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Black Country, New Road – Ants From Up There

Oh darling, I
I never felt the crumbs until you said
“This place is not for any man, nor particles of bread”

Come il Concorde, evasi da un mondo inadatto perfino alle briciole di pane. O come l’aeroplanino giocattolo nell’artwork, noi qui in terra, soffocati dal fragore intimista di una musica che non sentivamo da tempo. Oh, quanto lontano si sono spinti i Black Country, New Road, e quanto tempo bisogna dedicar loro per tirare le somme – o solo per sbloccare capacità comunicative paralizzate dallo shock emotivo – su un capolavoro come “Ants From Up There”. È di questo che parliamo, di un capolavoro, per il quale fare una disamina approfondita traccia per traccia necessiterebbe di foreste di carta e di una quantità incalcolabile di tempo.

Gli inglesi si elevano tra i meteoriti, guardando il formicaio umano che cresce, si moltiplica, si evolve, così come la loro musica: via il nervosismo post-punk, scansate le ritmiche danzerecce ed il basso singhiozzato a dettare le tempistiche, qui si tocca realmente “l’assoluto pinnacolo dell’ingegneria inglese”, tanto per citare la meravigliosa “Sunglasses”, un’ingegneria musicale ovviamente, coltivata e alimentata con pazienza da schematiche ora più fluide, mature e jazzistiche, frutto di ragazzi che nel giro di un solo anno sembrano invece uscire da un lento e oculato processo di affinamento in una capsula spazio-temporale.

Si potrebbe parlare della teatralità di “Chaos Space Marine”, dei suoi duetti istrionici tra fiati e pianoforte, una tenzone che appartiene ad altri tempi ed altri luoghi, ma meravigliosamente incastonata in una tracklist che spezza ogni categorizzazione e periodizzazione, potremmo imbatterci negli occhioni lucidi della splendida “Concorde”, morbida nel porsi e nel sapere crescere di decibel, senza mai oltrepassare un limite padroneggiato con un’abilità tecnica che dovrebbe appartenere a musicisti avanzati, ma che risiede, invece, in sette timidi ragazzi, col cuore e la testa completamente devoti agli spartiti ed alle emozioni che ne fuoriescono.

Potremmo argomentare di come un leggiadro progressive rock invada i campi dell’indie in “Bread Song”, di come le chitarre corteggino le voci in coro in “Good Will Hunting”, del modo in cui la pragmatica morbidezza del jazz si impadronisca delle trame di “Haldern”. I sentimenti misti che esplodono negli sviluppi cinematografici di “The Place Where He Inserted The Blade” e della conclusiva “Basketball Shoes”, colossi dall’animo fragile, che regalano confetti dolceamari di tristezza, malinconia e piccole dosi di tenera felicità.

Avremmo dovuto iniziare tale recensione con l’annuncio dell’uscita dal gruppo di Isaac Wood, ma abbiamo preferito lasciare l’annotazione qui alla fine, tanta è l’amarezza che un tassello fondamentale di una delle più promettenti band a livello internazionale ci ha lasciato, con un addio inaspettato e doloroso. Perchè i Black Country, New Road sono un complesso enorme, esagerato, ma tutto converge verso la figura dell’ormai ex-frontman e dei suoi splendidi testi, carichi di un pàthos fresco e giovanile, ma non per questo ingenuo, parole versatili, interpretabili da chiunque e pregne di un intimismo che solca le barriere del personale.

E si sente, si sente fortissimo questo senso di conclusione che “Ants From Up There”, forse involontariamente, vuole farci percepire, come di un viaggio meraviglioso che finisce in un lampo, quando “Basketball Shoes” abbassa le serrande e noi torniamo alle nostre vite, guardando fuori dal finestrino la strada del ritorno che inghiotte inesorabilmente il mondo. Ma queste sono sensazioni, i Black Country, New Road continueranno a suonare e, ne siamo certi, la loro musica rimarrà, ancora per molto, il manifesto di un’emotività che surclassa la digitale apatia di oggi.

Tracklist

01. Intro
02. Chaos Space Marine
03. Concorde
04. Bread Song
05. Good Will Hunting
06. Haldern
07. Mark’s Theme
08. The Place Where He Inserted The Blade
09. Snow Globes
10. Basketball Shoes

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