Iron Maiden: la pre-listening di The Final Frontier!
Accolti in un ambiente estremamente professionale, gli uffici di EMI, abbiamo ascoltato il nuovo disco degli Dei del metal. Ecco a voi il resoconto di SpazioRock, buona lettura!


Articolo a cura di Daniele Carlucci - Pubblicata in data: 23/07/10

Si parte con “Satellite 15...The Final Frontier”, lanciata da un intro lunghissimo e tenebroso (la batteria ha dei suoni molto artificiali),  che sembra poter “esplodere” da un momento all'altro e in cui ci si sente  continuamente  in bilico, finchè un riff decisamente hard rock prende il controllo e ci guida attraverso tutto il brano. Belli e piacevoli gli assoli di chitarra (il secondo soprattutto) e canzone, che anche se un po' ripetitiva, è ben confezionata. “El Dorado” già la conoscete probabilmente, essendo il primo singolo estratto dall'album. Si tratta di una cavalcata trainante che conduce a ritornelli maestosi in cui Bruce Dickinson scatena la potenza della sua voce. “Mother Of Mercy” si snoda attraverso un bell'intro seguito da un strofa tranquilla che si distorce dopo un ottimo passaggio nel quale è apprezzabile il lavoro delle chitarre, interessante e per nulla banale: il tallone d'achille è però rappresentato dai refrain, caratterizzati da sonorità che cozzano un po' con il resto della composizione. Arriva così il momento di “Coming Home”, un'autentica perla, accompagnata da strofe acustiche (ricordate “Strange World”?), pregevoli riff melodici e ritornelli davvero molto belli ed emozionanti. Con “The Alchemist” sembra di fare un salto nel passato e rituffarsi in quelle acque navigate a vele spiegate dalla “Vergine Di Ferro” nei suoi anni d'oro: inizio spumeggiante, strofe incalzanti (ricordano l'incedere di “Man On The Edge”), bridge e refrain non ricercatissimi, ma molto orecchiabili, e un armonioso intermezzo chitarristico (qui gli Iron Maiden giocano in casa ed è abbastanza difficile che stecchino). Con piacere inizio a notare che le atmosfere si fanno via via meno cupe e mi appresto ad ascoltare “Isle Of Avalon”: intro in sordina che continua fin quando non vanno in scena le distorsioni. Gli assoli convincono poco rispetto al solito e le soluzioni armoniche sono apprezzabili, ma troppo abusate: In generale il brano non convince fino in fondo per gran parte della sua durata e l'impresisone è quella di un'eccessiva staticità. La successiva “Starblind” persuade con bei riff ( che però mi aspettavo fossero accoppiati a ritmiche più sostenute) e passaggi melodici impreziositi dall'egregio compito svolto dalla chitarra solista. Molto intrigante è “The Talisman”, in cui l'intro mi ha stampato in testa l'immagine di un uomo che si reca da una cartomante o da una maga e, immerso tra pozioni e libri, aspetta di conoscere il proprio destino. Il resto del pezzo scorre tra passaggi catchy e coinvolgenti, e ritornelli epici in classico Maiden-style. A proposito di questo ci tengo a sottolineare che se le sequenze di accordi utilizzate dalla band di Harris e soci è, gira e rigira, sempre la stessa, il gruppo britannico riesce ogni volta a rendere unico ed inimitabile ciò che produce quando i suoi componenti suonano tutti assieme. “The Man Who Would Be King” offre diversi spunti interessanti, soprattutto nel corpo centrale, abbastanza atipico per gli Iron Maiden, nel quale le atmosfere ricreate ricordano un po' quelle di “Sweet Emotion” degli Aerosmith. Nel finale la linea melodica della chitarra segue quella di Dickinson e la stessa idea viene usata per l'inizio di “When The Wild Wind Blows”: l'intro acustico, accompagnato dal vento, è davvero molto bello e il brano prosegue con lo stesso motivo anche quando compaiono le distorsioni. E' un susseguirsi di riff armoniosi, orecchiabili e perfettamente riusciti, e la canzone avanza nel suo tripudio melodico fino a che il vento torna a soffiare, e così come si era aperto, il pezzo si chiude, tirandosi dietro il sipario di “The Final Frontiers” e mettendo fine allo spettacolo.


Riordinando le idee, emergono le prime considerazioni: rispetto ad “A Matter Of Life And Death” le atmosfere si sono fatte molto meno cupe ed è stata abbandonata quasi completamente quella direzione tendente al prog che, personalmente, avevo mal digerito. Alla fine dell'ascolto noto che la canzone considerata dal sottoscritto come la peggio riuscita, è “Isle Of Avalon”, proprio quella in cui gli elementi progressive sono maggiormente presenti. Balza all'occhio (all'orecchio verrebbe da dire) che gli Iron Maiden hanno staccato il piede dall'accelleratore, ma in questo bisogna rendersi conto che il tempo passa e non si è ventenni o trentenni per sempre: il fatto che ci siano molti mid-tempo e manchi un po' l'aggressività dell'epoca d'oro lo dimostra, ma “The Final Frontier” è un disco piacevole, coinvolgente, ben concepito e potrà essere accolto positivamente da molti fan che avevano storto il naso dopo la pubblicazione di “A Matter Of Life And Death”. Tanti brani iniziano lentamente e, a volte, non si aprono completamente come eravamo abituati a sentire, ma a dispetto di ciò, ho trovato molto interessanti alcune soluzioni melodiche utilizzate, riff in primis. Senza dubbio si può dire che qualche canzone poteva essere accorciata di due o tre minuti, per aumentarne l'impatto e la carica, evitando il rischio di far calare l'attenzione. Ma onestamente a me non è successo e posso dire di non essermi per niente annoiato, anche perchè sarebbe stato difficile effettivamente, data la forte curiosità. Stessa curiosità a questo punto vi è nel verificare la presa che i nuovi brani avranno dal vivo, laddove gli Iron Maiden ci hanno insegnato di non essere secondi a nessuno. Chiudo sottolineando, semmai ce ne fosse il bisogno, la perfezione e la cura maniacale per i suoni e per la produzione, e rimando ogni approfondimento attorno alla data di pubblicazione ufficiale di “The New Frontier”, essendo queste considerazioni solamente il frutto di un primo ascolto.




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