, ma non è escluso che possiamo anticiparlo all’estate. Per motivi tecnici non possiamo esibirci su palchi piccoli, per cui sceglieremo con cura poche date ma buone. La scenografia al momento è top secret”. Davanti a tanta cognizione di causa, sorge spontaneo chiedersi cosa possa aver impedito alla band di raggiungere il successo su larga scala. “A frenarci è stata la doppia esse del monicker, ma per il resto non ci possiamo lamentare. Negli ultimi anni siamo riusciti a suonare parecchio all’estero, non a caso sempre da headliner, di fianco a gruppi che ascoltavo da giovane come Demon e Wytchfinder e questo per me è sempre stato motivo di soddisfazione. Abbiamo suonato in posti in cui nostri dischi non erano neppure reperibili, quindi tutto è andato avanti solo con il passaparola dei fan, e se ci pensi bene è un fatto incredibile. Il successo dipende da meccanismi particolari, anche i contatti se vuoi, spesso ci siamo affidati a personaggi improvvisati nella loro funzione. Stavoltà sarà la Scarlet Records a distribuire il nostro disco in tutto il mondo. Speriamo in una “Resurrection” non solo artistica ma anche organizzativa”.

Solo due cose fanno arrabbiare Steve Sylvester: una sono le domande circa i suoi rapporti con l’ex collega Paul Chain. “Strano, non me la fanno mai questa domanda! Non vedo Paul da anni, so che ha completamente rinnegato quello che ha fatto, che invita i fan a bruciare i vecchi dischi e che si fa chiamare col suo nome vero. Forse sta facendo qualcosa di musica ambient ma in tutta franchezza non è che la cosa mi interessi molto. Non sono in rapporti né cattivi né buoni, quando mi è capitato di incontrarlo abbiamo anche parlato per ore. Semplicemente non sono in rapporti”.

L’altra sono le continue voci di iattura che girano attorno alla band. Stavolta Steve si è tolto un sassolino dalla scarpa per metterlo, in un certo senso, in musica: Con “Bad Luck” mi sono riproposto di fare una canzone a tutti quelli che dicono che i Death SS portano sfiga. E’ un rock n’roll, una cosa molto diretta rivolta a queste persone. Un divertissement. La classica short song divertente posta in chiusura di disco, in puro stile Alice Cooper”. Intelligente, acculturato e professionale, Steve ha anche un gran senso dell’ironia, e non perde occasione per dimostrarlo ai giornalisti: “Mi raccomando, guai a voi se condividete in rete il promo. Sarete colpiti da un fulmine”. Ma con un sole così, come si fa a credergli? Appuntamento il 6-6-6 (sei giugno 2013 = 2+0+1+3), data di pubblicazione del disco, per l’atteso e gradito ritorno di Steve Sylvester e dei Death SS.


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