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Imperial Triumphant – Spiritual Ecstasy

Alex Skolnick dei Testament, Trey Spruance dei Mr. Bungle, Denis “Snake” Bélanger dei Voïvod, gli Andromeda Anarchia, Sarai Chrzanowski, Max Gorelick, Yoshiko Ohara dei Bloody Panda, il prezzemolino dell’extreme Colin Marston, gli sperimentali Seven Suns e il quattro volte vincitore dell’Emmy J. Walter Hawkes, trombonista del Mississippi autore delle musiche di programmi per bambini come Wonder Pets!: un carnet di ospiti così bizzarro che soltanto quei guasconi degli Imperial Triumphant potevano assemblare. Un gruppo da sempre sotto l’occhio del ciclone, parimenti idolatrato e detestato, tuttavia impermeabile a lodi, perplessità e accuse, tanto che la scelta dei collaboratori sembra fatta apposta per destare l’abituale ridda di speculazioni. Se il loro ultimo “Alphaville” raffigurava una Big Apple mostruosa e tentacolare attraverso un sound avantgarde tremendamente labirintico, questo “Spiritual Ecstasy” non cambia moltissimo le carte in tavola, aggiungendo ulteriori ramificazione sonore che, però, non  si traducono in un’arborescenza priva di logica.

Infatti, a differenza delle release precedenti che lasciavano all’ascoltatore scarse opportunità di raccapezzarsi, la fisionomia del nuovo album appare meno frammentaria, visto che il rispetto della forma canzone – comunque relativo quando si parla del trio statunitense – prevale su una tipologia compositiva orientata, in passato, a sommergere gli spazi attraverso un sovraccarico sensoriale anarchico e spesso onanistico. Le dissonanze death/black, ancora corrose dall’antischematismo del free jazz, vengono domate da un approccio armonico in stile primi Pink Floyd e diffuso entro concisi ritmi prog voïvodiani, in un contesto generale dall’allure sardonico che ricorda, con le debite proporzioni, le provocatorie alchimie di Frank Zappa. Mentre New York, discendente distopica di Weimar, si erge, ancora una volta, a protagonista assoluta delle liriche.

Una metropoli che si veste di oro e di argento ossidato, evocando spaventose ricchezze e abnormi povertà, gorgoglianti in una topografia urbana opima di guglie adescatrici, merlature frastagliate e angoli obliqui: un luogo terribile e imponente, dove le architetture e gli individui formano un intrico di doccioni deformi e code velenose. La struttura di “Chump Change” rappresenta al meglio la natura caleidoscopica del platter: la spettrale psichedelia della traccia percorre varie fasi di alterazione sottilmente connesse le une alle altre, assimilando, nel suo viaggio lisergico, sfumature krautrock, fusion e persino groove metal. Altrettanto singolare la successiva “Merkurius Gilded”, un ingegneristico collage decadente la cui parte centrale si giova del sax di Kenny G, che opera da cerniera e collante del pezzo invece di divagare in territori autoreferenziali.

Ezrin, Grohowski e Blanco, proseguono, dunque, nel proprio iter di perfezionamento, disseminando il disco di ottoni ribelli, di depistaggi uditivi, di refrain sbilenchi, di vorticose variazioni di trame e timbri, di visionarie scorribande dal taglio cinematografico. Lo testimoniano il noir ciclotimico di “Tower Of Glory, City Of Shame”, la meccanica futurista, ancorché melodica, di “Metrovertigo”, il pianoforte fracassato e i rintocchi contorti della ribollente “Death On A Highway”, le allucinazioni claustrofobiche della strumentale “In The Pleasure Of Their Company”, le discordanze mefistofeliche di “Bezumnaya”, le paranoie on the road di “Maximalist Scream”. Il trio pare aver meglio assimilato la lezione dei tanti modelli di riferimento, assumendo le fattezze di una Big band retromodernista, composta da musicisti dai ruoli e dai compiti ben precisi, con il virtuosismo fine a sé stesso messo a sonnecchiare in uno degli angoli bui della Grande Mela a favore dell’organicità dell’insieme.

Gli Imperial Triumphant, in “Spiritual Ecstasy”, continuano a interessarsi della realtà urbana, trasfigurandone gli abissali contrasti in un trip acido nel quale la grande città diventa un’enorme macchina divoratrice, che, tra un ronzio e un digrigno, riesce anche a ridacchiare e strizzare l’occhio. Un lavoro, che, forse, susciterà le abituali diatribe, ma il divide et impera è una strategia più sicura della morte.

Tracklist

01. Chump Change
02. Metrovertigo
03. Tower Of Glory, City Of Shame
04. Merkurius Gilded
05. Death On A Highway
06. In The Pleasure Of Their Company
07. Bezumnaya
08. Maximalist Scream

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