Gli estremi di John Frusciante
«Non ho ottenuto quello che volevo, ma non mi interessava riuscirci. Ho visto che la vita mi stava prendendo in giro e ho guardato avanti»


Articolo a cura di Marta Scamozzi - Pubblicata in data: 29/12/19

 26 is a number much too small for someone’s golden years

 "Feasting on the Flowers", 2016 

 

Centinaia di ragazzini partono in cerca di notorietà: tutti diretti verso ovest, desiderosi di affondare tra le braccia della città più luminosa degli Stati Uniti d’America. La California di fine anni Ottanta è la terra degli eccessi, dei sogni in equilibrio su una corda d’oro; è difficile rimanere in piedi, ma chi ce la fa ha vinto. Questo è lo specchio dell’essere un musicista a Los Angeles alla fine del decennio. Un eccitante percorso ad ostacoli che ti porta a toccare il cielo con un dito in un secondo e ti scaraventa giù un secondo dopo, seguendo il circolo del mondo affascinante e pericoloso della droga e dell’alcool, trascinati dall’animo della cultura rock’n’roll: in questa città, se sopravvivi hai vinto e le probabilità di sfondare sono tante. 

 

Il rock sta diventando uno stile di vita sempre più convincente in uno scenario variopinto e ricco di sfumature. Questi sono gli anni in cui Tom Morello spinge la musica alternativa su nuove frontiere con i Rage Against The Machine e in cui i Motlely Crue e i Guns’n’Roses portano al limite lo stereotipo di glam rock.  Una guerra vera e propria, che lascia dietro di sé uno strascico di giovani morti. Hillel Slovak, ad esempio, è tra questi. 

 

Il 27 giugno del 1988 il chitarrista ventiseienne, nonché membro fondatore e anima di una giovane funk rock band californiana dal nome Red Hot Chili Peppers, muore per overdose di eroina. I restanti membri del gruppo, che a loro volta sono infilati nel cerchio delle dipendenze, si trovano così a dover fare i conti con la propria presunzione di immortalità. L’impatto psicologico è devastante: il batterista Jack Irons lascia il gruppo, il bassista Flea e il cantante Anthony Kiedis cominciano a pensare alle conseguenze di quella vita senza limiti, iniziando a riflettere sulle proprie dipendenze. Nonostante tutto, la musica è sempre lì, l’ancora a cui aggrapparsi e il sogno dorato in cui credere. Il candidato più adatto a riempire il vuoto lasciato da Slovak, sorprendentemente, è un ragazzino.

Si chiama John Frusciante, ha imparato a suonare la chitarra grazie alla musica di Frank Zappa e segue l’onda del brulicante panorama musicale che caratterizza la West Coast di fine anni Ottanta. Sembra uno di quei racconti disneyani: i Red Hot Chili Peppers sono la band preferita di Frusciante, in particolare proprio Slovak è il chitarrista a cui si ispira maggiormente ammaliato dalla sua tecnica e dal suo stile. A diciotto anni è ad un passo dell’entrare nella band di Frank Zappa con un contratto che potrebbe rivelarsi il trampolino di lancio verso la gloria. A causa delle regole proibitive imposte da Zappa riguardo all’uso di droga, Frusciante è costretto a declinare l’offerta. Il ragazzo però viene notato da Flea, impressionato dalle sue capacità. Frusciante non solo ha la responsabilità di riempire il vuoto lasciato dalla chitarra di Hillel in una delle band più innovative del decennio, ma deve anche fare gruppo con ragazzi che hanno da poco perso il loro migliore amico.  L’eredità lasciata da Slovak è pesante e, seppur raccolta in modo magistrale, porta con sé delle conseguenze. 

 

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“Never too soon to be through, being cool too much too soon” 
"Knock Me down", 1989
 

 

John non ha esperienza nella grande industria musicale, non ha alle spalle nessun tipo di militanza in band sotto contratto e, soprattutto, non è un chitarrista funk rock. Tutto ciò che il neo componente dei Red Hot Chili Peppers ha imparato riguardo al funky lo ha semplicemente assimilato osservando e ammirando le esibizioni dei suoi neo compagni. Rispettoso dell’eredità che porta dietro, sia come musicista che come ammiratore, Frusciante non si espone, punta ad avere il ruolo di comparsa in una band che già si affaccia sulla storia, nessuna pretesa di imporre il proprio stile ancora acerbo. Le sue intenzioni però vengono contrastate dal produttore Michael Beinhorn che vuole modificare il marchio di fabbrica dei Red Hot: il sound della chitarra deve essere più duro.
 

“Mother’s Milk” è il primo album della band californiana con Frusciante alle sei corde, nonché un punto di svolta decisivo, anche se ben mascherato. Nonostante il sound della band non presenti significative variazioni stilistiche rispetto ai lavori precedenti, se si ascolta con attenzione è palese quanto lo stile della chitarra proponga qualcosa di totalmente diverso dai riff freschi di Slovak, che si amalgamavano a quelli del basso fino quasi a confondersi. Il nuovo sound è distorto, duro, con influenze metal. John si trova diviso tra il desiderio di riprodurre la musicalità e lo spirito di Hillel Slovak e le esigenze di produzione che lo stanno conducendo da tutt’altra parte. Nonostante la pressione psicologica, il risultato finale non è così male, anzi. “Mother’s Milk” è una delle punte di diamante nella discograzia della band californiana e plasma il personalissimo sound di Frusciante: un hard rock morbido con influenze necessariamente funky che contribuirà a rendere l’album successivo uno tra i migliori lavori rock del ventesimo secolo. 

 

“Blood Sugar Sex Magik” esce nel 1991 e segna il picco del successo dei Red Hot Chili Peppers. Le influenze funky guidano un rock’n’roll più facile da approcciare, più accessibile ma non per questo più semplice, poliedrico, che a tratti strizza l’occhio al rap. La chitarra e il basso alternano il ruolo da protagonista, mentre la linea melodica decisa della voce amplifica l’orecchiabilità del lavoro. “Blood Sugar Sex Magik” è decisamente il punto di svolta, non solo per la carriera di John Frusciante, non solo per la storia dei Red Hot Chili Peppers, ma anche per tutto il rock alternativo contemporaneo; è una di quelle boe che dividono la riva dal mare aperto. Una volta oltrepassata, ci si rende conto che la musica rock è composta da mille sfumature e non deve necessariamente essere incanalata in una definizione. I generi si possono mescolare, le sperimentazioni possibili sono infinite e gli anni Novanta sono un ottimo momento per combinarle tutte, alla ricerca di qualcosa di nuovo. 

 

Il successo mediatico di quell’album è spaziale, e il ventunenne John si trova a volare troppo in alto, troppo presto. Sviluppa una certa repulsione per quello stile di vita rock‘n’roll che all’inizio sembrava così affascinante: i continui spostamenti su un tour bus diventano stancanti, le groupie diventano monotone. La musica, lentamente ma inesorabilmente passa in secondo piano e tutto ad un tratto l’abitudine prende il sopravvento: non c’è niente di nuovo.  John Frusciante non è il primo e non sarà l'ultimo a soffrire gli effetti collaterali di una fama eccessivamente grande e improvvisa. 

 

 

 

“It's been so long since I've felt the heat of the sun on my paw” 
"Smiles From The Streets You Hold", 1997

 

 

Tutto ciò fa sì che John lasci i Red Hot Chili Peppers nel 1992. “Ero diventato troppo drogato, tutto si era spinto troppo lontano, troppo velocemente”. Le cose da fare erano tante: tenere in piedi la maschera da rockstar in accordo con i ritmi serrati del tour, rimanendo fedele all’immagine di chitarrista creativo. Nel frattempo, consolidare il rapporto con i compagni, bilanciando lo spirito di gruppo con l’esigenza di tenere il passo con il successo di "Blood Sugar". In tutto ciò, rimanere vivo e, possibilmente, pulito. L’allontanamento di John dal gruppo fu uno di quegli avvenimenti che nessuno impone, nessuno sceglie, ma, semplicemente, succede. Tutti sanno che, pur non essendo giusto, è l’unico epilogo possibile. Senza la band che lo ha portato al successo, John si trova a ritornare a respirare i suoi ritmi, rallentati da una depressione cronica gestita da massicce dosi di eroina e cocaina. Dal momento stesso in cui inizia a drogarsi, John si sente felice. 

La Los Angeles dei primi anni Novanta è il teatro di eccessi e Frusciante ne abbraccia totalmente lo stile. Il degenero era cominciato durante le registrazioni di "Blood Sugar" con qualche grammo di marjuana, ed era gradualmente precipitato con l’high class del circolo di artisti californiani a fare da contorno – che nel frattempo cadevano come ciliegie, dimenticati sui marciapiedi, in preda a convulsioni da overdose. In questo contesto, un John Frusciante alienato, allucinato e depresso, intraprende una carriera solista caratterizzata da una produzione estremamente intima, che rispecchia una fragilità mentale travolgente. “Smiles Of The Streets You Hold”, uscito nel 1997, smaschera la felicità apparente di John. L’album non è altro che sofferenza viscerale, un grido di dolore perfettamente descritto da un artista introverso con una carica emotiva sorprendente. 

 

 

“How long, how long will I slide? Separate my side, I don't, I don't believe it's bad”

"Otherside", 1999

 

La stessa propensione all’estremo che ha portato Frusciante sull’orlo della tomba durante i suoi anni di dipendenza lo salverà portandolo a rinnegare qualsiasi forma di piacere. Arrivato a un passo dalla morte a causa di un’infezione orale, devastato dalle droghe, John sceglie l’astinenza. Diventa pulito, smette di bere, si nutre esclusivamente di cibo non processato, abbraccia la filosofia vipassana, pratica yoga, si astiene da pratiche sessuali. Un equilibrio stabile completamente opposto da quello che ha caratterizzato gli anni immediatamente precedenti, raccontato  tra le criptiche note dell’album solista "To Record Only Water for Ten Days".  Il lato completamente pulito di John e quello distrutto coesistono nella stessa persona, senza mai trovare mezze misure, senza mai incontrarsi. Un potenziale ritorno nei Red Hot Chili Peppers potrebbe comprometterne la stabilità, ma John non lo sa, e nel 1998 si riunisce ai vecchi compagni. Un anno dopo, nel 1999 esce “Californication”, il successo commerciale dei Red Hot Chili Peppers. Si tratta di un album perfetto, in cui ogni canzone riassume appieno il percorso della band con e senza Frusciante, la mentalità dei componenti e le loro esperienze di vita. Sull’onda dello stesso successo, il 2002 è l’anno di “By The Way”, registrato durante uno di quelli che Frusciante definisce “uno dei periodi più tranquilli della mia vita”. Nel 2004, John pubblica quattro album solisti, a testimonianza del fatto che la propria crescita personale è andata di pari passo con un’evoluzione artistica fuori dal comune. Riassumere tutto ciò che emerge da "Shadows Collide With People", "The Will to Death", "Inside of Emptiness" e "A Sphere in the Heart of Silence" è praticamente impossibile; tuttavia, questi album hanno qualcosa in comune, che è la caratteristica viscerale della sua produzione solista: una totale sincerità, espressa tramite la completa messa a nudo dell’Io più intimo dell’artista. La chitarra parla, mentre la voce è come un pennello che dipinge i sentimenti del chitarrista, mettendoli a disposizione del mondo. I lavori solisti di John contribuiscono a modificarne il suo ruolo nei Red Hot Chili Peppers, che in “Stadium Arcadium” (2006) diventa più imponente. La chitarra è protagonista ed esprime una pesante emotività, e la presenza della voce di John nelle parti vocali diventa più massiccia.

 

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“This is my last shot, I'll always be less that my other selves, so I feel like I'm competing with someone else, who I could never beat in a million years”

"Dark Light", 2009


Sfiniti dalla notorietà seguita a "Californication", dopo "Stadium Arcadium" i Red Hot Chili Peppers decidono di fermarsi, prendere un respiro, e guardarsi intorno. Il periodo di pausa dura relativamente poco: nel 2009, i Red Hot Chili Peppers annunciano il ritorno sui palchi di tutto il mondo. Dietro le sei corde, però, non c’è più John Frusciante, bensì Josh Klinghoffer, giovane promessa che ha collaborato con lo storico chitarrista in precedenza e che ne ha assorbito l'influenza e lo stile. La strada di Frusciante quindi, ancora una volta, si separa da quella dei Red Hot Chili Peppers e pare che questa volta sia davvero per sempre. A rinforzarne la tesi arriva la sua successiva carriera solista, concettualmente lontana dalla sua produzione nei RHCP, contaminata da influenze elettroniche e le sue svariate collaborazioni; il suo lavoro sott'ombra, la sua decisione di dar vita alla sua arte in maniera assolutamente silenziosa lo rende un personaggio quasi mistico e innominabile, un artista quasi saggio, decisamente lontano da quell'artista che era stato tra il 1989 e il 1999. Nel frattempo i RHCP proseguono con Klinghoffer uno stile di rock alternativo, decisamente lontano dai loro tempi d'oro, che strizza l’occhio al pop e da qui nascono "I'm With You" nel 2011 e "The Gateway" nel 2016, diversi tour mondiali che vedono un cambiamento netto a livello di pubblico e un'energia molto diversa. 


Il 15 dicembre del 2019, con un anonimo e imponente post su Instagram, i Red Hot Chili Peppers annunciano l’abbandono di Klinghoffer; al suo posto, inaspettatamente, tornerà John Frusciante. Una vera e propria sorpresa, tanto da aver fatto subito pensare a una fake news opera di un hacker burlone. E invece no: la notizia in pochi minuti fa il giro del mondo e viene ufficializzata dalla band stessa su tutti i suoi canali. Intanto un tour mondiale è stato annunciato, con tappa italiana al Firenze Rocks 2020, si vocifera anche di un nuovo album e il ritorno di Frusciante fa pensare a una vera "rinascita" della band, appiattita dalle mode e dai trend.  

 

L’anima tormentata di Frusciante non è mai appartenuta ai Red Hot Chili Peppers: l’equilibrio mentale del chitarrista è sempre stato un compromesso, schiacciato tra la band che lo ha portato prima al successo e poi all’oblio, e la sua creativa immaginazione che si sfoga liberamente nei lavori solisti e nelle collaborazioni. Viene da chiedersi come mai, adesso, John Frusciante stia rientrando nei Red Hot Chili Peppers per la terza volta, dopo un esattamente un decennio, fatto tanto atteso quanto inusuale. Forse, la risposta sta proprio in quella singolare immaginazione indipendente che ha reso Frusciante diverso fin dall’inizio: prima troppo giovane, poi troppo "tossico", poi troppo alienato, poi troppo presente. Quello stesso stile unico è ciò che gli ha impedito di diventare una copia di Hillel Slovak nonostante le sue stesse intenzioni iniziali. La singolarità di Frusciante è stata l’elemento cruciale che ha permesso al sound dei Red Hot Chili Peppers di rinnovarsi costantemente nell’arco degli ultimi trent’anni e, dal suo ritorno, non ci si può che aspettare una bomba emotiva di innovazione, alla costante ricerca di nuovi sound, nuove frontiere e nuove sfide. 




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