Dream Theater: il track-by-track di "The Astonishing"
Più di due ore di musica intarsiano la storia del grande ritorno dei Dream Theater. "The Astonishing" analizzato canzone per canzone, dal principio alla fine


Articolo a cura di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 15/01/16

L'attesa è quasi finita: fra due settimane sarà out l'ultima fatica discografica dei Dream Theater, dopo un disco dai giudizi contrastanti e con l'oramai assidua e costante presenza di Mike Mangini alla batteria.

 

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E se qualcuno ha trovato indigeste le 9 canzoni del self-titled, bisogna ammettere che stavolta i cinque virtuosi hanno veramente risposto in grande, con un album enorme in ogni senso.

 

The Astonishing è un concept che delizia con più di due ore di musica, divisa in trentaquattro track che formano un doppio disco; si aggiunge a questo una pletora di contenuti multimediali di tutti i tipi, a supportare un'opera non solo musicale.

 

Il chitarrista e leader della band John Petrucci ha infatti dichiarato che la parte più importante di questo disco, più degli intrecci musicali, più della gran varietà di generi, è la storia.

 

In un  futuro distopico, la musica è sparita e gli abitanti, sotto il giogo della tirannia, non sembrano neanche più curarsene: una milizia di ribelli, però, è decisa a reagire allo strapotere dell'Imperatore Nafaryus, e fra di loro risplende la luce di Gabriel, Prescelto dalle doti divine e capace di ricolorare il mondo grazie alla sua voce.

 

dttrackspeciale201602Lasciando da scoprire all'ascoltatore la storia nello specifico, concentriamoci però su ciò che la mette in pratica e ne libera la magia: la musica dei Dream Theater.

 

Gli avvenimenti ci vengono introdotti con un prologo in due fasi; Descent Of The NOMACS, la canzone che apre il disco, identifica già una peculiare caratteristica: ci sono tracce che constano semplicemente di effetti sonori -sul sito dei Dream Theater riconoscibili perchè affiancate da una piccola icona della macchina NOMACS, macchina volante che l'Impero usa per controllare la popolazione.

 

Sentiamo allora per la prima volta gli strumenti dei cinque virtuosi nell'apertura Dystopian Overture, fedele alla tradizione dei Dream Theater (non ricordate qualche altra famosa Overture?) e, più in generale, a quella classica di presentare i temi che ascolteremo durante tutto l'album. Ciò che salta all'orecchio è una musica più composita, meno aggressiva, orientata perfino verso lidi da musical; si viene carezzati dal primo assolo di Petrucci, lento ed epico, si viaggia per regni musicali diversi ma uniti da un carattere sinfonico e corale. Siamo pronti.

 

L'ingresso del frontman James Labrie è quindi nella terza traccia, il singolo già rilasciato The Gift Of Music: si tratta della presentazione della situazione nel regno, deprivato della musica, con la speranza che rinasce, però, con la voce di Gabriel. Se però la musica non conta più niente nell'Impero Del Nord, qui ha ancora una discreta importanza: un prog decisamente poco metal e più rock, incentrato sui riff ma pregno di cambi. Entra nelle orecchie, ma è impossibile farne una colpa (da individui poco lungimiranti troppo esposti al prog ci si potrebbe aspettare anche questo); sa però anche colpire e soddisfare la voglia di "complicato" con un finale dove tastiera e chitarra si intrecciano come il prog di qualche anno fa voleva.

 

E chi aspettava questo benedetto metal dovrà ancora attendere: The Answer, presentazione del personaggio di Gabriel, è una ballad lenta e commovente, piano e chitarra. Ritornano i temi ascoltati nell'Overture, e risulta costruita perfettamente, conglobando melodie orecchiabili e capaci di imprimersi nella memoria con uno dei punti forti della voce narrante, e cioè le tonalità più basse e calde -possiede anche quelle- di Labrie. Le influenze maggiori? Crediateci o no, sembra una splendida e ben riuscita canzone Disney.

 

E il metal dov'è?

 

I Dream Theater soddisfano questa voglia solo proseguendo con A Better Life, descrivente la situazione di ribellione e proseguendo nella storia dei personaggi. Trattasi di una mini suite dall'inizio roboante, spezzata da un intermezzo soft e ripresa con un ostinato vecchio stile. Spicca la prepotente presenza del 4/4, che se è uno standard nella musica non lo era di certo per il gruppo in questione; la linearizzazione porta a caratterizzare questo prog (perchè sempre di quello si tratta) più verso un'espressione da musical. Che altro non è che il dichiarato intento degli autori del disco.

 

Un po' più di aggressività segue nella presentazione dell'antagonista Lord Nafaryus, interessante per la presenza di soluzioni musicali mai ascoltate prima dalla penna dei Dream Theater. Evidentissimo ora il carattere da musical, reso con musiche sinfoniche, riff taglienti ma non cattivi, carattere circense nel senso più stretto del termine, e con la voce che si vede protagonista di momenti diversissimi, addirittura finendo con un recitato.

 

Si cambia scenario e le musiche diventano ora decisamente imperiali: dopo l'intro A Savior In The Square torna il metal più epico spezzato da un chorus inaspettatamente lineare ma terribilmente efficace, che si conclude spezandosi di nuovo nella delicatezza più assoluta. La traccia si collega direttamente alla successiva When Your Time Has Come, dai toni più leggeri, ancora più "dritti", e con una certa preponderanza tematica. Se non si storce il naso alla menzione di "pop", si tratta esattamente di quello, doverosamente sporcato dalle chitarre di  Petrucci, ed esaltato dai toni dolci di Labrie su musiche fortemente tematiche e sinfoniche.

 

E l'orchestra prende il definitivo sopravvento con la nona traccia Act Of Faythe, ballad accarezzata dagli archi, e dove per la prima volta si ripetono temi già ascoltati: di qui in poi si entra dunque nella successiva parte del disco, dopo un'introduzione più lunga di molti rock album. La presentazione di situazione e personaggi è conclusa, ora spazio agli avvenimenti.

 

Three Days esalta un Labrie camaleontico e recitativo -caratteristiche di cui aveva già dato prova nella metal opera The Human Equation (Ayreon, 2004); inserendolo in una cornice speedy, dove il metal incontra la musica da circo creando soluzioni decisamente particolari e catalizzando l'attenzione. Dunque rassicuriamoci, il disco non è solo 4/4 da musical, ma presenta diverse stranezze e, mi si permetta, anche qualche esperimento.

 

Un'altra traccia di effetti sonori (The Hovering Sojourn, lunga venti secondi) introduce Brother Can You Hear Me, che presenta uno dei temi più ricorrenti dell'album, dai forti toni epici e medievali, anche se riproposto in diverse, interessanti vesti.

 

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 Merita una piccola digressione la canzone che segue, e cioè la tredicesima. A Life Left Behind comincia con un intreccio di chitarra acustica e pianoforte sulle frequenze basse, stavolta decisamente fuori dal 4/4, stracolmo di sovrapposizioni degne del soft prog di qualche decennio fa, cambi improvvisi fino al cantato. Qui la situazione si linearizza, ed ormai è chiara la direzione: le parole servono per la storia, e non ci si può permettere di intrecciare troppo; la musica può dunque svisare soprattutto fuori dal cantato.

 

La STORIA dunque viene forzatamente messa al centro: impossibile prescindere da essa quando si ascolta o si giudica l'album. Ed in relazione proprio a questa storia si capisce la successiva  Ravenskill, per più di quattro minuti un piano-e-voce lento, fino a concludere su uno dei temi portanti; simile la successiva Chosen, che esplode però dopo soli due minuti, per portare all'apice con A Tempting Offer , dove torna il metal (sempre molto addolcito da toni epici e sinfonici), la struttura a mini-suite, e Labrie costretto a fare letteralmente i salti mortali per interpretare diversi personaggi che dialogano fra loro. Di non facile risposta è la domanda se una sola voce per sei o sette personaggi non stia un po' stretta.

 

Il primo disco è concluso con un trittico introdotto da un'altra traccia NOMACS.

 

The X Aspect, lenta ma incedente, introduce una delle canzoni migliori dell'album: A New Beginning. Variegata, incalzante, potente e impossibile da dimenticare: ricorda come carattere West Side Story, che è -indovinate- un musical, ma si proietta in una cornice prog metal stracolma di cambi e con una conclusione azzeccatissima su un assolo infinito di Petrucci sul groove di Mangini.

 

Il compito della chiusura è affidato a The Road To Revolution: il carattere conclusivo è affidato alla ripetizione dei temi portanti e all'acuto finale; il fatto che la storia è solo a metà, però, ce lo dice un ritmo decisamente incalzante, un'inusitata presenza di cambi ed il tono non propriamente definitivo delle musiche.

 

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Il secondo disco consta degli avvenimenti successivi ad un possibile colpo di scena nella storia: si profila forse un tradimento che potrebbe portare alla rovina?

 

Un'altra overture, 2285 Entr'acte (non ricordate qualche famosa overture coi numeri?) presenta i temi che ascolteremo, anche se quelli della prima parte rimarranno a fare da fondamenta ed a ribadire la continuità del concept; l'evento topico è introdotto poi nella eloquente Moment Of Betrayal.

 

Se finora non si sono riscontrate molte analogie con i pur numerosi lavori precedenti della band, fatta eccezione per il carattere sinfonico già presente in Illumination Theory e quello composito che, nei toni più cupi, può riportare a Octavarium, in questa traccia si sente, chiarissima, la matrice  Dream Theater dei territori più aggressivi (Chaos In Motion, Black Clouds & Silver Linings).

 

Riff e atmosfere pesanti precedono un ritornello più lineare, ripetuto ostinatamente, con Labrie che tocca gli usuali picchi altissimi; segue una svisata Petrucci-Rudess che mai avremmo creduto poter essere rassicurante. E' che ci mancava, dopotutto siamo sempre dei nostalgici.

 

Composita anche la successiva Heaven's Cove, che introduce il divenire della storia,ed è composta da un breve cantato su toni heavy dopo una lunga intro di tre minuti in cui Rudess dà prova che si può anche far commuovere con un moog.

 

E a proposito di commuovere, lenta e commovente e questa volta nella sua totalità, è anche la successiva Begin Again. Assoli strappalacrime, di nuovo temi degni dei migliori film Disney -e alzi la mano chi non ha mai pianto davanti a quelli, e in generale una ballad veramente ben costruita. Dopo le tragedie, è possibile ritrovare la speranza e ricominciare.

 

The Path That Divides arriva ad introdurre il momento più concitato degli avvenimenti, e quindi della musica, prima della conclusione. Atmosfere dure e incalzanti danzano su un numero inusitato di cambi, la costante delle riprese dei temi è in questo caso solo un sottofondo. Nuova ed estremamente interessante è una digressione vocale velocissima, che satura di parole una musica già di suo carica; ritorna la classica svisata prog metal strumentale alla fine, fra tempi dispari, scale modali e synth aggressivi.

 

In questo tripudio, il colpo di scena introdotto in Moment Of Betrayal trova una realizzazione: forse che il tradimento è avvenuto?

I rumori dell'ennesima traccia NOMACS (Machine Chatter) ci proiettano allora verso le fasi finali del disco: The Walking Shadow e la successiva My Last Farewell, ancora incalzanti, heavy e intrecciate in complicati cluster di accordi, vedono un Labrie decisamente...arrabbiato. Sporco il cantato nella prima, variegato e inaspettato nella seconda: un trionfo di cambi su partiture ultratenorili trova la sua degna conclusione con un urlo selvaggio. E non si tratta di un acuto, è esattamente un urlo.

 

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 E di certo non un urlo di poco conto, considerato che la traccia successiva si apre con due voci che piangono. Losing Faythe, eloquente nel titolo, è la ballad più triste del disco, dell'ottima fattura che ha caratterizzato tutte le canzoni del genere in questo album. Non si sprofonda comunque nell'oblio della disperazione: la musica accende ancora una speranza, con l'armonia di un ritornello e con un solo che anticipano il finale epico.

 

E per chi avesse ancora voglia di lacrime, un'ultima ballad, chicca di poco più di un minuto, chiude definitivamente la storia dei personaggi: Whispers On The Wind ricalca, a differenza della track che la precede, melodie più classiche.

 

Siamo proprio agli ultimi squilli di tromba (anche letteralmente parlando).

 

Con Hymn Of A Thousand Voices si sugella ciò che è la fine di un'era; questo rock soffice e sinfonico si contrappone con la seguente Our New World, emblema dell'inzio di un'era successiva.

 

Una delle poche canzoni, assieme a Gift Of Music e A New Beginning, ad uscire leggermente dalla grande e piacevole cornice di rock opera, la traccia 32 si apre con un roboante riff di chitarra d'altri tempi, e risulta una interessante digressione verso sonorità più hard rock, nello stile che i Dream Theater avevano già dimostrato in altri lavori; un AOR addolcito da Rudess e indurito da Petrucci.

 

E ora?


Siamo alla traccia numero 33, il che significa che siamo esattamente alla conclusione del disco.

 

Un viaggio musicale ma anche fortemente romanzesco; la rinascita della musica attraverso differenti personaggi, differenti momenti e tematiche, fra il teatrale e il topico, trova finalmente un riposo.

 

E allora, Power Down. Gli ultimi effetti sonori del NOMACS chiudono le porte dell'Impero Del Nord.

 

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Non tutto, però, finisce allo spegnersi delle luci.

 

Ultima canzone dell'album, il gran finale di un'opera enorme. Si tratta, come tradizione classica vuole, di una reprise dei temi portanti. Una reprise per ricordare il viaggio passato, i momenti vissuti, ma anche per introdurre un'ultima fiammella di speranza per l'eroico, per lo sbalorditivo.

 

The Astonishing.




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