Best of 2020
Ovvero: come superare un anno semi-apocalittico con 35 album


Articolo a cura di SpazioRock - Pubblicata in data: 29/12/20
Articolo a cura di Giulia Franceschini, Dario Fabbri, Simone Zangarelli, Cristina Cannata, Ludovica Iorio, Alessio Sagheddu, Giampiero Pelusi, Giovanni Ausoni, Federico Barusolo, Mattia Schiavone, Matteo Poli, Paolo Spera
 
Dopo un anno di concerti annullati o rimandati, live streaming in casa e concerti drive-in, siamo fortunatamente arrivati alla fine. Trovare gli aspetti positivi in un anno come il 2020 è un'impresa quantomeno ambiziosa. Abbiamo visto le prospettive sulla vita capovolgersi, abbiamo sperimentato l'isolamento e riflettuto sul senso di comunità, abbiamo vissuto per la maggior parte del tempo all'interno delle nostre case, guardando il mondo esterno dalla finestra in un saliscendi di emozioni. E la musica, bruscamente privata della sua dimensione live - il suo cuore pulsante - ha ricoperto un ruolo forse senza precedenti ed esclusivamente privato. Un'àncora nei momenti più duri, compagna dei nostri umori, educativa, riflessiva, a volte pura bellezza artistica.

A rendere migliore questo periodo semi-apocalittico ci sono state tante nuove uscite che ci hanno spinto a ballare, ci hanno fatto piangere, a volte ridere o ci hanno anche solo permesso di evadere dalla realtà sulle note di un riff di chitarra. Nonostante tutte le enormi difficoltà che si sono abbattute anche sul mondo della musica, il 2020 è stato infatti molto prolifico in termini di uscite discografiche, e noi di SpazioRock abbiamo provato a scegliere gli album che ci hanno segnati di più, quelli che ci hanno accompagnati e portati alla fine di questo anno. Non è una classifica e non siamo riusciti a mantenerci in un numero prefissato. Quindi ecco, tra grandi ritorni come gli AC/DC, i Pearl Jam o Bruce Springsteen e più giovani promesse come i Loathe o gli Idles, i nostri 35 album preferiti del 2020, in ordine di pubblicazione.

 
 
I LET IT AND IT TOOK EVERYTHING, Loathe
Metalcore/Alternative Metal, 7 febbraio, SharpTone Records
 
Sono passate solo poche settimane dall'inizio dell'anno quando assistiamo al ritorno sulle scene dei Loathe con il loro secondo capitolo discografico "I Let It And It Took Everything". Si tratta di un album roboante, duro, ma anche capace di creare atmosfere da sogno e di catapultare chi ascolta in altre dimensioni. Le chitarre e la batteria risultano martellanti e accompagnano costantemente il frontman nei suoi scream, e in tutto questo si inseriscono le magnifiche atmosfere citate in precedenza. La combo "New Faces In The Dark" e "Red Room" sintetizza perfettamente questo concetto, mentre "Aggressive Evolution" e "Broken Vision Rhythm" danno il via, in pieno stile Loathe, a un disco a dir poco sorprendente. 
 
FATHER OF ALL..., Green Day
Punk-Rock, 7 febbraio, Reprise Records 
 
I Green Day in "Father Of All..." non abbandonano definitivamente il proprio marchio di fabbrica, ma cambiano approccio nei confronti del genere di cui sono storici artefici. Dalla voce di Billie Joe Armstrong, alla batteria di Tré Cool, passando per canzoni dalla durata sempre minore, il cambiamento è evidente e il primo singolo, "Ready, Aim, Fire", è una summa perfetta di queste novità.
Se da un lato si può percepire un'omogeneità piuttosto marcata del sound, è innegabile che alcuni brani richiamino in modo più esplicito il punk-rock à la Green Day, mentre altri contengono contaminazioni più contemporanee. Il tutto, non c'è quasi bisogno di dirlo, viene condito da quella leggerezza e da quella freschezza che hanno fatto la fortuna dei nostri e da un minutaggio davvero esiguo (appena 26 minuti). 
 
greendaybestof2020 
THE SLOW RUSH, Tame Impala
Psychedelic Pop/Alternative Rock, 14 febbraio
 
Oltre che essere un lavoro incentrato sul tema del tempo, "The Slow Rush" tenta uno sguardo personale sulla vicenda, una corsa imbrigliata nella rete di un'interiorità che viaggia a velocità diversa e che ha bisogno di essere metabolizzata."The Slow Rush" si presenta come un opus ricco di rifiniture, ragionata e dannatamente moderna, dominata da un senso di sospensione e dal sound fluttuante che fonde il groove hip hop con l'art rock, il jazz con l'EDM, la big beat e il funk.
 
ORDINARY MAN, Ozzy Osbourne 
Heavy Metal, 21 febbraio, Sony Music
 
Qualcosa è cambiato nella mente di Ozzy Osbourne. Il Madman sempre fuori dai binari sta diventando un uomo normale, un "Ordinary Man"? Certo, un arzillo signore di 72 anni che ha scritto pagine fondamentali della musica potrebbe anche godersi la meritata pensione: niente più Black Sabbath, niente più eccessi e una famiglia che l'aspetta a casa unita (sembra) più che mai. E invece Ozzy, all'anagrafe John Michael Osbourne, sceglie di mettersi in gioco ancora una volta e lo fa con sincerità disarmante. "Ordinary Man" è la dichiarazione di intenti di Ozzy che non vuole lasciarci da uomo normale, che non si è ritirato a vita privata aspettando la fine dei suoi giorni. Il tempo a sua disposizione lo vuole trascorrere su un palco o in studio a fare ciò che ha fatto da sempre e la cosa non può che renderci felici.
 
UNDERNEATH, Code Orange
Metalcore/Industrial Hardcore, 13 marzo, Roadrunner Records 
 
"Let's take a good look at you": con queste parole contenute nell'opener strumentale "(deeperthanbefore)" - e ribadite in alcune delle restanti tracce - si apre "Underneath", il quarto album in studio dei Code Orange. Un concept album dal titolo ermetico, che invita alla riconsiderazione della propria persona, in un percorso di crescente presa di coscienza del sé. Nei testi le parole vengono scarnificate e presentate in maniera diretta, senza mezzi termini: taglienti come lame, queste vengono urlate a gran voce, seppur spesso articolate in strutture criptiche. Nella fucina artistica degli statunitensi, le classiche atmosfere abrasive hardcore punk degli album precedenti vengono mescolate a sonorità tipicamente '90s. C'è chi parla di essersi "ammorbiditi" rispetto ai precendenti lavori in studio; più probabilmente, in leggera misura, con quest'ultimo lavoro si sono resi accessibili a una fetta di pubblico più ampia. 

Alternative Rock, 26 marzo, The Null Corporation 
 
Prendere le distanze da un lavoro così particolarmente coinvolgente e profondamente toccante in questo preciso periodo storico per guardarne l'insieme richiede tempo, non solo per la notevole mole di materiale pubblicato, ma anche per conciliare i numerosi ascolti ai diversi stati d'animo per cui "Ghost V e VI" sono pensati.
Senza dubbio sono impressionanti il livello emotivo e la varietà compositiva che troviamo in questa duplice opera, così come è apprezzabile il tempismo come le parole a supporto della pubblicazione. Un tale adattamento alla situazione globale che stiamo attraversando denota non solo la risaputa profonda sensibilità di Trent Reznor, ma anche la grande prolificità e una verosimilmente immensa disponibilità di materiale che dall'inventario del polistrumentista americano attende di vedere la luce. 
 
GIGATON, Pearl Jam
Rock, 27 marzo, Monkeywrench/Republic
 
Unità di misura usata per quantificare il distacco di ghiaccio ai poli, il gigatone assume simbolicamente il ruolo di termometro dei disastri causati per mano dell'uomo e lo stesso fa il nuovo disco dei Pearl Jam, assegnandosi il compito di affrontare certe tematiche in modo approfondito e al contempo di creare consapevolezza. "Gigaton" si presenta come un progetto ambizioso ma forse non abbastanza convincente per soddisfare i vecchi fan né per far appassionare i nuovi, eppure viene da chiedersi se il problema non risieda tutto nelle aspettative. Come se oggi Pandora avesse di nuovo aperto il Vaso e la speranza non fosse affiorata, i Pearl Jam ci invitano a guardare meglio sul fondo perché quella piccola luce verde che sembriamo dimenticare, è la chiave per ribaltare il presente.
 
pearljambestof2020 
TITANS OF CREATION, Testament 
Thrash Metal,  3 aprile, Nuclear Blast
 
Addentrandoci nelle 12 tracce di "Titans Of Creation", al lustro della confezione corrisponde quello dei brani: un concentrato di gusto, professionalità, violenza sonora e puro e sano divertimento thrash che di questi tempi oscuri sembra quanto mai auspicabile e giustificato. Che i Testament siano, tra le altre loro qualità, estremamente divertenti non è certo una sorpresa né una novità. In "Titans Of Creation" non si trova una nota stonata, non un riempitivo, non un cedimento. A dimostrare che quando la band americana lavora con cura al songwriting il risultato non può che essere esaltante. Un disco da consumare fino allo sfinimento.
 
THE NEW ABNORMAL, The Strokes
Synth Pop/Indie Rock, 10 aprile, Cult/RCA 
 
"The New Abnormal" rappresenta la sesta fatica in studio dei The Strokes, nonchè una delle migliori pubblicazioni del gruppo statunitense sino ad oggi. Le 10 canzoni che compongono "The New Abonarmal" mostrano una band che ha raggiunto una maturità artistica degna di nota, capace di unire con maestria le tipiche sonorità indie-rock ad elementi maracatamente synth-pop. A quasi 20 anni di distanza dal loro celebre album di debutto, "Is This It" (2001), i The Strokes si sono confermati come une delle formazioni più interessanti del panorama mainstream del loro genere d'appartenenza: con "The New Abnormal", il gruppo capitanato da Julian Casablancas ha saputo azzardare qualcosa in più del solito e allo stesso tempo rimanere con lo sguardo rivolto alle proprie radici, tenendo tuttavia ben alta l'asticella della qualità.
 
Alternative Rock, 17 aprile, So Recordings
 
"Is this a new beginning or are we close to the end?". Si apre così il nuovo album degli Enter Shikari, senza un infondato ottimismo, ma con una considerazione reale: "THE GREAT UNKNOWN". Questo album è una presa di coscienza della realtà del mondo, affrontata con consapevolezza, grandi dosi di un umorismo sovversivo e un po' di tenerezza, che si sviluppa di pari passo con un'esperienza sonora folle ed estrema. L'immaginazione musicale è lasciata andare senza freni, nella produzione meticolosa curata da Rou stesso, che sviluppa innegabilmente un legame simbiotico con questo lavoro. E proprio come Rou in "{ The Dreamer's Hotel }", balliamo su questa società complicata, descrivendola, prendendola un po' in giro e guardandoci allo specchio. Gli Enter Shikari fanno lo stesso. Si spingono oltre ogni limite una volta ancora, producendo un disco coraggioso, mai così vario e che, a oggi, li rappresenta musicalmente e liricamente nel modo più completo possibile.

FETCH THE BOLT CUTTERS, Fiona Apple
Alternative Rock/Art Rock, 19 aprile, Epic Records 
 
"Pendete i tronchesi!" esclama Gillian Anderson nella serie televisiva "The Fall - Caccia al serial killer", e chissà se l'attrice si sarebbe mai immaginata che un giorno quella frase sarebbe diventato il titolo di un disco di Fiona Apple, "Fetch The Bolt Cutters" per l'appunto, anzi, il disco di Fiona Apple che anela così a rompere le catene della sofferenza che l'attanagliano e del silenzio musicale durato ben otto anni. Frutto di una produzione durata un lustro, in gran parte svoltasi in casa, la Apple dà alla luce un disco audace e brillante, considerato da molti il manifesto del movimento #MeToo per la denuncia dei traumi del passato, ma c'è molto altro: un patchwork di generi diversi suonati con strumenti improbabili: suppellettili, arnesi di fortuna e perfino l'arredamento di casa (il quinto elemento della band) attraversano gli spazi tra jazz, blues, rock 'n' roll, per costruire una dimensione inesplorata. Un disco "percussivo" lo ha definito la Apple. Ma è forse la voce l'elemento dominante in un panorama tanto assurdo quanto vivace, fatto di rimandi, reminiscenze e riflessioni mai banali e spesso autoironiche, mettendo alla prova gli stili vocali e melodici e spiengendosi oltre. Esaltato da pubblico e critica (il massimo dei voti su Pitchfork, tre nomination ai Grammy Awards), "Fetch The Bolt Cutters" ha soprattutto il pregio di essere una fonte quasi inestinguibile di idee artistiche. Un ascolto può bastare per amarlo, non ne bastano cento per esaurirlo.
 
CITY BURIALS, Katatonia
Alternative Rock, 24 aprile, Peaceville Records
 
"City Burials" ha cieli antracite e la fredda Stoccolma come principale musa ispiratrice, preziose collaborazioni che ritornano (Frank Default) e una line up suddivisa tra i due membri fondatori, il cui sodalizio non ha mai vacillato, due membri ben integrati già dai precedenti album (Niklas Sandin e Daniel Moilanen, rispettivamente basso e batteria) e un nuovo componente (il chitarrista Roger Öjersson). In "City Burials" è subito chiaro come lo spettro sonoro viaggi sinuosamente tra passato e presente, incorporando elementi elettro-rock e se vogliamo darkwave, ma è pacato nell'approcciare sonorità relativamente recenti, soprattutto se lo si paragona ai ruvidi e ispidi movimenti di "The Fall of Hearts". Proprio l'intelligente commistione di generi e le atmosfere suggestive create dai cinque musicisti svedesi rappresentano i maggiori punti di forza dell'album, nonché i motivi principali per cui "City Burials" rientra a pieno titolo tra le migliori pubblicazioni del 2020.
 
Heavy Metal, 24 aprile, Roadrunner Records 
 
"What The Dead Men Say" è la perfetta sinossi di tutti gli elementi che hanno caratterizzato la carriera dei Trivium, come ha dichiarato lo stesso frontman in una recente intervista. Con le radici ben piantate nel vasto e profondo terreno dell'heavy che ingloba thrash, melodic death e black metal, i Trivium a ogni fatica in studio devono cercare di non farsi affossare da queste; pur proponendo delle soluzioni che non si discostano completamente dal nucleo originario sopra descritto, devono dimostrare di suonare comunque freschi, non tanto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ma in primis a loro stessi. E qui in questo senso sembrano aver assolto al proprio compito con ottimi risultati. 
 
PETALS FOR ARMOR, Hayley Williams
Indie Rock/Darkvawe, 8 maggio, Atlantic Records
 
Il racconto urgente e spietato di un male insidioso, il tracollo, l'ora più buia e poi, come una crisalide, la rinascita, l'epifania: dei fiori che spuntano dal corpo e l'avvolgono come una seconda pelle. Di questo e molto altro parla "Petals For Armor", l'esordio solista di Hayley Williams, già nota come frontwoman dei Paramore.  Come nelle pagine di un diario, lungo il doppio album si snoda il filo di una narrazione che parte dal baratro ("Simmer" e la macabra "Leave It Alone") fino alla risalita in "Cristal Clear", dipingendo con tinte dalle più scure, come in "Creepin", alle più chiare ("Dead Horse") un vortice emotivo in cui la cantante è stata risucchiata nell'ultimo anno. Il tutto accompagnato da un approccio sperimentale agli arrangiamenti. Ma è nella resa vocale che si concentrano i maggiori sforzi di rinnovamento: a partire da come la voce incorpora il ritmo e costruisce la melodia, all'utilizzo di cori, controcanti ed effetti. Ma la caratteristica forse migliore di "Petals For Armor" è la purezza, tanto difficile da raggiungere e per questo gelosamente preservata.
 
OBSIDIAN, Paradise Lost
Ghotic Metal, 15 maggio, Nuclear Blast
 
La longevità è sicuramente personificata nella musica dei Paradise Lost. Trentadue anni di carriera e non sentirli affatto, dove l'ispirazione sembra non essersi mai accasciata. "Obsidian" rimane nostalgicamente ancorato alle origini musicali dei suoi compositori fino alla fine e riesce nell'impresa di includere al proprio interno una certa modernità compositiva. I nostri riescono a creare un album fluido, coerente e senza alcun passo falso che non si avvicina mai troppo al confronto vero e proprio con alcune realtà passate ma anzi ne incorpora l'ispirazione e il carattere stilistico. Non è da tutti.
 
paradiselostbestof2020
 
PUNISHER, Phoebe Bridgers 
Indie rock/Folk, 18 giugno 2020, Dead Oceans
 
Altra candidata a tre Grammy Awards, la cantautrice californiana Phoebe Bridgers si afferma con decisione come una delle penne più intriganti del panorama musicale contemporaneo, conferma che arriva grazie alla pubblicazione di "Punisher" che segue l'esordio folgorante di "Strangers in Alps" del 2017. Le 10 canzoni vedono la venticinquenne impegnata in ogni fase del lavoro, dalla stesura alla produzione, eplorando l'anima dell'artista con una schiettezzza quasi sconveniente, una sagacità che non può lasciare spazio a travolgimenti passionali, luoghi comuni e pietismo. Eppure le musiche sembrano dirci tutt'altro: dalla delicata e intima "Garden Song", alla psichedelica e misterica "Moon Song", passando per la più orecchiabile "Kyoto" per giungere, infine, al capolavoro "I Know The End", le melodie ci immergono in un mondo sentimentale e imprevedibile. Gli arrangiamenti ricchi e mai scontati, la voce luminosa e l'immaginario costruito dalla Bridgers sono solo alcuni degli elementi che rendono "Punisher" uno dei dischi più interessanti del 2020.
 
LAMB OF GOD, Lamb Of God
Groove Metal, 19 giugno, Nuclear Blast
 
"Lamb Of God" è un disco coeso in cui è difficile trovare un difetto nell'esecuzione, un disco che guarda all'indietro nella carriera della band. A cinque anni da "VII: Sturm Und Drang" (2015), "Lamb Of God" suona come un attestato di grandezza, una dichiarazione di continuità anche se meno audace del predecessore. Certamente la sensazione di innovazione che si aveva ascoltando "New American Gospel" (2000) o "Ashes Of The Wake" (2004) è difficile da ritrovare, ma sarebbe forse inutile cercarla. Ad oggi, i Lamb Of God puntano a consolidare la loro eredità e a creare musica di qualità, e con questa ottava fatica hanno composto un disco di buoni brani, alcuni ottimi, dei quali nessuno è percepito come filler. 
 
ROUGH AND ROWDY WAYS, Bob Dylan  
Blues, 19 giugno, Columbia Records 
 
Il 2020 è anche l'anno del grande ritorno autoriale di Bob Dylan, annunciato a sorpresa nel bel mezzo della pandemia. "Rough And Rowdy Ways" è il primo album di inediti del Menestrello di Duluth dal 2012, un disco che richiede di essere capito più di ogni altro. Dylan non è qui per stupirci, ma per raccontare, aprirsi, riflettere. "Murder Most Foul" è arrivato come un fulmine a ciel sereno raccontando dell'omicidio Kennedy e di come la musica abbia narrato gli Stati Uniti in una fase di perdita dell'innocenza per il Paese. Lo stesso potrà fare in un momento difficile per il mondo. Umorismo, morte, dolore, rivoluzione sono narrati da una prospettiva personale, a metà tra la metafora e la concretezza: "I Contain Moltitude" è un canto elegiaco programmatico della propria arte, "Black Rider" una strimpellata tetra che omaggia Leonard Cohen. Storia e poesia si mescolano in un intreccio continuo di rimandi, accompagnati da un'orchestra a tratti sommessa e quasi ieratica in uno stile folk noir e vaudville come fossimo dentro un romanzo di Barry Gifford. Non sarà forse il miglior disco di Dylan, ma ribadisce che le canzone non sono fantasmi del passato, ma voci che plasmano la contemporaneità nel momento stesso in cui la cantano.
 
AMENDS, Grey Daze
Alternative Rock, 26 giugno, Loma Vista Recordings
 
La direzione presa dai Grey Daze per "Amends" è quella di un alternative rock orecchiabile e fresco, che attinge a piene mani dalle sonorità pop contemporanee, ma che comunque non disdegna soluzioni più aggressive, in alcuni casi tendenti al metal (gli esempi più lampanti sono il bridge di "The Syndrome" e i muri di chitarre di "She Shines"). La vera e propria punta di diamante del lotto, però, è rappresentata da una produzione curata in ogni minimo dettaglio, che ha saputo creare suoni davvero suggestivi, e dalla voce di Chester Bennington, il quale ha il merito non solo di adattarsi ai vari generi presenti nel disco, ma anche di garantire intensità e solidità. Potente e aggressivo in "Just Like Heroin" e nella già citata "She Shines", estremamente delicato in "In Time" e "Soul Song", mentre in "B12" estrae dal cilindro strofe a metà tra rap e R&B, donando ulteriore varietà a un disco che già di per sé è tutto fuorché ripetitivo: Chester Bennington si conferma il mattatore assoluto di "Amends" e i suoi compagni confezionano basi che esaltano e accompagnano con maestria la voce del frontman.
 
HOW DO WE WANT TO LIVE?, Long Distance Calling
Post-Rock, 26 giugno, Inside Out 
 
"How Do We Want To Live?" è la domanda che i Long Distance Calling si pongono con la loro ultima release e la risposta appare molto chiara fin da subito. L'album si presenta come un ambizioso concept in cui vi è una forte aspirazione a livello tematico di cui la musica è naturale riflesso. Si parla di tecnologia, di intelligenza artificiale e di quell'eterna dicotomia tra progresso e distopia, ma il punto di vista sembra essere quello di un futuro anteriore, come suggerito dalla copertina, apparentemente ispirata ad un vecchio manifesto sci-fi. Nel complesso "How Do We Want To Live?" è decisamente quell'album in grado di far fare un ulteriore salto di qualità ad una band come i Long Distance Calling. Il materiale registrato supera per songwriting tutto ciò che i tedeschi hanno saputo dire fino ad ora e trova finalmente uno scopo ultimo nella sua sempre crescente qualità tecnica.
 
ALL DISTORTIONS ARE INTENTIONAL, Neck Deep
Pop-Punk, 24 luglio, Hopeless Records 
 
Quello che i Neck Deep hanno saputo fare meglio dal loro esordio fino al nuovissimo "All Distortion Are Intentional" è stato mantenere vivo l'immaginario alla "American Pie" legato alle feste, all'anticonformismo e ad un'eterna giovinezza. Come dei veri Peter Pan del rock, la band gallese disegna la nascita di una relazione amorosa tra due protagonisti e che viene portata avanti in un ambiente inospitale e a tratti spaventoso come quello del mondo nel 2020. Musicalmente il disco suona come un gigantesco revival di inizio secolo, aggiungendo poco o niente a sound pop-punk britannico di band come You Me At Six. Ma è grazie alle chitarre grezze di Bowden, alla voce esplosiva e rabbiosa di Ben Barlow e ai testi (pseudo) adolescenziali che ritroviamo una comfort zone, un senso di familiare sollievo come quello di un ritorno a casa. Al netto di una produzione e di qualche verso più patinati di quello che ci si aspetta, è forse la voglia di evasione dalla realtà che il nuovo album dei Neck Deep trasmette ciò che troppo spesso è mancato quest'anno.

WHOOSH!
, Deep Purple 
Hard Rock/Blues Rock, 7 agosto, earMusic
 
Con un colpo di scena arriva l'annuncio del ventunesimo album in studio dei Deep Purple, "Whoosh!", distribuito da earMusic. Un nuovo capitolo hard rock capace di accontentare anche i fan più esigenti e in cui, per la terza volta di fila, abbiamo una produzione targata Bob Ezrin (Alice Cooper, Pink Floyd). Se Ian Gillan e soci sembravano in procinto di appendere gli strumenti al chiodo, questo disco arriva come una sonora smentita, a dimostrazione che la band dopo cinquantadue anni di carriera ha ancora qualcosa da dire. Non siamo soltanto davanti alle vestigia di un passato memorabile. "Whoosh!" è soprattutto una prova di tenacia: non è intento dei titani di Hertford quello di creare un capolavoro, ma dimostrare di essere ancora capaci di far divertire l'ascoltatore. In fin dei conti non è quello che vogliamo anche noi?
 
deeppurplebestof2020
Photo credits: Ben Wolf
 
Alternative Rock, 14 agosto, 14th Floor Records/Warner
 
A quattro anni di distanza da "Ellipsis", i Biffy Clyro tornano ad agosto 2020 con il loro ottavo album in studio. Il titolo, "A Celebration of Endings" è apparentemente ossimorico, ma emblematico: significa celebrare la fine di qualcosa per essere pronti ad accogliere qualcos'altro di nuovo e di diverso. Si tratta di un lavoro diverso da quello a cui la rock band scozzese ci ha finora abituati, sia a livello di sound che di tematiche trattate. È un album in cui in cui traspare nettamente la maturità compositiva e artistica della band che, questa volta, si cimenta in un lavoro certosino. "A Celebration of Endings" è il primo album, di fatto, in cui i testi dei Biffy Clyro danno spazio, oltre che alle tradizionali tematiche personali, anche a temi socio-politici, a rimarcare il fatto che la divisione tra la dimensione personale dell'individuo e quella sociale in cui è inserito non è poi così netta.
 
Post-Grunge, 28 agosto, Fantasy Records
 
Con "Si Vis Pacem Para Bellum", quello che la band sudafricana offre è un lavoro viscerale e personale, che mette a nudo la chiave di volta dei Seether, il cantante e chitarrista Shaun Morgan. Una vita non semplice, caratterizzata da una serie di eventi, di emozioni e sensazioni che incidono sulla vita dell'uomo e ne condizionano il suo essere in maniera profonda e persistente. Una vita come quella di tanti altri. Nella musica e nelle parole, Morgan lascia sfilare lentamente tutti i suoi demoni con un duplice intento catartico: turbare l'animo di chi non è turbato, e quietare l'animo di chi non è quieto. I testi sono forti e accuratamente ragionati proprio per raccontare una storia e dare una morale: se vuoi la pace, devi essere preparato a lottare. Per tutto l'album si snoda una rabbia che, proseguendo nell'ascolto, acquista diverse facce, ora più cruda, ora più placata, ora quasi supponente e menefreghista. 
 
WE ARE CHAOS, Marilyn Manson
Rock, 11 settembre, Loma Vista Recordings 
 
Composto prima della pandemia, "We Are Chaos" è un disco che incarna il senso di spaesamento odierno attraverso un nuovo autoritratto dalle tinte più calde che in passato, ricco come sempre di ombre che avvolgono i meandri più nascosti dell'anima. "We Are Chaos" è audace ma mai fino in fondo. E dopo il successo di "The Pale Emperor" (2015) e "The Heaven Upside Down" (2017) un azzardo sarebbe stato non solo gradito ma quasi necessario. Che ne è oggi dell'Uomo Nero del Rock? Rimane una figura introspettiva, a metà tra il dolore e la decadenza, un feticcio della generazione post-digitale che non si fa problemi strizzare l'occhio al mondo della trap, ma che quando compone le sue canzoni è in grado di metterci in contatto con la parte più profonda del Sé.
 
AMERICAN HEAD, The Flaming Lips
Alternative/Psychedelic Rock, 11 settembre, Warner Music
 
Fin da sempre, i Flaming Lips hanno messo in musica le proprie paure, avventurandosi su pendii vertigionosi con dischi acuminati e di difficile collocazione. Non fa eccezione neanche il nuovo "American Head", che prosegue ed approfondisce l'ispirazione melodica e lunare espressa nel precedente "King's Mouth" (2019). Forse proprio la rapidità con la quale questa volta la band ha lavorato è testimone di una felice urgenza creativa, di idee afferrate al momento giusto e fatte musica. E che musica. Si può dire che questa volta i ragazzi di Oklahoma City abbiano davvero superato se stessi, con tredici tracce che si snodano come tante tappe di un roadmovie girato nel cuore allucinato e dolente dell'America profonda, il documentario di una nevrosi sempre in via di definizione e mai del tutto afferrabile, guaribile. Un album sospeso, come quelli dei migliori Radiohead, tra rock ed elettronica ma anche tra inquietudine e blandizie.
 
Extreme Metal, 18 settembre, Century Media Records 
 
I Napalm Death riescono ancora una volta a regalarci un album pregevole, pur con qualche arrotondamento in fase di scrittura più marcato del consueto. Certo, chi si fosse fermato all'ascolto di "Scum" (1987) e "From Enslavement To Obliteration" (1988), a stento riconoscerebbe la fisionomia della band attuale; al contrario, gli estimatori di lunga data del gruppo britannico, accoglieranno la loro sedicesima fatica con un sollevamento del sopracciglio appena percepibile, plaudendo invece all'ennesimo inserimento di dettagli "alieni". "Throes Of Joy In The Jaws Of Defeatism" nasce, del resto, sulla scia degli ultimi due dischi in studio, "Utilitarian" (2012) e "Apex Predator - Easy Meat" (2015), lavori piacevoli, chiaroscurali, dalla solida base death/grind, ma arricchiti qua e là da elementi provenienti da diverse aree musicali. Ora, questi aspetti anomali, arrangiati a dovere, divengono legione, entrando in profondità in questo nuovo lavoro. 
 
OHMS, Deftones
Alternative Metal, 25 settembre, Reprise Records 
 
In un momento storico tutt'altro che ottimale per buona parte degli artisti musicali, i Deftones, nonostante la crisi che continua a colpire il settore, riescono a riservarsi un 2020 pieno di festeggiamenti e buone notizie, a cui si aggiunge "Ohms", un'altra gemma nella loro impressionante discografia. Ormai sulla soglia dei 50 anni, con quasi tre decenni di carriera sulle spalle, la band di Sacramento è più in forma che mai e non accenna a nessun incidente di percorso. Oltre ad essere un lavoro formidabile sotto vari punti di vista, "Ohms" è l'ennesima dimostrazione di una ferma volontà volta alla progressione artistica e sonora di una band che, ancora oggi, continua a scolpire il proprio credo con maestria attraverso album di spessore, ognuno coerente con il percorso musicale della band, ma con le sue peculiarità.
 
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Photo credits: Tamar Levine
 
PHANEROZOIC II: MESOZOIC/CENOZOIC, The Ocean
Progressive Metal, 25 settembre, Metal Blade Records 
 
A due anni di distanza dalla parte prima, i The Ocean sono tornati con "Phanerozoic II: Mesozoic / Cenozoic", album con il quale la band tedesca continua a tessere nuove trame e ad evolvere il proprio sound, eliminando quasi completamente il metal estremo dei primi lavori. Strutture progressive e agghiaccianti atmosfere post-metal si susseguono in un lavoro senza alcun punto debole, sia dal punto di vista di arrangiamenti che da quello della produzione. Le esplosioni della magnifica "Triassic", l'epopea prog di "Jurassic | Cretaceous" (in cui possiamo ammirare anche Jonas Renkse), i sussulti onirici della strumentale "Oligocene", i lancinanti scream della violenta "Palaeocene": "Phanerozoic II" rappresenta un'altalena di molteplici emozioni capace di rapire fin dal primo ascolto. 
 
ULTRA MONO, Idles
Punk Rock, 25 settembre, Partisan Records 
 
La chiusura di un ciclo iniziato con "Brutalism" e "Joy As An Act Of Resistence ". "Ultra Mono" è dinamite e, per la terza volta, i nuovi paladini del post-punk inglese spazzano via tutto: chitarre distorte, sferzate noise, frecciate critiche e senza fronzoli verso la politica e le ingiustizie sociali ed un grosso senso dell'ironia edificano quello che è il disco più maturo, omogeneo (e fruibile) della band di Bristol sino ad oggi. 
 
FORGOTTEN DAYS
, Pallbearer 
22 ottobre, Doom/Heavy Metal, Nuclear Blast
 
Pubblicato da Nuclear Blast a distanza di tre anni dall'acclamatissimo "Heartless" (2017), "Forgotten Days" è il quarto full-length della band di Little Rock che prosegue la sua marcia riproponendo gli ottimi elementi che contraddistinguono ormai da otto anni a questa parte la loro natura musicale con delle novità stilistiche che dimostrano perfettamente l'assidua volontà di Brett Campbell e soci di migliorarsi e innovarsi. L'artwork scopre subito le carte in tavola, facendo assaporare il contenuto del disco: un'immagine familiare tenebrosa e di forte impatto ed una palette di colori fredda preannunciano un sentore palpabile di malinconia e angoscia che pervade tutto il lotto. 
 
LETTER TO YOU, Bruce Springsteen
Folk Rock, 23 ottobre, Columbia Records 
 
Nel corso di questo indelebile 2020, volenti o nolenti, abbiamo avuto l'occasione di poterci interfacciare con la nostra interiorità. Così è stato anche per Bruce Springsteen: "Letter To You" può essere ascritto ad uno degli album più intimi e personali di Springsteen, un uomo, prima ancora che carismatico artista, il quale, varcata la soglia dei settant'anni e con mezzo secolo di onorata carriera alle spalle, ha imparato ad avere rispetto per le diverse fasi della vita. C'è un tempo per tutto: per spingere sull'acceleratore in gioventù e per rallentare nella vecchiaia, senza strafare, ma comunque continuando a creare prodotti di qualità e a condividerli, in uno scambio continuo con il pubblico. 
 
Elettro/Alternative Rock, 30 ottobre, Alkemy Recordings
 
Niente di scontato, niente di precostituito. D'altronde non potevamo aspettarci altro da una mente come quella di Maynard James Keenan che, dopo aver deliziato i fan con "Eat The Elephant" (A Perfect Cicle) e "Fear Inculum" (Tool), butta sul tavolo un bel tris con questo nuovo album. Così, in qualche modo, il cerchio si chiude. Se i Tool hanno sempre rappresentato l'anima rigorosa, mentale, matematica e precisa di MJK e gli A Perfect Circle la parte più sentimentale ed emotiva, i Puscifer sono sempre stati il lato più divertente e goliardico del suo spirito creativo. Eppure adesso le cose pare siano cambiate: "Existential Reckoning" è album tagliente che dietro suoni elettronici e alt/art-rock cela una risonanza emotiva e una maturità compositiva importante. Questa volta i Puscifer non scherzano più di tanto.
 
POWER UP, AC/DC 
Hard Rock, 13 novembre, Sony Music 
 
Galvanizzati da un encomiabile desiderio di concludere al meglio una carriera straordinaria, gli AC/DC, con alla chitarra ritmica Stevie Young, licenziano un "Power Up", che, pur non fregiandosi di un songwriting innovativo, all'ascolto suona comunque invitante, vispo, spensierato e libero da zavorre di qualsivoglia natura. Le tracce, figlie di vecchie idee partorite al tempo di "Black Ice" (2008), si attestano su velocità medie e coinvolgenti, vivono di melodia e sanguigno rock'n'roll, trasudano blues rotondo e conciso, spiluccano (non poco) da "Back In Black" (1980). Poco da dire, "Power Up" racchiude, come ci si aspettava, lo spirito degli AC/DC. 
 
acdcbestof2020
Photo credits: Josh Cheuse
 
CYR, The Smashing Pumpkins 
Electronic Rock, 27 novembre, Sumerian Records  
 
"Cyr" è un disco da velocisti, efficace sugli ascolti brevi. Lo stesso espediente del synth diventa logorante sui brani più deboli come "Tyger, Tyger" e "Black Forest, Black Hills". L'eccessiva coesione può essere un'arma a doppio taglio: da una parte la riconoscibilità, dall'altra l'appiattimento. Cionondimeno, non si può negare l'abilità di Billy Corgan nel creare una melodia, di dare forma a un'idea e di saperla mettere in pratica. Pochi i brani che spiccano e nessuno inascoltabile. Ma se c'è una cosa che "Cyr" chiarisce perfettamente è che gli Smashing Pumpkins non hanno mai avuto una forma finale. E proprio nel momento in cui pensiamo di averli inquadrati cambiano rotta, a volte rischiando il naufragio totale. Ma in tutto questo rimane costante l'emozione di esplorazione che questa band sviluppa in studio. "Cyr" emerge, quindi, come qualcosa che sostiene il desiderio di Corgan di "essere la band che non siamo mai stati prima".



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