Come ci ha raccontato il chitarrista Steve Morse nella nostra intervista, Whoosh! narra una testimonianza, un segno del passaggio su questo Pianeta come la bandiera piantata sulla Luna, e lo fa con espressività e sentimento. E a proposito di chitarre, possiamo sentire uno Steve Morse tremendamente in forma in ogni traccia, dal solo di "Throw My Bones" ai mega riff di "The Long Way Round" fino a "And The Adress", un rock shuffle che ci riporta allo stile anni Settanta/Ottanta di "The House Of Blue Light". Protagonista anche Don Airey e il suo Hammond, eclettico nei virtuosismi barocchi del singolo "Nothing At All", repentini e improvvisi come il volo di un colibrì, e poi il piano glam rock di "No Need To Shout" e ancora l'inquietante incipit di "Step By Step". Troviamo anche un Ian Gillan al di sopra delle aspettative, narratore teatrale sempre in prima linea, e cauto interprete che si muove nel range vocale a lui più congeniale consapevole dei limiti imposti dall'età. Whoosh! È un disco che trasuda energia vitale e creatività, e lo fa con la calma di chi sa come raggiungere i propri obiettivi alla luce di una consolidata armonia fra i vari attori in gioco. Non è più tempo delle lunghe epopee alla "Child In Time", ogni canzone è concentrata al massimo, tanto che meno della metà dei brani superano i quattro minuti di durata. Eppure si innesca uno strano cortocircuito tra il classico sound della band e una modesta spinta innovatrice, abbastanza attrattiva da accontentare i fan più accaniti ma non altrettanto interessante da scrollarsi la polvere dalle spalle.
Comunque sia non siamo soltanto davanti alle vestigia di un passato memorabile. Whoosh! è soprattutto una prova di tenacia. Non è intento dei titani di Hertford quello di creare un capolavoro, ma dimostrare di essere ancora capaci di far divertire l'ascoltatore. In fin dei conti non è quello che vogliamo anche noi?