L’estinzione dei ribelli
Rock’n’roll e musica live sono ufficialmente specie a rischio? Don’t stop believing.


Articolo a cura di Marilena Ferranti - Pubblicata in data: 14/05/19

"Il rock'n'roll non è solo musica, è qualcosa che percepisci nell'aria"

 

Questa citazione di Eddie Cochran racchiude in poche parole tutti i significati possibili di un credo in nome del quale in molti hanno modellato intere esistenze. Se pensiamo che "Rocking" era un termine utilizzato dai cantanti gospel nel Sud degli USA per indicare qualcosa di simile all'estasi mistica non è difficile immaginare quali sensazioni si possano arrivare a provare una volta in contatto con questa magia.
Perchè il Rock fin dalle sue più remote origini ha gettato le basi per qualcosa di molto più complesso di un genere musicale, ha favorito le interazioni sociali fondendo il blues dei neri e la musica country dei bianchi, e questo fenomeno ha avuto una portata ben al di sopra di un primo posto in classifica per qualche settimana. Sarebbe meraviglioso che la nuova generazione di musicisti rock si fermasse ad ammirare il fermento della Memphis degli anni '50 col nuovo blues urbano di B.B. King e Roscoe Gordon. Molti nomi e ricordi affondano le proprie radici in quel periodo storico, a cominciare da Elvis Presley, Chuck Berry, Fats Domino e Little Richard, tutte figure chiave di un vero e proprio movimento, quel "qualcosa" che percepiamo nell'aria tuttora. Eppure, nell'arco di qualche decennio e moltissimi stili più tardi, ci ritroviamo oggi, anno 2019, a guardare con tristezza il lento e inesorabile declino di quel fermento creativo, moltissimi locali di musica live abbassare le saracinesche per sempre, e vecchie glorie guardare con una lancinante nostalgia ai tempi che furono.

 

Il rock non è mai stato "solo" un genere musicale; rappresenta un'interpretazione ben precisa della realtà, un insieme di significati che sono culminati negli episodi che hanno scritto la storia, come la prima apparizione dei Beatles all'Ed Sullivan Show, la chitarra in fiamme di Jimi Hendrix sul palco del Monterey Pop Festival, Chuck Berry che inventa il Duck Walk, l'esibizione dei Rolling Stones al Marquee Club di Londra nel '62, il primo grande raduno rock al Monterey Festival del '67, Woodstock, la rivoluzione punk dei Ramones, l'anarchia dei Sex Pistols, la morte di Elvis, l'omicidio di Lennon, il concerto a Wembley dei Queen, i Pink Floyd nella Laguna di Venezia, il Live Aid del 1985... il rock è sempre stato "manifestazione", non solo dischi e classifiche, ma condivisione, esibizione, un rituale di scambio energetico che emana un fascino irresistibile difficilmente paragonabile ad altre forme di espressione.
Eppure tutto questo sembra non trovare più terreno fertile nell'era del conformismo musicale, della condivisione istantanea, delle meteore da talent show e della crescente monotonia creativa. Ci sarà sempre musica dal vivo, certo; ma sperimentare suoni nuovi e unici provenienti da diverse prospettive culturali esterne sarà sempre più difficile, e la musica diventerà più debole di conseguenza. Solo nell'ultimo decennio più della metà dei locali di musica live londinese hanno affrontato un rovinoso declino tra regolamenti di pianificazione e di abbattimento del rumore, il costo degli affitti, per non parlare del grande esborso in termini organizzativi. La storia è simile in tutto il Regno Unito, e l'Italia non è da meno. La magia dei piccoli locali sta nell'offrire uno spazio dedicato alla musica per le band locali che possono affinare e mettere in discussione il loro suono, permettere al pubblico di ascoltare e toccare con mano la connessione con nuove forme di espressione. Un locale di musica live dovrebbe essere un luogo per l'esplorazione, un ritrovo di appassionati, ribelli, persone piene di speranza.

 

pinkfloydvenezia

 

Probabilmente chi ha 20 anni oggi, in un momento storico nel quale forse le uniche comunità socialmente rappresentate sono quelle online, si starà chiedendo che bisogno ci sia di trovare un posto fisico dove riunirsi, fare quello che un tempo era considerato socialmente inaccettabile, se è già possibile crearsi il proprio angolo di mondo libero dal proprio dispositivo portatile? Questa distorsione della realtà che tende alla perfezione ha inquinato e ridotto drasticamente il bisogno di unicità espressiva, quella voglia di sentire la versione più sporca e sopra le righe del pezzo che abbiamo ascoltato e idealizzato in streaming per il tempo di qualche riproduzione. E mancano senza dubbio il senso di appartenenza ad un movimento, ad un pensiero che riconosca le interconnessioni tra le forme espressive.
Oggi per i nuovi fan è molto difficile tracciare influenze e interconnessioni tra i gruppi contemporanei perchè siamo davanti ad un declino spaventoso dell'innovazione a favore di un triste appiattimento musicale. Quello che sembra emergere è che ci sia qualcosa di ben preciso che accomuna fortemente le hit di successo di oggi: gli artisti si assumono meno rischi e creano una gamma più ristretta di suoni. Per fare un esempio concreto allargando il concetto alla musica in generale: ciò che determina la composizione di una canzone è un insieme di dati che è stato analizzato dal Music Genome Project, il motore che alimenta Pandora. I dati sono prodotti da analisti musicali, che registrano una canzone sulla base di 400 attributi che valutano genere, voce, tempo, chiave e strumenti. Nel 2005, Tristan Jehan, un dottorando al MIT, pubblicò la sua tesi, "Creating Music By Listening", una struttura per la musica creata da AI. L'implicazione più immediata del lavoro di Jehan è stata la riduzione di un brano a un piccolo insieme di dati e variabili che ci dicono qualcosa sulla canzone in generale, come "valenza" (lo spettro felicità/tristezza) e "energia" (fino al livello "soporifero"). Poco dopo aver completato la sua tesi, Jehan ha co-fondato una società chiamata EchoNest, e i dati sono diventati un pilastro dei sistemi di raccomandazione di Spotify, determinando la somiglianza musicale e suggerendo accuratamente le canzoni che suonano allo stesso modo. Come possiamo pensare di scoprire cose nuove quando siamo pesantemente incoraggiati e costretti ad avvicinarci a cose replicate in serie?

 

Quando decidiamo cosa fare il venerdì sera oggi abbiamo molte più scelte di quelle che avevamo 10 o 20 anni fa. Potremmo trasmettere in streaming qualsiasi programma TV, film, canzone o concerto mai realizzato senza neppure alzarci dal divano. Sono lontani anni luce i tempi in cui era necessario vestirsi, uscire, raggiungere il locale più vicino per mettere quella monetina nel juke box e riprodurre ad alto volume la canzone preferita. Un artista oggi per convincere ed attrarre il pubblico deve fare molta più fatica di un tempo: certo è che moltissimi artisti che decidono di vivere di questo rischiosissimo mestiere dovrebbero sempre ricordare che se vuoi che sia un lavoro, devi trattarlo come tale  per avere successo. In molti sono troppo preoccupati per la loro integrità artistica per permettersi di farci dei soldi. È probabile che non sia possibile fare entrambe le cose, e la differenza tra i musicisti di successo e quelli non di successo non si riduce al solo talento, ma alla capacità di seguire le regole del music business e aspettarsi di non fare sempre cose così divertenti o "artistiche". Per quanto riguarda il pubblico, sembra sia andato perduto quel senso di anticipazione e di eccitazione nel sentire dal vivo una nuova band per la prima volta, un artista sconosciuto, finire a stringere amicizia col proprietario del locale e sentirsi parte di qualcosa di unico, di una famiglia allargata. Le giovani generazioni devono imparare a non accontentarsi di una gratificazione immediata, ma a desiderare di creare un contatto umano, tipico delle occasioni live.

 

legendclub

 

Eppure, dati alla mano, se parliamo di musica live, i record di incassi degli ultimi anni a livello globale sono ancora una volta quelli delle grandi rockband internazionali come U2, Guns ‘n' Roses e Coldplay. Verrebbe quindi da chiedersi perchè i concerti-evento sì e i concerti "minori" no? La differenza sta forse nella convinzione che sia socialmente più apprezzato e condivisibile prendere parte ad un macro evento super pubblicizzato i cui artisti sono all'apice della loro carriera piuttosto che raccontare di aver scoperto prima di tutti un spettacolare nuova band che propone pezzi inediti in quel localino della zona industriale della provincia di Modena? Possibile. Ne vogliamo parlare con alcuni dei protagonisti diretti della scena musicale, addetti ai lavori che si sono trovati a fare i conti con realtà durissime, ma anche con quelli che ancora rimangono in piedi e possono darci una panoramica di ciò che funziona, di ciò che manca e di cosa si potrebbe effettivamente fare per migliorare la situazione.

 

Filippo Puliafito - Direzione artistica Legend Club (MI)

 

Il rock è morto? Più facile dire che non è morto il rock ma chi parla di rock come un esperto del movimento criticando tutto e tutti e poi non si muove da casa per andare a vedere concerti minori, la cosa importante è farsi selfie ai grossi eventi! Il rock è nato come movimento di aggregazione/stile di vita, negli ultimi anni vedo solo polemiche su mille cose, quello che più mi dà fastidio è che molti musicisti non vanno a vedere altre band solo ed esclusivamente per invidia o per ripicche da quattro soldi, dimenticandosi che così un movimento nato per aggregare muore. Come attrarre pubblico ai concerti? Facendo promozione il più possibile e cercare di creare un'evento unico ed esclusivo quando si può. Quello che stiamo cercando da anni di fare con il Rock In Park che è nato apposta per creare quell'interazione tra band e pubblico, portando in giro il festival per varie città oltre a farlo come di consuetudine a Milano, a volte con buoni risultati, altre meno.

 

Alessandro Regis - Agente booking Bagana / ex - manager RnR Arena di Romagnano Sesia (NO)

 

Forse la vera domanda non è cosa funziona nel rock, ma come dici tu nel tuo pezzo "perchè i concerti-evento sì e i concerti "minori" no?". Come sempre, non c'è una sola risposta e tantomeno credo di poterla dare io, quale che fosse, quindi faccio una semplice considerazione: invece di chiederci cosa non funziona nel rock dovremmo capire cosa funziona "fuori" e (re)imparare a far amare il rock e quello che ha sempre rappresentato alle giovani generazioni. In una parola: ribellione. Il Rock è nato come urlo di sfogo dei "diversi" e, come oggi il rap e la trap, attrae chi ci si identifica, ovvero la gran parte del pubblico giovane, quello che potenzialmente andrebbe anche ai concerti minori. Quel pubblico che da sempre cerca un faro, che per "noi" è stato Kurt Cobain, James Hetfield o Axl Rose e per loro è Salmo - che per me spacca - o (dio perdonali) Sfera Ebbasta o Achille Lauro. Loro parlano il linguaggio che appartiene ai giovani, piaccia o meno; "noi" rockers dobbiamo ricominciare a preoccuparci della sostanza più che della forma. Più ore in sala prove e meno tempo a pensare alle foto promozionali, al merch, al logo. Altrettanto importanti, ma se non hai i pezzi tutto il resto è fumo. Sarò old-school, ma è il palco che fa la differenza vera. Più selezione, no pay-to-play, ridare valore a chi ne ha e gli altri in saletta a provare. I ragazzi devono morire dalla voglia di poter salire su un palco e spaccare i culi, non bisogna regalarglielo, o il risultato è che avremo sempre un mare di gruppi inutili sui palchi e ovviamente locali vuoti perché a parte i quattro amici (quando ci sono) nessuno va a vedere ‘sta gente per un semplice motivo: non servono a niente.

 

foofightersfirenzepubblico

 

Andrea Dolzan - Socio & Art Director Officine Sonore (VC)

 

Il rock nell'underground non è mai morto: cambia solo da locale a locale, di città in città.
Sono stato in realtà minuscole dove si respirava rock and roll, sudore e alcool ed in realtà giganti dove l'essenziale era contare gli ingressi ed i relativi incassi.
Fare soldi è importante per mantenere vivo un locale ma "la gente" non è inetta, la "massa" si stufa facilmente. Bisogna offrire qualità ed intrattenimento! E' troppo facile lamentarsi della gente che non viene ai concerti se si fa lo stesso tributo agli Iron degli ultimi 10 anni. La direzione artistica, la gestione di un locale, il barista, sono lavori veri. Non ci si improvvisa Localaro.
Noi delle OffiTM (Officine Sonore) siamo tutti musicisti o grandi appassionati di musica e ci impegnano costantemente nella creazione di serate interessanti ed economicamente affabili: prima di prendere un artista o creare un evento ci chiediamo sempre "Se fossi libero ci andrei?"

 

E voi che ne pensate?




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