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Iron Maiden – Senjutsu

Eddie, la mascotte, l’iconico mutaforma, l’onnipresente simbolo di una carriera ultraquarantennale, appare torvo e minaccioso sulla cover di “Senjutsu”, incapsulato in un’armatura da samurai con tanto di katana stretta tra le mani. Una copertina significativa, quella voluta dagli Iron Maiden, che prendono spunto dalla cultura bellica dell’Estremo Oriente per il loro diciassettesimo full-length in studio: del resto, storia e letteratura influenzano da eoni e profondamente le liriche dei britannici, che si tratti dell’Antico Egitto, della civiltà Maya o della fantascienza distopica. Inciso nel 2019 durante una pausa del Legacy Of The Beast Tour e tenuto praticamente sottochiave per due anni causa pandemia, il nuovo lavoro del sestetto si presenta nelle vesti di doppio LP, successore, nel formato, di “The Book Of Souls” (2015) e con nessun brano, tranne un paio di eccezioni, inferiore ai sei minuti di durata.

Maggiormente interessati alla costruzione di pezzi atmosferici e vagamente progressive invece che riversare nei timpani degli affezionati le colate di energia metallica tipiche delle grandi prove del passato, gli inglesi mostrano anche a questo giro la capacità non soltanto di sopravvivere al proprio mito, ma di andare decisamente oltre, recuperando soprattutto le raffinate melodie e le scale epiche di “Brave New World” (2000) e certe cupezze del non sempre apprezzato “Matter Of Life And Death” (2006) per infonderle in un album di pregevole fattura, di volta in volta oscuro, elegiaco, battagliero. Se Steve Harris resta il principale direttore d’orchestra, direzionando la bussola sonora della band con il contributo fondamentale dell’ormai fido produttore Kevin “Caveman” Shirley, Bruce Dickinson sfodera la consueta prestazione da antologia, nonostante le numerose traversie personali occorsegli: un perno su cui ruotano i fluidi intrecci chitarristici di Gers, Murray e Smith, e la solida batteria di McBrain, davvero encomiabile per tenuta e variazioni ritmiche.

La title-track rappresenta, forse, la miglior opener della Vergine di Ferro dall’epoca di “The Wicker Man”, poderosa e marziale, percorsa da un inarrestabile senso di pathos che scivola e calpesta con un’eleganza maestosa. Mentre le cadenze galoppanti e i ritornelli orecchiabili di “Stratego” e “Days Of The Future Past” portano cucite sul petto il classico marchio Maiden, “The Writing On The Wall” non sfigurerebbe all’interno di un lavoro solista del buon Bruce, visto il solido impianto blues rock e la presenza di uno stuzzicante riff dal pastoso afflato southern. “Lost In The World” risulta scorrevole malgrado la lunghezza e i continui cambi di marcia, un po’ come la meditabonda “The Darkest Hour” – una sorta di versione riflessiva di “Aces High” – e l’efficace “The Time Machine”, nella quale gli stilemi folk elaborati dai Led Zeppelin vengono inseriti in un clima evocativo à la “No More Lies”. La seconda parte del disco, frutto esclusivo della penna di Harris, si snoda attraverso le spire celtiche della discendente diretta di “The Clansman” (“Death Of The Celts”) e le maglie levantine e roboanti di “Powerslave” (“The Parchment”), prima di approdare nelle acque solenni e gentili di “Hell On Earth”: un trittico finale dal running time mastodontico, che, malgrado alcune ridondanze di troppo, sa di familiare e conosciuto, restituendoci una formazione in grado di evolversi senza smarrire la tradizionale spina dorsale heavy metal.

Articolato e accattivante, “Senjutsu” è un’opera che cresce con gli ascolti, realizzata dagli Iron Maiden più convincenti e originali dell’ultimo ventennio. La risposta giusta a chi li considerava sul viale del tramonto.

Tracklist

01. Senjutsu
02. Stratego
03. The Writing On The Wall
04. Lost In A Lost World
05. Days Of Future Past
06. The Time Machine
07. Darkest Hour
08. Death Of The Celts
09. The Parchment
10. Hell On Earth

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