SpazioRock presenta: Through Her Eyes #2
Con la scrittrice Costanza Colombo andiamo alla scoperta dei protagonisti dei Concept Album più emozionanti del rock


Articolo a cura di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 02/06/13

“Through Her Eyes” è una rubrica mensile volta all'approfondimento delle principali tematiche di alcuni dei Concept Album più interessanti del panorama rock-metal. Il titolo è sia un tributo a una delle canzoni più evocative di “Scenes From A Memory” celebre disco dei Dream Theater, scelto come primo della serie, che una sorta di sintesi di quello che aspetta il lettore. La rubrica non segue infatti un taglio giornalistico tradizionale, bensì è una sorta di rielaborazione romanzata degli elementi chiave del Concept in questione attraverso lo sguardo dell'autrice.


La seconda puntata è dedicata al concetto di alienazione su cui si basa “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd. Diversamente dal precedente Album, stavolta il filo conduttore non è una trama narrativa bensì il flusso di spontanea emozione che trascina l'ascoltatore dal primo all'ultimo battito (cardiaco), lo stesso che, a detta di Roger Waters, guidò la band nella sua composizione. Egli dichiarò che il fine dell'Album era esprimere la vita nel mondo moderno tenendo conto delle varie influenze che l'individuo subisce durante la propria esistenza. Tali forze esterne sono proprio quelle che spingono ciascuno in una direzione o nell'altra, sia essa l'empatia, la follia o l'avidità. L'aver saputo conciliare temi tanto impegnati, e spesso amari, quali disperazione e disincanto, con l'eterea e positiva leggerezza delle melodie è ciò che ha reso immortale questa pietra miliare del rock.

THROUGH HER EYES #2: THE DARK SIDE OF THE MOON


Tutto ha origine con la nascita, discrimine tra il silenzio che la precede e il caos uditivo che ne seguirà. Tale idea è concretizzata dall'evoluzione sonora del primo brano (Speak To Me) il quale inizia con un battito cardiaco che muta nel ticchettio sempre più insistente degli orologi per poi culminare in un grido. Tale scelta evidenzia subito come tempo e follia siano due delle tematiche centrali del disco. In sottofondo, fa la sua prima apparizione Roger "The Hat" Manifold, uno dei roadie dei Pink Floyd. Durante una delle pause della registrazione, David Gilmour ebbe infatti l'idea di inserire degli interventi di persone esterne alla band per dimostrare come fosse proprio la gente che non viene mai intervistata ad aver da dire le cose più interessanti. Non volendo però inserire una vera e propria intervista, egli scrisse delle domande sul retro di alcune cartoline che poi distribuì ai presenti in studio tra cui si annoverano anche un tal Gerry (il portiere irlandese) e i più noti Linda e Paul McCartney (The Beatles). La presenza di voci esterne alla band è la via più diretta possibile per rendere quel senso di coinvolgimento universale a cui tendeva l'intero progetto. Tema fulcro del concept è l'empatia umana che si realizza quando due persone, seppur estranee, s'incontrano e basta loro uno sguardo per rivedersi l'uno nell'altro, rendendosi conto che condividono in profondità idee, emozioni e sensazioni comuni ad entrambi.

Il secondo brano (Breathe) introduce alle riflessioni su crescita e morte. Il passaggio dall'adolescenza all'età adulta è infatti un tema importante per Waters. In un'intervista riguardante il “Making of di The Dark Side of The Moon” egli dichiara che un giorno venne colpito profondamente dalla rivelazione che infanzia e adolescenza non siano, come si è soliti pensare, fasi di preparazione alla vita successiva, bensì esse stesse vita già vissuta. Inoltre, Waters era dell'avviso che ogni emozione provata in età adulta, gioiosa o dolorosa, sia il prodotto delle esperienze vissute entro i primi sei anni. Egli stesso ha definito puberale l'approccio ai contenuti del disco, arrivando perfino a domandarsi perché nessuno abbia criticato l'elementarità di certi passaggi come ad esempio il verso “Don't be afraid to care”. Ma è proprio la disarmante semplicità, caratterizzante anche il messaggio della canzone successiva (On The Run), a toccare il cuore dell'ascoltatore. La stessa evoca lo stress e l'ansia provocati dal settore moderno dei trasporti, con particolare riferimento alla paura dei Pink Floyd, specialmente di Richard Wright, di morire durante uno dei viaggi del tuor da compiersi in treno e in aereo.

All'improvviso torna il ticchettio gli orologi, effetto sonoro la cui sincronizzazione comportò non poche difficoltà tecniche, dati i mezzi d'allora, e con esso delle considerazioni su come affrontare il trascorrere del tempo (Time). Segue la ripresa del primo brano (Breathe-Reprise).
 The Hat e Clare Torry sono i protagonisti del quinto capitolo (The Great Gig In The Sky). Al primo era stato domandato se avesse paura di morire mentre alla seconda di improvvisare un canto che esprimesse ciò che lei provava al pensiero della morte.

Con il sesto brano (Money) si passa a parlare della brama di successo, dell'avidità e di come il denaro influenzi negativamente l'umanità. A quest'ultima è dedicata la settima canzone (Us And Them) con la quale Waters si riferisce al rapporto che c'è tra la sfera privata e il mondo esterno. Esponente del movimento pacifista fin dall'adolescenza, egli era solito domandarsi se l'umanità fosse davvero capace di comportarsi umanamente. I riferimenti alla guerra presenti nel testo sono dovuti al fatto che esso venne composto da Wright durante la frustrante collaborazione con Michelangelo Antonioni per la colonna sonora del film “Zabriskie Point”, proprio mentre il musicista visionava una delle scene più violente della pellicola.

Settimo gradino della scala verso la luna è un brano strumentale (Any Colour You Like) il cui titolo fa pensare ai famosi giochi di luce che andavano in scena durante gli show della band. A ciò si ricollega l'artwork del disco creato da Storm Thorgerson, recentemente scomparso. Egli spiegò che tre erano gli elementi che voleva mettere in evidenza: la piramide, intesa come simbolo di avidità e ambizione, la brutale semplicità espressiva e appunto lo spettacolo di luci che rendevano unici i concerti della band.

Il songwriting di “The Dark Side of The Moon” è quasi integralmente opera di Waters il quale si trovò a dover sostituire Syd Barrett nel ruolo di autore delle liriche. Quest'ultimo aveva lasciato i Pink Floyd nel 1968 a causa di seri problemi d'insanità mentale (Brain Damage).

Infine, la chiusura dell'Album (Eclipse) non è altro che un sunto di tutto ciò che l'uomo sperimenta e vive durante la sua esistenza. È l'ultima occasione per mettere in evidenza la centralità dell'esperienza umana intesa come insieme di interazioni tra interiorità e mondo esterno.

"There is no dark side of the moon really: la realtà è che è tutta oscura."

Hangar no. 4, 1973



 Il buio è la sala d'aspetto della vita. 

 
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 Poi un battito, un grido e il pulsare dei lampi di luce. Il vuoto esplose al rallentatore proiettandosi in ogni sfumatura di luce e suono. I corpi vestiti di bianco rinacquero nello spettro dell'arcobaleno e i contorni dello spazio acquistarono solidità. 
 “Parlami..” Mormorò la voce cui si sovrappose il trillo di un registratore di cassa e il ronzio di un turboelica. Ritmi d'esistenze artificiali in alienante ripetizione.
 “Rispondi alla mia domanda.” Continuò David facendo cenno a The Hat di sedersi al tavolo con lui e gli altri. L'uomo fece come gli era stato detto e, gettata davanti a sé la cartolina, ammise: “Sono stato matto per dei fottuti anni, veramente per anni, sono stato al di là del bene e del male per un sacco di tempo, ho lavorato durissimo..” David scoppiò a ridere e l'altro continuò: “Sono sempre stato matto, lo so che sono stato, come la maggior parte di noi.. è molto difficile da spiegare perché sei matto, perfino se non lo sei... ” Oltre il vetro, un aereo decollò e Richard, terrorizzato, gridò.
 “Respira, respira a fondo.” Tentò di tranquillizzarlo Roger. Richard annuì scosso e  David posò una mano sulla spalla dell'amico dicendo: “Non devi aver paura, devi solo guardarti intorno e trovare un luogo che faccia per te.” Richard sollevò gli occhi al cielo e replicò: “Ma io non so più se voglio restar qua o andarmene.”
 “Quel che conta non è il dove ma il come: vola alto e vivrai a lungo. I sorrisi che regalerai e le lacrime che verserai, tutto ciò che tocchi e vedi, tutto ciò sarà la tua vita, ovunque ti troverai.” Sentenziò David. All'altro capo del tavolo, The Hat annuì serioso e, toltosi il berretto, vi tuffò lo sguardo all'interno come se la sua profondità celasse chissà quale segreto. Improvvisamente vi infilò dentro la sinistra e, senza fiatare, ne estrasse un coniglio. L'animale fissò spaurito i presenti e si divincolò all'istante dalla sua presa.
 
“Corri, corri coniglio! Scavati la buca e, quando avrai finito, non fermarti perché sarà già tempo di scavarne un'altra.” Esclamò The Hat fissando la piccola macchia bianca svanire nella cangiante policromia in cui erano immersi. Niente era più fertile della frastornante estasi psichedelica nella quale le loro coscienze restavano sospese. In sfrenato naufragio per la dimensione diffratta tra reale e immaginazione, laddove le emozioni baluginavano d'ogni colore che li affascinasse. Alla deriva nel reame delle visioni che d'un tratto presero vita nelle curve di una hostess ammiccante. La donna era avvolta da un'evanescente aura di bolle di sapone e, dietro di lei, incedeva un domatore che teneva al guinzaglio un gorilla dalla pelliccia intrisa di polvere luccicante. Sulla fronte dell'uomo balenava il brillio di un terzo occhio scrutatore grazie al quale si era fatto largo nella tenebra che l'aveva generato. La hostess, il cui volto era invece celato da una maschera di carta argentata, portava una camicetta di seta sbottonata fino alla cintura a esporre il petto dove costellazioni di lustrini ne mettevano in rilievo le forme procaci. Nella destra portava una zuccheriera colma di zollette turchesi. Nick prese la donna a sedere sulle ginocchia e la baciò mentre The Hat, servendosi una dose d'acido, esclamò alla volta di Richard: “Cogli l'attimo, il domani non esiste. Io sono fatto così!” Imitandolo, David invitò l'amico a fare altrettanto: “Rilassati, ascolta la campana che ci chiama tutti a raccolta, ascolta i magici incanti che ci vengono sussurrati dolcemente..” In piedi a fianco di Roger, il domatore estrasse un orologio dalle giubba e glielo mise all'orecchio. All'improvviso fu come se tutte le lancette del mondo avessero deciso di deflagrargli nella mente. 

 “Non sei stanco di oziare nel sole mentre resti a casa a guardare la pioggia?” Roger annuì stordito e il domatore continuò: “Tu stai ancora aspettando qualcuno che ti mostri la strada da scegliere quando la verità è che non c'era nessuno a dirti in che direzione scattare quando mancasti il proiettile dello starter. Quindi corri, rimettiti in pari perché è vero che il sole è sempre lo stesso, ma tu sei più vicino alla morte ad ogni respiro.” Alla parola morte, David consegnò un'altra cartolina a The Hat.
 “Se ne ho paura? -scosse il capo convinto- perché dovrei? Prima o poi arriva per tutti.”
 “E tu Clare?” Chiese il domatore mentre le apriva la lampo del costume da gorilla. La donna apparve nel fruscio di un ampio caffetano. Era nervosa e torturava la lunga collana di perline che portava al collo. Non riuscendo a trovare le parole, preferì cantare e il suo sgomento ammutolì tutti, coprendo qualsiasi altro suono tranne il piano di Richard che frattanto si era allontanato dagli altri per improvvisare. Il duetto riecheggiò prima sotto la cupola di lamiera, poi ne superò la barriera, in siderale espansione, esibendosi  a magnifico beneficio della platea celeste. Nick e l'hostess applaudirono e David tirò una monetina che Clare afferrò al volo prima di svanire come un incubo all'alba.  

 “Il denaro è un crimine -bisbigliò Roger- è la radice d'ogni male della nostra epoca”. Nel mentre, uno schermo si illuminò e Michelangelo chiazzò di sangue la tela su cui stava ritraendo contestazione e violenza. Richard lo raggiunse e, osservandone da vicino la  creazione, commentò: “Noi e loro, in fin dei conti non c'è differenza: non siamo altro che uomini comuni con una comune esperienza.”
 “Tutto si riassume in un'unica parola: empatia.” Disse Roger sorridendo ma, prima che potesse aggiungere dell'altro, un ragazzino gli strattonò la manica e gli consegnò il giornale. In prima pagina campeggiava una foto di Syd. L'articolo titolava: 'Ecco quel che accade quando band e songwriter suonano due melodie diverse'. 


 “Ci rivedremo sul lato oscuro della luna, amico mio...” mormorò Roger rattristato. E, come se si fosse trattato d'una profezia, il sole si rabbuiò nel sorgere di una grigia eclisse.


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Era arrivato il momento di partire. Mentre la luce svaniva in progressione, l'hostess fece loro strada verso la pista. Sul fondo dell'hangar, Michelangelo fece scorrere i titoli di coda e il domatore ne lesse le ultime due righe ad occhi chiusi: “Tutto ciò che esiste adesso, tutto ciò che è stato, tutto ciò che deve ancora venire e tutto quello che è alla luce del sole non è altro che una musica perfettamente in armonia, peccato che il sole sia eclissato dall'ombra della luna.” Nell'ultimo istante prima che il buio riconquistasse lo spazio, The Hat si rimise il berretto e, prendendo Clare sottobraccio, concluse: “Il nostro tempo è andato e la canzone è finita... eppure io sento d'aver ancora qualcosa da dire...”.


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