C’è aria di festa, nel backstage del Revolut, l’ultima sera dello Sziget. L’area dietro al “palco b” del festival è decorata da stringhe di lucine ovunque ed è più popolata del solito. Gli Yard Act, insieme alle coriste Daisy J.T. Smith e Lauren Fitzpatrick, arrivano per fare un breve servizio fotografico, poi vanno a sedersi tutti quanti intorno a un tavolo a bere e scherzare, come in una classica serata tra amici (tutti tranne il frontman James Smith e il batterista Jay Russell, che si assentano momentaneamente per fare questa intervista). C’è allegria e spensieratezza nei modi e nelle risposte, che si tratti di argomenti più “frivoli” come l’adrenalina da festival o molto più seri, come le contraddizioni dell’anticapitalismo (una contrapposizione, oseremmo dire, che ben esemplifica l’essenza di questa band). C’è molta soddisfazione, forse anche data dal fatto di aver appena suonato, l’ultimo giorno di un festival enorme, davanti a una folla che ha messo da parte la stanchezza incombente per ballare con le tracce di “The Overload” e “Where’s My Utopia?”. C’è sempre la risposta pronta, anche quando si tratta di approfondire tematiche complesse come quelle che attraversano l’ultimo album in studio. Con gli Yard Act, insomma, c’è un mondo da scoprire — e alla fine di questa chiacchierata, resta solo la fortissima curiosità di sapere cosa faranno dopo.
— SCROLL DOWN TO READ THE ENGLISH VERSION —
Ciao e benvenuti a SpazioRock! Come state?
Jay: molto bene, grazie.
James: alla grande, grazie!
Allora, avete appena fatto il vostro ultimo concerto qui a Budapest. Com’è andata?
James: benissimo! Faceva caldo.
Jay: sì, faceva molto caldo!
Assolutamente, è così da qualche giorno. Siete qui da molto?
James: siamo arrivati due ore prima di suonare, quindi in pratica siamo entrati direttamente nella fornace.
È stata un po’ una sorpresa, quindi?
James: sì però è stato bello, il pubblico era fantastico.
Jay: già.
Finora com’è stato accolto il vostro nuovo album, secondo voi?
James: a Budapest ho notato che è stato il secondo album, in realtà, ad aver ricevuto un riscontro maggiore, perciò suppongo che qui abbia preso piede un po’ di più rispetto al primo. E penso che ci abbia esposti a una categoria di fan totalmente diversa: magari pensavano che fossimo una cosa e hanno capito che possiamo cambiare. Perciò sì, penso che avere il secondo album ci abbia fatto molto bene.
Se doveste scegliere tra festival e concerti al chiuso, dove vi sentireste più a vostro agio a suonare?
Jay: mi piacciono parecchio i festival, credo. Sembra un’atmosfera più libera. Un tendone, in realtà, è una sorta di via di mezzo, no? Suppongo che sia perché ti sembra di stare al chiuso.
James: mi piace la rapidità dei festival. Mi piace che non si trascorra tutto il giorno a preparare l’attrezzatura e ad aspettare: arrivi lì, attacchi e suoni. Mi piace molto di più questo tipo di caos. Non penso che sia lo stesso per la nostra crew, ma a me piace il caos del non sapere cosa succederà.
Jay: già.
James: però sì, quando suoni a un festival, suoni per le persone che sono venute a vederti, ma suoni anche per persone che non sanno chi sei. E penso che questo crei una situazione molto interessante: quando suoni davanti a un pubblico totalmente “di casa”, può fare un po’ più di lavoro per te, ma a un festival, quando stai cercando di conquistare la gente, non puoi proprio andare avanti per inerzia.
Jay: esatto.
James: a meno che tu non sia un headliner del festival, devi darci dentro, perciò mi piace abbastanza questa cosa. Ti tiene in forma, credo, suonare ai festival.
Questo tipo di situazione ha avuto un ruolo nello scrivere il vostro ultimo album, oppure è stato un contesto completamente diverso?
James: per l’album che è appena uscito o il prossimo?
“Il prossimo”, sul serio?
James: be’, ci stiamo lavorando.
Ah… interessante.
James: hai un’esclusiva, eh? [ride, ndr]
Sembra di sì.
James: credo che con il secondo album (siccome l’abbiamo scritto tutto in studio e non potevamo suonare nulla live) quando abbiamo iniziato a lavorarci su dal vivo, abbiamo pensato un po’ di più a come trasporre i brani per una band dal vivo in un festival. Perciò queste le versioni sono diverse da quelle registrate, e mi piace questa cosa.
James: già.
E quindi è stato un contesto diverso che vi ha spinti a scrivere il vostro secondo album.
James: sì, sì, assolutamente. Non sentivo di poter scrivere ancora il primo album, perché erano due anni passati in un furgone e su un bus. Perciò quello è più o meno l’album, sì.
Ho apprezzato “Where’s My Utopia?” sia dal punto di vista musicale, sia da quello dei testi. Ultimamente mi pare che alcune band in questo “post-punk revival” abbiano voluto rendere la propria musica un po’ più danzereccia, ma voi avete portato questa cosa su tutto un altro livello! Come mai?
James: voglio dire, ci piace quella musica in ogni caso.
Jay: sì.
James: non abbiamo messo l’indice su una lista di generi e abbiamo detto “questo è quello che faremo adesso”. Io e te siamo entrambi DJ, quindi è una cosa che un po’ viene fuori.
Jay: sì, cioè, la versione di “Trench Coat” che abbiamo pubblicato alla fine, “The Trench Coat Museum”, inizialmente doveva essere una b-side, no? Alla fine è diventato il brano che preferivamo e che preferiva anche la nostra etichetta, quindi è per anche questo che è così lungo. Però sì, penso sia qualcosa che è venuto fuori spontaneamente. Abbiamo fatto anche qualche remix di musica di altre band ed è sempre stato molto divertente.
James: penso solo che far ballare la gente, quello che riesce a fare – voglio dire, quello che stiamo provando a fare, e che a volte, penso, riusciamo a fare – è che si tratta di musica dance, ma dal punto di vista testuale sta comunque provando a far passare un messaggio e raccontare una storia. Perciò funziona quando la si ascolta con le cuffie, ma funziona sicuramente anche ai festival e nei club.
Esatto, ultimamente ai vostri concerti si balla davvero molto. Qualche ispirazione particolare da questo punto di vista?
James: non saprei, cioè, in “Trench Coat Museum” penso che stessimo ascoltando un sacco di roba: produzioni stile Bill Laswell, e poi “Rockit” di Herbie Hancock, e poi immagino che anche i Chemical Brothers e i Prodigy siano stati grandi influenze. È quella situazione, a volte, in cui crei un beat bello pieno e poi non puoi più tornare indietro, pensi tipo, “ora dobbiamo per forza fare qualcosa così in grande”. E poi il big beat, penso che quel genere fosse davvero eccezionale!
Jay: esatto, il big beat!
James: amo il big beat, amo i Chemical Brothers, amo i Basement Jaxx. È musica pop, ma è pensata per i club, è fantastico.
Parlando di testi e di tematiche: nell’album dite “sono ancora un anticapitalista”, eppure “facciamo hit”. In che modo, per voi, questa non è una contraddizione?
James: sì che è una contraddizione! Ma penso che sia importante per me personalmente, e spero che altre persone accolgano le loro contraddizioni, perché penso che siamo tutti contraddittori; che tutti veniamo meno alle nostre convinzioni, alle nostre morali, ai nostri valori. E a volte ti opponi completamente a qualcosa, e poi lo supporti lo stesso, perché siamo umani e siamo vincolati all’errore.
Questo è un aspetto che emerge anche nel vostro disco.
James: esatto. È che penso assolutamente che ci sia un’altra strada per l’umanità al di là del capitalismo, e penso che abbiamo bisogno di scoprire cosa sia, per poter sopravvivere in futuro. Perché il capitalismo e il neoliberismo – e questa sorta di neoliberismo “uberizzato” che sta guidando il capitalismo adesso – ci distruggeranno, perciò dobbiamo trovare una nuova strada. Ma questo non significa che io non stia provando a fare soldi, perché ho bisogno di soldi per vivere: se vado a vivere nei boschi, disconnesso, risolverò qualcosa? Va bene se lo dici e poi lo fai, cazzo.
Pensi che la musica abbia anche il potere di influenzare le persone e di fare un cambiamento?
James: sì, credo di sì. E penso che i valori di quando sei così legato a qualcuno grazie alla musica che ha fatto – anche se è un rapporto a senso unico, perché non sa chi sei –, quando la musica di un artista ti parla a un livello così profondo, le sue convinzioni inizino a influenzare le tue. E va bene così, perché tutte le nostre convinzioni sono plasmate da ciò che ci circonda, che siano la famiglia o l’influenza di artisti che ammiriamo e seguiamo, o i nostri amici, o il nostro posto di lavoro — è tutto parte di come le tue convinzioni sono “instillate” in te. Ma penso che non sia compito della musica provare a convincere la gente a trovarvisi d’accordo. Penso che il compito della musica sia quello di aprirti la mente e, si spera, diventare l’esempio di ciò che l’arte rappresenta in generale, ossia l’espressione in sé e il modo in cui essa si relaziona con gli altri. Perciò, sai, si spera che gli artisti, i musicisti e chiunque lavori in quel settore creino arte da una prospettiva con cui vivono anche la loro vita.
Ho un’ultima domanda — be’, stavo per chiedervi cosa ci fosse in programma, ma l’avete già “spoilerato” un po’, vero?
James: sì [ride, ndr]. Abbiamo iniziato ad armeggiare, abbiamo iniziato appena adesso, con il terzo album.
Jay: suonava molto bene, vero?
James: già. È di nuovo una cosa diversa, non c’entra niente con “Where’s My Utopia?”.
Jay: sì, abbiamo un po’ di attrezzatura sul tour bus, al piano superiore, perché ultimamente abbiamo viaggiato a lungo, quindi abbiamo armeggiato con un po’ di roba.
Mi fa molto piacere saperlo. Grazie mille per il vostro tempo!
James: grazie mille!
Jay: grazie a te!
— ENGLISH VERSION —
Hello and welcome to SpazioRock! How are you doing?
Jay: very well, thanks.
James: great, thank you!
Well, your last gig here in Budapest has just taken place. How did that go?
James: great! It was hot.
Jay: yeah, it was very hot!
Totally, it’s been like this for a few days. Have you been around here for long?
James: we got in about two hours before we played, so we basically stepped into the oven.
It was a bit of a surprise, wasn’t it?
James: yeah, it was good though, the crowd were great, lovely.
Jay: yeah.
How has the new album received by people so far, in your opinion?
James: I noticed actually in Budapest that it was the second album that was getting a bigger response, so I reckon it’s caught on over here a little bit more than the first one. And I think it’s opened us up to a completely different set of fans who maybe thought we were one thing and realised that we can change. So I think, yeah, having the second album has done us loads of favours.
If you had to choose between festivals and indoor venues, where would you feel most comfortable playing at?
Jay: I quite like festivals, I think. It feels like a freer atmosphere. A tent actually, that’s sort of somewhere in the middle, isn’t it? I guess it’s because it feels like you’re indoors.
James: I like how fast festivals are. I like that you don’t spend all day setting up and waiting. You just get there and you plug in and you play. I kind of like the chaos of that a lot more. I don’t think our crew do, but I enjoy the chaos of not knowing what’s going to happen.
Jay: yeah.
James: but yeah, it’s like when you play a festival, you play to people who’ve come to see you, but you’re also playing to people who don’t know who you are. And I think that creates a really interesting — when you play to a complete home crowd, they can do a bit more work for you, but at a festival, when you’re trying to win people over, you kind of can’t coast.
Jay: yeah.
James: unless you’re like a headliner at the festival, you’re kind of hustling, so I kind of like that. It keeps you fit, I think, playing festivals.
Has this kind of situation taken a role in writing your latest album, or was it another context completely?
James: of the album that’s just come out, or the next one?
The “next” one, really?
James: well, we’re working on it.
Oh, that’s interesting, isn’t it?
James: you’ve got an exclusive, right? (laughs)
Looks like I do.
James: I think with the second album, because we wrote it all in the studio and we couldn’t play any of it live — I think when we came to working on it live, we kind of thought a little bit more about how to translate the songs to a live band at a festival. So the live versions are different to the recordings, and I like that about it.
James: yeah.
And so it was a completely different context that has driven you to write your second album.
James: yeah, absolutely, yeah. I didn’t really feel like I could write the first album again, because it was two years of being in a van and on a bus. So that was kind of the album, yeah.
I’ve been enjoying “Where’s My Utopia?” both musically and lyrically speaking. Lately, I reckon, some post-punk bands in this recent “post-punk revival” have been kinda keen on making things more dancey — but you guys took that to a whole other level! How so?
James: I mean, we just like that music anyway.
Jay: yeah.
James: it wasn’t like we would put our finger on a list of genres and say “this is the one we’re going to do now”. Me and you are both DJs, so it kind of comes through.
Jay: yeah, I mean, the version of “Trench Coat” that we ended up releasing, “The Trench Coat Museum”, that was initially meant as a sort of b-side, wasn’t it? It ended up being sort of the one we favoured and the label favoured as well, so that’s why it’s so long as well. But yeah, I think it kind of came naturally. We’ve done a few remixes as well of other bands’ music and they’ve always been really fun to do.
James: I just think making people dance is like, what that achieves – I mean what we’re trying to do, which I think sometimes we do achieve –, is like it’s dance music, but lyrically it’s still trying to get a message across and tell a story. So it kind of works on a headphone listening level, but also it definitely works in festivals and clubs and stuff.
Yeah, lots of dancing on your stages as well lately. Any particular influences in this respect?
James: I don’t know, I mean, on “Trench Coat Museum”, I think we were listening to a lot of stuff like Bill Laswell kind of productions, and then like “Rockit” by Herbie Hancock, and then I guess Chemical Brothers and Prodigy were kind of really big influences as well. And it’s just that thing sometimes where you make the beat really fat and then you can’t go back, you’re like, we’ve got to be that big now. And then big beat, I just think that was literally amazing!
Jay: yeah, big beat!
James: big beat is like, I love big beat, I love Chemical Brothers, I love Basement Jaxx. And that’s pop music, but it’s designed for clubs, it’s amazing.
When it comes to the lyrics and the main themes — in the album you say “I’m still an anti-capitalist”, yet “we make hits”. How isn’t this a contradiction to you?
James: it is a contradiction! But I think it’s important to me personally, and I hope that other people embrace their contradictions, because I think we’re all contradictory, we all fall short about beliefs and our morals and our values. And sometimes you stand in complete opposition to something, and then you support it anyway, because we are humans, we’re bound by error.
This is something that pops up in your record as well.
James: yeah. It’s like, I absolutely think there’s another way for humanity beyond capitalism, and I think we need to figure out what it is to be able to survive in the future. Because capitalism and neoliberalism, and this sort of uber-strained neoliberalism that’s ruling capitalism now is going to destroy us, so we have to find a new way. But that doesn’t mean I’m not trying to make money, because I need money to live. If I go and live in the woods off-grid, is that going to solve anything? You’re fine if you say it and fucking do it.
Do you think music also has the power to influence people and make a change?
James: yeah, I do. And I think, you know, the values of when you’re so bound to somebody because of the music they’ve made – even if it’s a one-way relationship and they don’t know who you are –, when an artist’s music speaks to you on such a high level, their beliefs start to influence yours. And that’s fine, because all of our own beliefs are shaped by our surroundings, whether that’s your family or whether it is the influence of artists that you admire and follow, or your friends or your workplace, how your beliefs are sort of instilled, that is part of it. But I think it’s not music’s job to try and persuade people to agree with it. I think the job of music is to open your mind up and hopefully be made by the example of, well, I guess what art stands for in general, which is the expression itself and how that’s related to other people. So, you know, you’d hope that artists and musicians and anyone working in that field is creating from a perspective that they live their life by as well.
I have one last question — well, I was just going to ask what’s next, but you kind of spoiled it a bit, didn’t you?
James: yeah (laughs). We started tinkering, we started right now on three.
Jay: it sounded really good, didn’t it?
James: yeah. It’s different again, it’s nothing like “Where’s My Utopia?”.
Jay: yeah, we’ve got a bit of a setup on the bus, on the top lounge, because it’s been a lot of long driving recently, so we’ve been tinkering with stuff.
That’s great to know. Thank you so much for your time!
James: Thank you so much, cheers!
Jay: thank you!