I Talent Show: un'opportunità trasformata in baraonda
Potevano essere la naturale evoluzione del classico talent scouting, con il giusto pizzico di spettacolarizzazione. Invece si sono trasformati in contenitori di colpi di scena e mero spettacolo


Articolo a cura di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 18/12/13

Anche quest’anno Amici, X-Factor, Io Canto, Italia’s Got Talent e la new entry (almeno, in Italia) The Voice hanno infarcito i palinsesti televisivi grossomodo con lo stesso canovaccio di sempre: tonnara di aspiranti cantanti, se si trova il personaggio con una storia che riesca ad appassionare il pubblico di casa a scapito delle reali doti artistiche tanto meglio, qualche baruffa tra giudici che non guasta mai e via di questo passo. Qualcosa, tuttavia, si sta visibilmente incrinando.

speciale_talent_2013_interno_nathalieNon è tanto una questione di ascolti, sempre piuttosto costanti (fatta eccezione per Io Canto, in discesa rispetto le edizioni precedenti), quanto piuttosto della qualità generale della proposta offerta che sta visibilmente crollando. Distanziandoci da possibili ed inutili commenti aprioristici della serie “questi programmi non hanno mai portato nulla di buono”, mai come quest’anno c’è stata la premiazione di due fattori particolari: l’anonimità e l’estetica. Cosa intendiamo? Presto detto.

Nelle edizioni precedenti dei vari talent, X-Factor in primis, vi erano alcuni personaggi che spiccavano davvero per una qualche qualità nel marasma generale delle selezioni e dei provini strabordanti di ricerca di successo, tracotanza o semplice mania di protagonismo. Un esempio lampante è Nathalie: non appena dichiarata vincitrice del programma, il primo a volerla immediatamente con sé in tour è stato niente poco di meno che Franco Battiato, non esattamente l’ultimo degli scribacchini (con tutto il rispetto per gli scribacchini), il quale tra l'altro ha dato volentieri il suo apporto nell'ultimo album della giovane cantante, “Anima Di Vento”. Se in più teniamo in conto che è tra le poche “scoperte televisive” che ancora oggi riesce a pubblicare dischi di una certa personalità, possiamo dire che i talent, dopotutto, qualcosa di buono l’hanno portato alla luce. Un’altra donna, Noemi, appena spenti i riflettori degli studi Rai si è trovata sotto l’ala protettiva di Fiorella Mannoia, e per un po’ anche lei è riuscita a tirar fuori qualcosa di valido in campo pop (pur chiaramente derivato e per certi versi smaccatamente Mannoia’ style). Anche AmbraMarie, pur allontanandosi dalle major che volevano affiancarle autori che scrivessero per lei, ha dimostrato di avere le carte in regola per realizzare buoni lavori (“3Anni2Mesi7Giorni” ne è l'esemplificazione).

Quest’anno invece la situazione ha avuto l'elettroencefalogramma drammaticamente piatto.

speciale_talent_2013_interno_amiciSorvolando su “Italia’s Got Talent”, talmente eterogeneo che spesso e volentieri pare la versione un po’ stucchevole della vecchia e gloriosa “La Corrida” del compianto Corrado, vogliamo partire con l’esempio più facile e sul quale tutti automaticamente si scagliano? Amici di Maria De Filippi è sempre stato l’emblema della banalità che però piace all’adolescente medio italiano, scovando talenti così canonici da risultare, dal punto di vista dell’industria discografica di consumo, perfetti: vince il programma, stampa immediata del singolo, successiva registrazione del disco di inediti, ragazzine urlanti ovunque, tour di successo, altri pianti di gioia/commozione e via così fino ad esaurimento linfa danarosa e vitale del giovane artista. Se tutto va bene sono cantanti che lasceranno il segno per tre, quattro anni, poi arrivederci e grazie, tutti ad annaspare nel calderone del pop italiano da sottofondo delle pulizie della domenica mattina. Quest’anno la situazione è stata anche peggiore, perché sulla scia del successo del filone hip-hop nostrano, il programma Mediaset ha avuto come vincitore indiscusso Moreno, ragazzo dalle doti di freestyle e di metter versi in rima che, francamente, lasciano davvero a desiderare, distante anni luce da ben altri esponenti del genere in Italia. In questo caso ha vinto la moda, o meglio la pantomima del trend attuale, il tentativo (un po’ grottesco, se vogliamo) di far sembrare il programma al passo coi tempi e coi giovani, senza contare il solito background con spunti commoventi su cui calcare la mano alla prima occasione. Prima ci si sarebbe potuti aggrappare persino alla mera potenza vocale, o alla fredda tecnica canora, qui invece non ci son proprio punti di ancoraggio.

Passando al “papà” dei talent show musicali, ovvero X-Factor, quest’anno ha donato lo scettro al diciannovenne Michele Bravi grazie ad una canzone di Tiziano Ferro cantata... alla Tiziano Ferro, ergo zero personalità. Forse anche a causa del non altissimo livello d’interesse dei concorrenti (eccezion fatta per gli Ape Escape), i giudici sono stati protagonisti ancor più degli anni precedenti, tra screzi e punzecchiamenti continui. Nel corso degli anni, inoltre, c’è stata una cura sempre più spasmodica per gli allestimenti e le coreografie che, anziché svolgere il ruolo di mero orpello e supporto di contorno, hanno finito per metter in secondo piano la performance canora in sé: lo spettacolo visivo ha soppiantato definitivamente il talento musicale.

 

 

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Indubbia è la preparazione musicale di Elio, Morgan e Mika, dubbia invece è la necessità di Simona Ventura, che più di appellarsi alla volontà ed al gusto del “pubblico sovrano”, il sottoscritto non ne comprende ancora la sua collocazione all’interno del programma; l’unico vantaggio che il format condotto da Cattelan può ancora vantare rispetto alla concorrenza è la libertà con la quale i giudici assegnano i brani ai rispettivi protetti, col risultato di portare in televisione episodi musicali che in una certa misura non hanno mai potuto godere di grande visibilità nella televisione commerciale e generalista nonostante la grande qualità di fondo (da David Bowie a Luigi Tenco, da Ivan Graziani ai Kraftwerk e via di questo passo). È una cosa non da poco, dato che programmi di questo tipo hanno anche la possibilità di divulgare ed ampliare la cultura musicale di chi li segue, inducendo curiosità per quella canzone cantata da quell’aspirante cantante, portando di conseguenza a cercare informazioni sull’artista originale ed approfondirne così la conoscenza. È un punto di vista (molto) ottimista sul format talent show, ma è anche un aspetto che spesso la mera e vacua critica aprioristica tralascia colpevolmente.

 

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Sbigottimento ed un profondo scoramento accompagnati da un senso di nausea sopraggiungono, purtroppo, quando un programma si basa su una formula per certi versi innovativa, e poi si perde in un bicchier d’acqua. The Voice doveva essere, se vogliamo, un punto di svolta: i giudici, ops, i coach, stando di spalle rispetto il palco, scelgono gli aspiranti artisti basandosi solo ed esclusivamente sulla prestazione vocale, senza avere alcuna distrazione di tipo estetico/scenografico. “Bellissimo,” ha pensato il sottoscritto “una volta tanto si premia il talento canoro puro e basta”. Ed invece...

speciale_talent_2013_interno_peluL’entusiasmo iniziale sbandierato in particolare da uno dei coach, Piero Pelù, che da sempre aveva criticato i talent rei per non premiare le vere qualità dei ragazzi ed anzi illuderli, era dettato proprio dalla possibilità/obbligo di valutare le persone solo in base a quello che dovrebbe essere il talento principale, ovvero il saper cantare, il trasmettere qualcosa mediante l’esclusivo uso della voce. Il fiorentino scoprirà sulla propria pelle che su buona parte della prima scrematura avrà potere decisionale la produzione “in virtù delle potenzialità televisive” di ciascun candidato; scoprirà sulla propria pelle che canzoni rock leggendarie come “Stairway To Heaven” non può proporle perché, secondo qualcuno, “non è abbastanza famosa in Italia”, il che è un'assoluta, grottesca blasfemia. Alla fine sono arrivati in finale Timothy (per la gioia delle ragazze di tutt’Italia), ragazzone di bella presenza e con una voce che di speciale, ammettiamolo, non ha nulla, e Ehlaida Dani, giovane ragazza con sì una bella voce, ma il timore è che non verrà seguita se non fino al primo disco (non vogliamo fasciarci la testa anzitempo, ma visti i precedenti...).

Il talent show sta perdendo completamente di vista il suo stesso fulcro: trovare talenti, essere in parte una evoluzione del talent-scouting d’un tempo, non andando più di locale in locale, ma scovando l’artista in mezzo ad un marasma di aspiranti tali. Certo, per la sua stessa natura televisiva, ha da sempre fatto l’occhiolino alla baraonda, ma mai come negli ultimi tempi l’attenzione si è spostata in maniera a dir poco eccessiva sullo spettacolo di contorno, trasformandolo in assoluto protagonista. Talenti allo sbaraglio vestiti di pailette luccicanti ed una scenografia da far invidia agli artisti più affermati, battibecchi tra giudici e pubblico, tra giudici e giudici, applausi fragorosi e bordate di fischi eseguiti a comando pur di creare confusione, quando invece dovrebbe essere solo colore di contorno.

 

 

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I reality show sono morti per l’affannosa scalata all’esasperazione, che sia la stessa strada che stanno percorrendo a grandi, grandissime falcate i talent? Con un certo timore, con una certa delusione, purtroppo la risposta a questa domanda non può che essere un laconico “si”.




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