Chiaroscuro Rock (II Parte)
Lo stato di salute attuale del genere rivoluzionario per elezione


Articolo a cura di SpazioRock - Pubblicata in data: 04/01/19
Articolo a cura di Matteo Poli, Giovanni Ausoni, Dario Fabbri, Simone Zangarelli e Valerio Cesarini
 
 
Prendendo spunto dal pensiero di Zygmunt Bauman, e andando oltre esso, la celebre definizione di società liquida sembra adeguata anche a spiegare lo stato di salute del rock del XXI secolo. Con la crisi del concetto di comunità, infatti, è emerso un individualismo sfrenato, in cui nessuno appare più compagno di strada, ma antagonista di ciascuno. Tale soggettivismo ha compromesso le basi della post-modernità, l'ha resa debole; una situazione nella quale, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta, appunto, di liquidità. Le uniche soluzioni per l'individuo disorientato sono, da un lato, l'apparire a tutti costi come valore, dall'altro il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso appagante degli oggetti di desiderio, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all'altro in una sorta di bulimia senza scopo. Ora, risulta facile ravvisare in tale analisi il gorgo stesso in cui sembra caduta la musica rock: se l'arte è figlia della società del periodo di riferimento, ebbene, bisogna ammettere che il rock soffre della medesima liquidità: presenze ai concerti ridotte al lumicino, net label piccolissime che si pregiano di conservare la fiammella dell'identità comunitaria, la proliferazione di supporti svuotati di tatto e sentimento, la rete quale sinonimo di fluidità non controllabile per eccellenza. Certo, l'altra faccia della medaglia è la grande possibilità per tutti di avvicinarsi alla musica come attori e fruitori, ed è difficilissimo che nella generalizzata specializzazione degli ascolti, il singolo artista giunga ai seguiti oceanici dell'epoca del rock di massa; d'altra parte, forse la frammentazione puntillistica rappresenta una possibilità di nuove aggregazioni di genere. Oppure, forse, ci stiamo dirigendo già oltre la società liquida, persi in un interregno di cui ancora non si conoscono le conseguenze: il rock respira di questo passaggio fondamentale, approssimandosi a un necessario e definitivo dissolvimento da cui uscirà nuovamente trasformato e ancora vivo. 
 
Più facile, meno rischioso, più smart, meno dispendioso, più produttivo e certo più rapido fare tutto da sé. Non è il caso qui di elencare tutti i progetti solisti che proliferano, con risultati eccellenti e superiori a quelli di decine di band. Lavori ultraprofessionali che in passato mai si sarebbe potuto sognare di produrre entro quattro mura domestiche oggi, con un buon processore, un po' di pazienza e alcune ore in studio non sono più un traguardo irraggiungibile. Ma si ha spesso la sensazione che i lavori solisti e buona parte della musica elettronica odierna (ovviamente al di là dei giudizi di gusto e di valore), nati nel chiuso di una stanza o di un cervello o di un processore, portino tutti con sé una sottrazione di realtà, una buona dose di solitudine e immedicabile nostalgia per quel buon vecchio "suonare insieme all'aria aperta", per molti versi oggi improponibile. Perché non è l'idea, ma il patto a farci sentire reali. 
 
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E allora qual è il tipo di musica rock che ci rappresenta oggi? La fiorente scena underground, europea sopratutto, del power electronics appare una delle risposte più convincenti al quesito: una musica atonale, priva di ritmo e melodie, con testi lontani da qualsiasi tentativo di normalizzazione e censura, l'espressione del rumore nella sua forma radicale, rappresenta una delle più valide reazioni del rock all'interregno citato prima. Ufficialmente agli inglesi Whitehouse viene attribuita la paternità di un genere che estremizza ulteriormente il linguaggio della musica industriale, portandolo alle sue estreme conseguenze. Il power electronics dispiega un'analisi spietata della collettività, dei conflitti, della violenza insensata, del concetto di libertà ed è soprattutto provocazione, perché è attraverso questa che gli artisti cercano di risvegliare il pensiero dormiente e remissivo nei confronti di tutto quello che la società ci propone quotidianamente, di dare voce a un'umanità che ha messo da parte l'inconscio perché ingombrante. Dal punto di vista musicale si tratta di puro zampillo rumoristico, ultra distorto e manipolato da musicisti/sciamani, talvolta infarcito da vocals anch'esse alterate in grado di frastornare l'ascoltatore. La sua bellezza sta nell'autenticità espressiva prorompente, nella fuga da qualsiasi paletto ritmico, nell'emancipazione più assoluta. D'accordo, forse sembra la contraddizione stessa della definizione di rock, ma la mutazione porta a organismi geneticamente modificati che appaiono mostri a orecchie imbalsamate dalla standardizzazione sonora dei non luoghi, ma che sembra l'unica soluzione possibile a un mondo in metamorfosi che tende, però, a ovattare le emozioni. L'alternativa è far rumore, nella maniera più anarchica possibile, per manifestare un disagio che le protest songs, la canzone d'autore, il concetto stesso di rock band come unione di spiriti creativi con la fanciullesca pretesa di denunciare e modificare lo status quo, non riescono più a trasmettere perché terribilmente anacronistiche.

 

Restando in terra d'Albione, un altro mercato in continuo fermento è sicuramente quello dell'Indie/Alternative Rock, basti pensare alle svariate band che sono emerse dal Regno Unito negli ultimi anni. Tra le più famose, impossibile non citare i Royal Blood, i Nothing But Thieves e gli You Me At Six, i quali stanno praticando una forte concorrenza ai pilastri della musica Rock d'oltremanica, presentando spesso un sound molto simile a quest'ultimi. Sempre per quanto riguarda l'Inghilterra, continuano ad arrivare segnali positivi dal fronte della continuità. Sono numerosissimi i gruppi che hanno ottenuto successo nei decenni passati e che compongono e producono tutt'ora musica con un'ottima frequenza: esempio lampante è la periodicità con cui i Muse pubblicano dischi o singoli, oppure il numero di album prodotti da pietre miliari come i Judas Priest in questi ultimi anni (uno anche nel 2018), per non parlare della quantità di canzoni in cui ha partecipato Paul McCartney recentemente, solo per citare alcuni dei nomi che hanno segnato la storia del proprio genere. Per riassumere: se da una parte i dati relativi alle vendite sostengono con forza chi ritiene che il rock stia morendo, dall'altra è innegabile che le proposte emergenti sono numerose e che buona parte della "vecchia guardia" pare non aver voglia di gettare la spugna. Osservando l'insieme degli elementi presi in considerazione per quanto concerne il mercato del Rock inglese, emerge che quest'ultimo è fortemente variegato, in continuo sviluppo ed è in grado di apprezzare tutt'ora le band che hanno scritto le pagine della storia meno recente dei rispettivi generi. Inoltre, è possibile notare che, oltre alla numerosità delle band emergenti e dei gruppi consacrati, esistono anche svariati artisti che stanno cercando di confermarsi disco dopo disco: questo è il caso, tra gli altri, degli Editors e dei Franz Ferdinand. Grazie all'abbondanza dei nomi di cui è composto, il mercato del Rock inglese offre molteplici spunti di riflessione e, se preso isolatamente, può far sembrare che la musica Rock goda di buona salute, al di là della dimensione soggettiva delle opinioni personali.

 

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Com'è invece la situazione in casa nostra? Non delle migliori. Sia a causa di un mercato discografico che tende a dare spazio a generi d'"importazione", sia per un'inversione di tendenza nei gusti dei più giovani, il 2018 non è risultato un anno particolarmente prolifico per il rock italiano. Certo, le eccezioni non mancano: ci pensano i Negrita con "Desert Yacht Club" e i Subsonica con "8" a risollevare le sorti del genere, ma in questo caso si tratta di un rock ibridato con la dance elettronica, formula con cui la band di Torino si è sempre caratterizzata. Che il rock italiano non riesca più a rinnovarsi nella sua forma tradizionale? La soluzione a questa crisi è da ricercarsi altrove, in altri generi più accattivanti? Guardando l'esempio di Willie Peyote (che tra l'altro duetta nel nuovo album dei Subsonica) sembra la commistione di rock e rap a catturare maggior interesse.


Si registra anche una seconda tendenza: sembra infatti che il rock nostrano preferisca guardare ai fasti del passato piuttosto che creare nuovi modelli di riferimento. Non solo è giunta da poco la notizia di un nuovo disco dei Massimo Volume a distanza di 5 dall'ultimo, ma questo 2018 ha visto la ricomparsa di due band importanti per il nostro orizzonte musicale. In primis l'acclamata réunion del gruppo post punk Prozac +, che hanno riscosso un notevole successo all'Home Festival, dopo 13 anni di assenza dalle scene. Meno fortunata l'accoglienza dei Decibel, riunitisi nel 2017 ma notati dal grande pubblico lo scorso febbraio con il brano "Lettera dal Duca", portato al festival di Sanremo. Un brano che omaggia David Bowie, sicuramente fondamentale per la formazione artistica del gruppo, ma in questo caso si tratta di un'operazione di rivisitazione di vecchie ispirazioni, piuttosto che la creazione di nuovi modelli musicali. Per rimanere in tema Sanremo, il 2018 è anche stato l'anno dell' (presunto) addio degli Elio e le Storie Tese, proprio sul palco del Festival con il brano "Arrivedorci". Di nuovo e più che mai ora, siamo lontani da un'auspicato elemento di novità, tant'è che il brano non convince nemmeno alcuni fan.
 
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Se il rock in Italia sta attraversando un momento difficile, altrettanto non si può dire per quello che viene (a volte impropriamente) definito "indie". Ad oggi si tratta di una delle poche categorie che gode di buona salute, trainata da Gazzelle, Calcutta ma soprattutto dai padri dell'ondata "indie/alternative": i Baustelle. Tutti e tre artisti usciti quest'anno con un nuovo disco, Calcutta e il successo di Evergreen, Gazzelle con "Punk", e il gruppo di Francesco Bianconi con la seconda parte de "L'Amore e La Violenza". Proprio sui Baustelle le aspettative erano elevate vista la buona riuscita del primo atto, aspettative in parte attese anche con l'ultimo lavoro ma meno convincente in generale. Come caso a parte si registra il fenomeno Maneskin, accolti da un grande successo grazie ad un paio di singoli, ma che hanno dato alle stampe un disco poco ispirato, una proposta pop rock che non sarà probabilmente ricordata a lungo. 
 
Viene quindi da chiedersi dove sia finito il rock dei decenni scorsi, ma non è più quello il modello da avere un mente. Una rinascita stilistica che viaggia verso quella direzione è forse solo questione di tempo, ma oggi il linguaggio espressivo del rock italiano è cambiato: è nelle forme meno tradizionali, quelle della crasi tra più generi, e nelle sfumature meno mainstream che il genere si autodetermina. La questione allora si sposta sul piano dei contenuti, a volte carenti, consapevoli però che un percorso musicale ancora in fieri potrebbe regalarci piacevoli sorprese per l'anno a venire.

 

Per capire di cosa vive (o muore) il rock oggi potrebbe essere utile ripercorrerne l'evoluzione a ritroso. Se, fra i primi del 2000 e il 2010 si è assistito ad una parabola pop rock di rilievo, oggi quei generi che hanno le radici nel grunge di fine secolo sembrano non attrarre come in passato. Del resto lo stesso movimento nato a Seattle è esploso come una cometa, portando dietro di sé una scia molto luminosa, ma si è disintegrato impattando contro altri stili: le chitarre si sono fatte via via meno graffianti, la batteria frenetica ha smorzato la sua foga, e il basso è risultato meno martellante. La rivoluzione indie rock, portata alla ribalta dall'esordio degli Arctic Monkeys tramite internet (una novità del mezzo oltre che dei contenuti), ha segnato una tappa decisiva dello sviluppo del rock. In primis è cambiato il ruolo del pubblico. La percezione delle persone è quella di poter influire in modo attivo sul successo di una band, diventando una sorta di militante via social: pubblicizzare l'evento, diffondere la propria musica preferita, invitare gli "amici". Così si ha la sensazione di partecipare e ascoltare musica creata "su misura" per un gruppo di fan. È questa forse una delle chiavi del successo dell'indie rock, una mobilitazione volontaria, spesso portata avanti da giovani che non trovano altri modelli validi nel panorama mainstream. 
 
Inoltre, come già ripetuto, è cambiato il business musicale. Non è più il tempo delle major, le 3 sorelle che governano il mercato musicale globale, ma accanto ad esse spuntano come funghi realtà discografiche piccole e medie pronte a rimettere in discussione le regole di distribuzione e di marketing dei prodotti. Nascono le etichette online e figure come il social media manager, che ha l'arduo compito di far brillare l'artista sulle piattaforme quali Facebook, Instagram, YouTube, Spotify, ecc, dove tutto è quantificabile. Ma come è stato influenzato il rock da questo (rapido) cambiamento di strutture? La risposta sembra immediata: si è fatto più nazionalpopolare, più democratico, in apparenza più "accessibile". Per quanto riguarda il nostro paese basti dare un'occhiata ai testi. Il linguaggio si è semplificato, colorato di metafore ma decisamente più vicino al quotidiano (si guardi per esempio a Motta). La musica segue lo stesso processo, puntando ad un'austerità strutturale, ma concentrandosi di più sugli accostamenti armonici. Si punta così "alla pancia" degli ascoltatori. Senza sminuire questa evoluzione di linguaggio, di cui rimangono ancora da comprendere gli sviluppi a lungo termine, le voci fuori dal coro non mancano. Quello che si può notare è però un cambio di registro con cui è bene fare i conti.
 
E allora facendo i conti con approccio quasi scientifico si riescono a ridurre all'osso i più importanti aspetti dell'evoluzione del rock moderno: morte della musica venduta, estrema velocizzazione e consumabilità della musica-prodotto, ma un forse essenziale bisogno di sfogarsi che lascia il rock ancora vivo, benchè, naturalmente, evoluto ed adattato.
 
Uno dei riflessi più sorprendenti di un andamento così brusco è la nettissima scissione fra il rock che ancora riesce ad accedere al "mainstream", alle vendite - o meglio alle views e alle classifiche, e quello profondamente suonato, virtuoso, vivo e vegeto anch'esso ma catapultato in una grande nicchia. Trent'anni fa band e artisti di respiro mondiale non prescindevano dalla forza strumentale; attenzione: i grandi musicisti c'erano e ci sono nei dietro le quinte di quasi tutte le grandi produzioni; la scena dei sessionman di LA ha scolpito dischi dal più raffinato di Boz Scaggs a Let's Get Physical. Eppure non c'era nessun problema nel far risultare in alcuni dischi una evidente, anche ingombrante dimostrazione di tecnica, non c'era la necessità di denudare il tutto e il problema della complicazione, se necessario. Non che ciò non sia andato a scemare anche prima dei tempi della musica cibernetica, ma la forte differenza è che anche in un periodo, ad esempio, come gli anni 90 del grunge, le realtà più educate del rock hanno continuato la loro progressione, forse perdendo in vendite, ma rimanendo sotto una certa vetrina, magari in sordina, ma con - quasi - gli stessi occhi di sempre. 
Ad oggi, senza soffermarsi sulla controversa benedizione della tecnologia che rende molti musicisti superflui, la musica rock "da radio" risulta particolarmente, con ogni probabilità anche volutamente, stripped-down; se la concentrazione della perizia strumentale si concentra più sulla creazione di suoni ed atmosfere, il rock viscerale, suonato, complesso quanto è giusto, diventa la grande nicchia per appassionati, nostalgici, musicisti che guardano Joe Satriani su Youtube. Ma Joe Satriani non venderà mai più come i Coldplay.
 
Ed è peculiare il fatto che in altri generi, dal funk al pop più smielato, questa tendenza non sia verificata: guai a toccare gli strumentisti di Bruno Mars, e ricordiamo che il buon Nathan East era al basso in "Get Lucky". 
Verrebbe dunque da dire che forse tutto questo è figlio del fatto che il rock era ed è un genere larghissimo, forse il più largo... Talmente largo da prescindere ad un certo punto da effettivi contenuti e codifiche e trovare la sua identificazione più forte nello stile. E' rock ciò che è scatenato, che fa alzare il volume, che non fa necessariamente gridare ma colpisce nella pancia. E del rock, ad oggi, è rimasto certamente quello: lo stile. E forse solo quello può rimanere se l'attenzione che si dedica alla musica è drasticamente calata, riservando le preziose ore ad ascoltare le incredibili e complesse sfumature dei Toto a fare shuffle su Spotify. 
E, per quanto deprimente possa sembrare, è invece quasi un suggello per l'immortalità di un genere, in quanto insito in uno stato d'animo, in un bisogno fortunatamente mai sopito.
 
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In questo viaggio attraverso ombre e luci del genere che più amiamo, l'ultima parola resta ovviamente a chi ascolta e giorno per giorno costruisce il suo gusto. A noi piace immagginare il rock come un bambino capriccioso che ha sempre astutamente evitato di crescere abbastanza da farsi imbrigliare in una definizione o in una gabbia. Così continua a giocare con le nostre orecchie e, evitando di crescere e di farsi acciuffare, cambia sempre e non invecchia mai.

 




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