Deep Purple - Whoosh!
I titani di Hertford tornano con il loro ventunesimo album “Whoosh!”


Articolo a cura di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 07/08/20
Quando i Deep Purple nel 2017 intrapresero il loro "The Long Goodbye Tour" a supporto dell'ultimo "InFinite", ci eravamo convinti che la leggendaria band inglese fosse prossima ad un'onorata pensione. O almeno è quello che ci hanno fatto credere. Invece con un colpo di scena arriva l'annuncio del ventunesimo album in studio, "Whoosh!", distribuito da earMusic. Un nuovo capitolo hard rock capace di accontentare anche i fan più esigenti in cui, per la terza volta di fila, abbiamo una produzione targata Bob Ezrin (Alice CooperPink Floyd). Se Ian Gillan e soci sembravano in procinto di appendere gli strumenti al chiodo, questo disco arriva come una sonora smentita, a dimostrazione che la band dopo cinquantadue anni di carriera ha ancora qualcosa da dire.


Come ci ha raccontato il chitarrista Steve Morse nella nostra intervista, Whoosh! narra una testimonianza, un segno del passaggio su questo Pianeta come la bandiera piantata sulla Luna, e lo fa con espressività e sentimento. E a proposito di chitarre, possiamo sentire uno Steve Morse tremendamente in forma in ogni traccia, dal solo di "Throw My Bones" ai mega riff di "The Long Way Round" fino a "And The Adress", un rock shuffle che ci riporta allo stile anni Settanta/Ottanta di "The House Of Blue Light". Protagonista anche Don Airey e il suo Hammond, eclettico nei virtuosismi barocchi del singolo "Nothing At All", repentini e improvvisi come il volo di un colibrì, e poi il piano glam rock di "No Need To Shout" e ancora l'inquietante incipit di "Step By Step". Troviamo anche un Ian Gillan al di sopra delle aspettative, narratore teatrale sempre in prima linea, e cauto interprete che si muove nel range vocale a lui più congeniale consapevole dei limiti imposti dall'età. Whoosh! È un disco che trasuda energia vitale e creatività, e lo fa con la calma di chi sa come raggiungere i propri obiettivi alla luce di una consolidata armonia fra i vari attori in gioco. Non è più tempo delle lunghe epopee alla "Child In Time", ogni canzone è concentrata al massimo, tanto che meno della metà dei brani superano i quattro minuti di durata. Eppure si innesca uno strano cortocircuito tra il classico sound della band e una modesta spinta innovatrice, abbastanza attrattiva da accontentare i fan più accaniti ma non altrettanto interessante da scrollarsi la polvere dalle spalle.


Comunque sia non siamo soltanto davanti alle vestigia di un passato memorabile. Whoosh! è soprattutto una prova di tenacia. Non è intento dei titani di Hertford quello di creare un capolavoro, ma dimostrare di essere ancora capaci di far divertire l'ascoltatore. In fin dei conti non è quello che vogliamo anche noi?

 

 




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