Artifact: sometimes we must fight in order to be free
Un film che si confronta con grandi domande sulla musica, sul business, sull’arte e sull’integrità. E che mostra il lato umano della band più “extraterrestre” del rock, i 30 Seconds To Mars.


Articolo a cura di Paola Marzorati - Pubblicata in data: 20/12/13

A warning to the people,

The good and the evil,

This is war

 

THIS IS WAR. Questa è guerra. Una guerra per quello che è giusto, per l’arte, per la musica, per la libertà. Questa è guerra. Non è solo il titolo del terzo album dei 30 Seconds To Mars. E’ una storia, è un modo di vedere il mondo e un modo di affrontarlo perché “qualche volta bisogna combattere per essere liberi”. E mentre riguardo il film per la seconda volta, tazza di tè in mano e avvolta dalle coperte, non posso non pensare al pugno nello stomaco, forte, inaspettato, che è stato vederlo per la prima volta.

 

PRIMA IN DIRETTA MONDIALE DI ARTIFACT

 

Spengo il computer. Mi sento strana. Ho l’amaro in bocca e un sorriso enorme stampato sulla faccia. Questo è l’effetto che mi ha fatto assistere alla prima mondiale in diretta con il mondo di Artifact, documentario girato e prodotto da Jared Leto sulla battaglia che la sua band, i 30 Seconds To Mars, hanno affrontato con la EMI. “Spero tanto che vi piaccia, ci ho lavorato cinque anni ormai e vi assicuro che vedrete la band in un modo del tutto nuovo”, spiega Jared prima della diretta, parlando live con milioni e milioni di fan, gli Echelon, sparsi in tutto il mondo attraverso il VyRT, piattaforma digitale o, meglio, “teatro virtuale”, come ama chiamarlo Jared, fondatore di questo nuovo modo di creare e offrire esperienze. Ed ha ragione. Ho visto la band in un modo del tutto diverso. Più umano. Ho visto Jared, che sembra sempre così forte e così sicuro di sé, vulnerabile e fragile. Shannon frustrato perché non riesce a tenere il beat in un pezzo di batteria ripetere “sono solo umano”. E Tomo sorridente e divertente come sempre, nonostante tutto. Ho visto tutto questo ma anche di più. Perché non si tratta solo di un documentario su una band, che può piacere o non piacere. E’ un film sulla musica che affronta questioni economiche, etiche e artistiche. E’ un viaggio alla scoperta del mondo del business musicale dopo il quale, credetemi, non guarderete più allo stesso modo i CD accatastati nella vostra camera, non ascolterete più nello stesso modo le vostre canzoni preferite.

 

30stm_artifact_speciale_2013_04Lavori su una canzone per così tanto tempo, mettendoci tutto, e poi questa viene venduta a meno di un caffè, ed è frustrante” spiega Chester Bennington, frontman dei Linkin Park, intervistato insieme a Serj Tankian, OK GO e altre band. E’ frustante almeno quanto il fatto di non poter produrre un album se questo non piace alla casa discografica, di avere un controllo dittatoriale sulla propria creatività e di essere multati dalla propria casa discografica per 30 milioni di dollari, come è capitato ai 30 Seconds To Mars. La band di Los Angeles è stata multata perché colpevole, secondo la EMI, di non aver realizzato il numero di album concordato (stabilito da un contratto non valido in California, dove la durata massima di un contratto è di sette anni, mentre quello dei Nostri ne durava ben nove, ed era dunque illegale). In realtà, l’unico problema era il fallimento del colosso discografico. “Tutto questo è iniziato quando avevamo finalmente, e grazie a voi, ottenuto successo in giro per il mondo, solo per venire a sapere che nonostante avessimo venduto milioni di dischi non avremmo visto un solo dollaro. Inoltre, ci fu anche detto che eravamo in debito di milioni di dollari” , spiega lo stesso Jared in una lettera inviata ai fan nel 2009, a causa legale chiusa. Già, i 30 Seconds To Mars non sono ancora stati pagati non solo per la vendita del loro album “This Is War” ma anche per le copie vendute dei loro due album precedenti. Anzi, secondo la EMI sono ancora in debito di circa 2 milioni di dollari. Tutto questo viene spiegato alla perfezione nel documentario realizzato dalla band. Un documentario che avrebbe dovuto raccontare il making of di "This Is War", il loro terzo album, e che invece è diventato il racconto di una discesa all’inferno. Un viaggio andata e ritorno in un incubo, conclusosi con il ritorno dei 30 Seconds To Mars alla EMI. “Dopo aver attentamente considerato tutte le opzioni, quello che avremmo guadagnato, e quello che avremmo potenzialmente perso, abbiamo deciso alla fine che riunirsi con la EMI sarebbe stata assolutamente la strada migliore per la musica e che, non importa cosa, condividere questa nostra ultima avventura creativa con tutti voi il prima possibile è la parte più importante di tutto questo”.

 

It’s the moment of truth

And the moment to lie

The moment to live

And the moment to die

The moment to fight, fight, fight, FIGHT

 

30stm_artifact_speciale_2013_06E’ il momento di combattere, urla Jared Leto tutte le sere in un microfono. Non importa contro cosa, combattere è l’unica cosa che ci fa sentire vivi. E non sono parole fatte, per una volta, quelle belle ma banali, successo assicurato. Sono quello che rimane, come lunghe e profonde cicatrici, da una battaglia. I 30 Seconds To Mars hanno combattuto una battaglia etica, economica, artistica contro i colossi delle case discografiche e, forse per la prima volta, ci hanno mostrato cosa c’è dietro tutto questo, dietro il mondo a cui segretamente ognuno di noi ha sognato di appartenere almeno una volta, mentre suonava la chitarra nella sua cameretta o ascoltava le sue canzoni preferite. C’è il marcio, c’è il vuoto, una voragine che spreme gli artisti come una morsa, che li controlla, che spia i loro telefoni e le loro email, che gli vieta di produrre un album o suonare una canzone in quanto ogni singola parola o nota che esce dalle loro bocche e dai loro strumenti non gli appartiene più, è della casa discografica. “E’ vostra, non è più mia”, urla Jared, la frustrazione e la delusione in quei suoi occhi blu, dopo aver suonato al pianoforte l’inizio di "Alibi". E’ vero, le canzoni non sono cose, non possiamo attaccarci un’etichetta con il nostro nome come facevamo con i pastelli alle elementari, ma di certo appartengono a chi le ama talmente tanto da rivederci se stesso, come riflesso in uno specchio, e soprattutto a chi in quello specchio si è tuffato, lasciandoci una parte di sé scrivendole. Non a chi nello specchio vede solo riflessa la promessa di un mucchio di soldi. “Se non funziona, ti mettono lì, come su uno scaffale, ti vietano di fare qualsiasi cosa, compreso andartene”, spiega Chester Bennington, frontman dei Linkin Park. Si è vincolati ad un sistema che sta diventando sempre più complesso (“non lo puoi comprendere se non sei un avvocato o un matematico”), sempre più economico (“l’industria musicale è stata creata per ottenere vantaggi da artisti la cui prima preoccupazione non sono i soldi”) e che sta cadendo sempre più in basso. Le case discografiche sono in crisi, l’intero sistema lo è, nonostante mai come ora si sia ascoltata così tanta musica e con così tanta facilità. Il sistema sta crollando semplicemente perché le persone non comprano più dischi e perché comprare dischi è sentita ormai come un’anomalia.

30stm_artifact_speciale_2013_02Non riesco nemmeno a ricordare tutte le volte che mi sono sentita dire “Perché compri i dischi? Perché pagare per qualcosa che è gratis?”. Perché non è gratis, nulla lo è. E potremmo discutere per ore, per giorni, su questo: sul fatto che la musica costa troppo, che non è possibile comprare tutti gli album che vogliamo per una sola canzone, che è più facile scaricarlo da Internet, che lo fanno tutti, che gli artisti guadagnano già troppo. Potremmo parlarne e convincerci che siamo nel giusto. Io ne ero convinta, di essere nel giusto. Ero sicura del fatto che non avrei fatto male a nessuno scaricando un album illegalmente o che, se anche l’avessi fatto, sarebbe stata una perdita minima per persone che guadagnano così tanto. Ero sicura che il prezzo fosse esagerato. Ma non sapevo quello di cui parlavo; non sapevo quanto bisognasse combattere per produrre un solo maledettissimo album, quanto la casa discografica tenga per sé dei guadagni, delle vendite e dei tour, con subdoli accorgimenti come far pagare agli artisti il packaging perfino sui download digitali; non sapevo del controllo maniacale e della pressione, delle cause legali, delle clausole minuscole ma dannatamente importanti, in grado di farti perdere tutto. Non sapevo quello che Jared Leto ha spiegato così: un tipico accordo con una casa discografica è costruito in questo modo: la casa discografica dà all’artista un anticipo per produrre l’album, ipotizziamo 250,000 dollari. L’album vende bene, 500,000 copie a 10 dollari ciascuna, producendo 5 milioni di dollari. Da questi soldi la casa discografica detrae circa l’85 %, lasciando all’artista solo 750,000 dollari, ma prima che l’artista riceva qualsiasi pagamento, la casa discografica detrae l’anticipo (250,000), i costi di produzione (300,000) e promozione (75,000), i costi del video (300,000) e del tour a supporto dell’album (250,000), lasciando ipoteticamente l’artista in debito di 425,000 dollari con la casa discografica. E questo continua per album dopo album dopo album. Non sapevo niente, e ora non posso dire di sapere tutto. Ma ho sbirciato dalla finestra, grazie a questo film, e ho imparato ad apprezzare ancora di più il valore della musica. Ho imparato qualcosa che non sapevo e ora ho gli strumenti per scegliere. Non è legge, e forse non c’è risposta ad un argomento così complesso come quello del business musicale, ma qualcuno una volta disse “La conoscenza rende liberi” e io ci credo. Solo conoscendo si può evitare che gli altri ci dicano cosa pensare o cosa fare. E questo film permette di essere un po’ più liberi di quanto lo eravamo prima, un po’ più lontani dalle frasi fatte e un po’ più vicini alla verità. Liberi di pensare che “se hai 5 milioni di persone che scaricano il tuo album gratis sono sempre 5 milioni di persone che tocchi con la tua musica ed è un valore molto più importante dei soldi” o che tutto questo non è giusto. Semplicemente liberi, ricordandosi che “qualche volte bisogna combattere” per esserlo, solo combattere.


Abbiamo vinto, ma perché mi sento come se non ci fosse proprio nulla da festeggiare?

 

Perché è il business musicale, non c’è proprio nulla da festeggiare, è un business che sta morendo!

 

30stm_artifact_speciale_2013_03Il business musicale sta morendo, o forse si sta solo evolvendo, diventando qualcosa di estremamente diverso da quello che ha reso grandi gli artisti che tanto amiamo. E questo lo rende eccitante e spaventoso allo stesso tempo. Il business musicale sta morendo, ma questo non accadrà mai alla musica, è l’unica cosa certa in questo groviglio di dati, opinioni, statistiche. “La musica non morirà mai, guiderà sempre l’industria, guiderà sempre l’innovazione, sarà sempre disponibile per tutti e tutti la vorranno sempre”. E non potremmo essere più d’accordo con Chester Bennington.


Non vuoi solo fare qualcosa che duri per sempre? Qualcosa che sia fenomenale, fantastico, innegabile? Che tocchi il cuore di chiunque lo ascolti? Non vuoi fare qualcosa di bellissimo, commovente, provocante, qualcosa che sia puro e vero?” chiede Jared in una delle sequenze più belle dell’intero film. E qualcosa che duri per sempre l’hanno fatto. Anzi, due cose. This is war, album frutto della battaglia legale con la EMI e questo documentario, Artifact, che tutti, non importa se odiate i 30 Seconds To Mars, dovrebbero guardare. Per capire. Per conoscere. Per vedere da vicino la produzione di un disco, le mille volte che l’assolo di chitarra che tanto amate è stato provato e riprovato, il processo creativo che sta dietro ad una canzone, l’ispirazione, il sacrificio, Jared Leto in pigiama che fa colazione con i cereali e la band al completo che compra l’albero di Natale più brutto che ci sia in vendita. E’ un’occasione per ricordarsi che le persone che tanto amiamo non sono altro che uomini e che, forse, dovremmo trattarli un po’ più come tali. E quando scrivono a pennarello la parola “done”, fatto, accanto ad ogni canzone, la senti come una vittoria che è anche un po’ tua, perché forse hai vinto davvero; quel senso di vittoria che deriva solo dall’aver creduto fortemente in qualcosa e dal vederlo prendere vita sotto i tuoi occhi.

 

30stm_artifact_speciale_2013_05Spengo il computer e mi sento stranamente forte. Se questa è la guerra sono pronta a combatterla. Perché me lo hanno insegnato loro. E oggi più che mai, mentre ascolto le prime note di "This Is War" riempire il piccolo spazio della mia stanza, sono contenta che non si siano arresi. E mi sorprendo ad amare questo album ancora di più, se questo è possibile, perché so cosa ha significato produrlo. Guardo i dischi accatastati in camera mia e immagino le storie che portano con sé, racconti muti di piccole battaglie, ognuno con una propria guerra da raccontare. Questa è guerra, e siamo pronti a combatterla.

 

I put everything that I have into this, my entire life, everything, we all have”. Grazie per averlo fatto, nonostante tutto.

 

The fight is done, the war is won, lift your hands toward the sun.




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