I primi tepori di aprile non ottenebrano le oscurità assortite del mondo estremo.

Beyond Mortal Dreams – Abomination Of The Flames (Lavadome Productions)

Che le porte dell’Inferno debbano trovarsi da qualche parte in Australia è testimoniato non soltanto dalle temperature bollenti ivi rilevabili, ma anche dalla presenza dei Beyond Mortal Dreams, il cui secondo album, “Abomination Of The Flames”, sembra effettivamente forgiato negli altiforni satanici di Adelaide. Formatisi nel lontano 1995, i canguri sono stati piuttosto parchi in termini di release, visto che la loro produzione, sinora, si limitava a un full-length, “From Hell” (2008), e un a un EP, “Dreaming Death” (2012), oltre alla classica serie di demo, rimanendo, dunque, ben sotto i radar dell’universo death metal. Questo nuovo lavoro potrebbe certo schiudere al gruppo porte ancora oggi serrate, quantomeno a livello dell’underground più elitario: il muro sonoro impenetrabile eretto dal combo, che spesso scivola in un magma viscoso e tetragono, satura l’atmosfera di raid febbrili e avviluppanti fumi apocalittici, ricordando molto da vicino la lezione di Immolation e Incantation. Difficile isolare dei momenti di rilievo, con le canzoni che scorrono l’una nell’altra senza vere pause, generando un bombardamento così spaventoso da far tremare i grattacieli, malgrado l’originalità non appaia il cavallo di battaglia principale del quartetto. Comunque, malvagità a iosa.

Tracce consigliate: “Abomination Of The Flames”, “Decimation Hymn”, “Misanthrope Messiah”

Bhleg – Fäghring (Nordvis Produktion)

Sono due i membri dei Bhleg, L., responsabile delle parti vocali ed S., che si occupa degli strumenti: trovata la quadra esistenziale, la coppia svedese dal moniker proto-indeuropeo esordì nel 2014 con il buon “Draum Ást”, disco black ipnotico e silvano, capace di reinterpretare con intelligenza la tradizione. La svolta avvenne successivamente, quando gli scandinavi decisero di realizzare una tetralogia dedicata alle stagioni e, più in generale, alla natura e alle forze cosmiche. Dopo “Solarmegin” (2018), l’EP “Äril” (2019) e “Ödhin” (2021), incentrati rispettivamente su estate, autunno e inverno, tocca ora alla primavera fare capolino in “Fäghring”, cinquantacinque minuti di metallo nero dalla struttura progressive, decorati da elementi folk che conferiscono al tutto un’aura sciamanica da mozzare il fiato. La magia dell’album sta nel riuscire a evocare quei sentimenti di speranza e rinascita associati solitamente a un periodo dell’anno in cui flora e fauna assurgono a nuova vita, uscendo dalla morsa del gelo e delle tenebre; malgrado l’atmosfera fausta, si percepisce comunque una tensione crepuscolare che minaccia di continuo la catarsi appena raggiunta, dimostrando quanto resti fragile e transitoria l’esistenza umana e non. Gli ospiti al microfono Andreas Pettersson (Saiva), ed Êlea (Noêta) danno manforte a un progetto coraggioso, munifico di spunti e soddisfazioni auricolari.

Tracce consigliate: “Grönskande Gryning”, “Solvigd”, “Frö”

Concilivm – A Monument In Darkness (Iron Bonhead Productions)

I Concilivm nascono cinque anni fa, fondati dai suoi due unici membri, A e Ω, nel freddo sud del Cile, nazione durante gli ultimi lustri decisamente prodiga di splendide sorprese in ambito estremo. Dopo un EP d’esordio pregno di violenza e misticismo, “The Veiled Enigma”, rilasciato alla fine del 2018, la band pubblica ora il proprio debutto sulla lunga distanza, “A Monument in Darkness”, trentanove minuti di pura e oscura devozione alchemica alla morte e ai misteri che la circondano. Il mezzo prescelto dal duo è un black/death metal di matrice svedese, che ricorda tanto i Dissection quanto gli Unanimated, e capace di infondere ai vari brani un’aura soprannaturale, nonostante la bestialità selvaggia e l’impeto muscolare che ne caratterizza la struttura. I suoni, che paiono provenire da una miriade di abissi senza nome, acquisiscono vita propria tra sussurri di formule inverse, spigolosi tamburi di guerra, pestaggi ignoranti e melodie malevole, con il gruppo abilissimo nel gestire il tutto attraverso un dispiego notevole di energia e personalità. La tradizione si rivela un serbatoio inesauribile, se, come in questa occasione, viene tirata a lucido e rinvigorita da musicisti di valore.

Tracce consigliate: “Cryptic Asceticism”, “Malevolent Creation”, “Moonlight Nigredo”

Nightfell – Never Comes The Storm (Autoprodotto)

Dall’anno di nascita 2012, i Nightfell hanno pubblicato un corpus di lavori interessante e avvincente, composto esclusivamente da full-length. Specializzati in un blackened death/doom molto massiccio tanto nei passaggi atmosferici quanto nei tremolo da bulldozer, il duo di Portland non arretra di un millimetro per ciò che concerne la pesantezza neanche in questo nuovo “Never Comes The Storm”, quarto album in studio a tre anni di distanza dall’ottimo “A Sanity Deranged”. A differenza di molti gruppi che utilizzano la componente atmosferica sino, a volte, a irretire l’ascoltatore, Tim Call e Tony Burdette evitano tale trappola puntando a una durata contenuta, che addirittura nel presente lavoro tocca appena i trenta minuti. Si può tranquillamente affermare che gli statunitensi producono il medesimo carico emotivo degli epigoni dei Ruins Of Beverast – moniker a cui spesso il loro sound è stato accostato – in metà del tempo, scavalcando così il rischio della noia e degli avvitamenti fini a sé stessi. Forma e sostanza, dunque, per un disco che fa dell’equilibrio la propria forza principale.

Tracce consigliate: “The Martyr’s Last Breath”, “Echoes Of Nihil”, “End Of The Rope”

Scalpture – Feldwärts (F.D.A. Records)

Con “Feldwärts” gli Scalpture raggiungono la soglia decisiva del terzo LP, dopo un paio di prove come “Panzerdoktrin” (2016) e “Eisenzeit” (2020), discrete certo, ma nulla di così eclatante. Nel nuovo disco i deathster di Bielefeld rimangono in gran parte fedeli a sé stessi, sia in termini di contenuto sia di stile, con gli orrori del primo conflitto mondiale ancora una volta trattati senza alcuna mitizzazione eroica e l’influenza di pesi massimi quali Asphyx, Bolt Thrower e Hail Of Bullets che continua a farsi sentire in maniera prepotente. Qualcosa, tuttavia, è cambiato in termini di songwriting: se le chitarre suonano decisamente più svedesi, rivelando la salutare ombra dei Dismember dietro l’ideazione dei riff, le liriche si concentrano sui danni psicologici arrecati dalla guerra, tanto che l’atmosfera generale risulta meno marziale e battagliera rispetto ai lavori precedenti. L’intensità e la profondità dei 1914 appare inavvicinabile, eppure il quintetto teutonico riesce ad ampliare al meglio una tavolozza espressiva che sembrava rinchiusa nei soliti cliché del genere, anche in riferimento alla pluralità degli idiomi adoperati (inglese, francese e tedesco). Old school di qualità.

Tracce consigliate: “Ils N’ont Pas Passé”, “Grabengott”, “The Road Back”

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