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Jerry Cantrell – Brighten

It’s alright, we all win and fail. Born and then you die, between, we have a life.
So live it out.

10 aprile 1996, Majestic Theatre di Brooklin: gli Alice In Chains si apprestano ad eseguire “Sludge Factory” in un meraviglioso set unplugged. Con un “Fuck!” un pallido Layne Staley con lo sguardo spento annuncia di aver sbagliato la strofa iniziale, Jerry Cantrell lo guarda con gli occhi gonfi di gioia, sorride, lo tranquillizza come un padre fa con un bimbo alle prese con i suoi incubi notturni, lo spinge a ricominciare. In quegli attimi è racchiusa la magnificenza di un artista che, chiunque ami gli Alice In Chains, venera come una figura mitologica: Jerry Cantrell è la rappresentazione carnale della resilienza, è la corda tirata fino a quando non viene a spezzarsi l’ultimo impercettibile filo, è stato (e rimane) il collante, cardine e mastermind della band più oscura, travagliata ed emozionante della Seattle infuocata dal grunge.

Quasi due decenni sono passati da “Degradation Trip”, ultimo lavoro solista del chitarrista di Tacoma fino ad oggi, dedica su disco alla dolorosissima scomparsa di Layne Staley: se “Boggy Depot” ci aveva presentato un Jerry Cantrell espansivo e sperimentatore, “Degradation Trip”, a partire dall’iconica e disturbante copertina, calcava in una direzione più cupa, malsana, acida. A distanza di tutto questo tempo, cosa contiene la nuova scatola magica del chitarrista? Come uno spiraglio di sole dopo la tempesta, “Brighten” ci riporta un Jerry Cantrell in splendida forma e con una palpabile serenità ritrovata: enorme è il progetto dietro il terzo studio album del frontman, con collaborazioni importanti e di elevata caratura (Greg Puciato, Duff McKagan, Gil Sharone e molti altri).

“Atone” profuma di strade desertiche e di southern rock, stivali di cuoio innalzano un fitto polverone; si sente che qualcosa sta cambiando, il temporale sta per cessare e la splendida title track squarcia le nubi minacciose: liriche mature si spalmano su un solare riffing hard rock che permette alla voce del frontman di elevarsi in un refrain magnetico.

Dall’orgoglio acustico della lunga “Black Hearts And Evil Done”, accompagnata da calde note di organo, all’inquietudine strascinata di “Siren Song”, arpeggiata e portata a splendere dalla distorsione della sei corde del frontman, riconoscibile anche ai novelli ascoltatori. “Had To Know” pigia sul pedale dell’hard rock, accantonando per alcuni minuti la dolcezza della chitarra acustica, e sfiorando, in alcuni punti, il tormento musicale degli Alice In Chains, ma tutto viene riportato alla normalità dalla morbidezza di “Nobody Breaks You”, che apre i ponti alla splendida “Dismembered”. Con la toccante cover di “Goodbye” di Elton John, chiudiamo a chiave lo scrigno di Jerry Cantrell, un oggetto bramato e desiderato da troppo tempo.

È sempre difficile approcciarsi al lavoro di un mostro sacro del rock, soprattutto se quest’ultimo è riuscito, per tutta la sua carriera, a scuotere fortemente l’emotività di molti, anche i più schivi e sfuggenti, con la sua meravigliosa musica. “Brighten” è il perfetto esempio di lavoro maturo di un artista saggio, che ha navigato nelle sabbie mobili di situazioni complesse ed è riuscito a tirarsi fuori con le proprie forze. Tutto gira alla perfezione nella produzione Tyler Bates/Paul Fig: “Brighten” è la pacca sulla spalla di un artista e di un uomo che si è gettato il peggio alle spalle e cerca di vivere al meglio tutti i giorni della propria vita, riscaldando l’anima a tutti quelli che gli gravitano attorno.

Tracklist:

01. Atone
02. Brighten
03. Prism Of Doubt
04. Black Hearts And Evil Done
05. Siren Song
06. Had To Know
07. Nobody Breaks You
08. Dismembered
09. Goodbye

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