Coda di maggio elettrizzante per gli appassionati delle sonorità più cupe e feroci.

Blut Aus Nord – Disharmonium – Undreamable Abysses (Debemur Morti Productions)

Da orami cinque lustri i Blut Aus Nord coltivano un singolare forma di black metal, proteiforme ma immediatamente riconoscibile, il cui scopo risiede nell’immergere l’ascoltatore in un clima di volta in volta travolgente, ipnotico, malevolo. Con il prolifico Vindsval, chitarra e voce, al ponte di comando, supportato sin dall’inizio da WD Feld, batteria e tastiere, e da quasi due decenni dal bassista GhÖst, i transalpini giungono, con “Disharmonium – Undreamable Abysses”, al loro quattordicesimo album in studio, riuscendo anche a questo giro a centrare il bersaglio. Fondamentali nella carriera del progetto le trilogie pubblicate tra il 1996 e il 2012, soprattutto nel disegnarne le principali tendenze stilistiche: da un lato il metallo nero epico, melodico e nostalgico di “Memoria Vetusta”, dall’altro i freddi paesaggi industrial/ambient di “777”. Polarità che, intrecciatesi in maniera oltremodo fluida nello scorso e controverso “Hallucinogen” (2019), disco sui generis impregnato di shoegaze e space rock, si scontrano frontalmente, ora, all’interno del nuovo album, con la dissonanza come parola d’ordine e i tentacoli lovecraftiani come vessillo, per un viaggio da incubo attraverso i mondi terrificanti creati dal solitario di Providence. Abissale, nel vero senso del termine.

Tracce consigliate: “Chants Of The Deep Ones”, “Into The Woods”, “Keziah Mason”

Decapitated – Cancer Culture (Nuclear Blast)

Nonostante una storia piena di tragedie, i Decapitated sono comunque diventate una delle realtà più stimate del mondo estremo. L’incidente che nel 2008 causò la morte del batterista e membro fondatore Witold “Vitek” Kieltyka, oltre a paralizzare in tutto il corpo il cantante Adrian “Covan” Kowanek, ha costretto Wacław “Vogg” Kiełtyka a prendere le redini di un gruppo gravato sia dal fardello del lutto sia dall’eredità di quattro album difficilmente ripetibili. Dopo un paio di dischi discreti e altri due piuttosto opachi, in particolare l’ultimo e bistrattato “Anticult” (2017), i polacchi tornano a ruggire con il nuovo “Cancer Culture”, un lavoro che in qualche modo riesce a fondere il technical death di “Organic Hallucinosis” (2008) al groove metal della seconda parte di carriera. Un ibrido dalla fisionomia molto moderna che, pur non facendo gridare al miracolo, riporta l’act su coordinate degne della fama acquisita nei primi anni Duemila, anche grazie a un paio di ospiti, Tatiana Shmayluk e Robb Flynn, in grado di innestare all’insieme un surplus di energia e varietà. Ritmo, potenza e melodia, dunque, per un disco non stupefacente, ma sicuramente efficace: bentornati!

Tracce consigliate: “Cancer Culture”, “Hello Death”, “Iconoclast”

Heaving Earth – Darkness Of God (Lavadome Productions)

Partiti come una band devota anima e corpo ai Morbid Angel dei primi quattro album, gli Heaving Earth nel corso del tempo hanno piantato notevoli semi di crescita, benché la loro attività in quattordici anni di carriera non sia stata particolarmente fertile. Se l’esordio “Diabolic Prophecies” (2010) rappresentava un buon esercizio di death vintage e il successivo “Denouncing The Holy Throne” (2015) adornava l’OSDM floridiano con macchie dissonanti e una serie di influenze provenienti da vari segmenti del cosmo estremo, il qui presente “Darkness Of God” porta a compimento il processo di maturazione del gruppo praghese, spingendolo al di là delle proprie colonne d’Ercole. Con una produzione all’altezza e il sostanziale contributo del nostro Giulio Galati alla batteria, i cechi architettano un songwriting complesso e dagli afrori avantgarde, nel quale trovano spazio gli Immolation più colossali e minacciosi, sprazzi tecnici à la Gorguts, riff schiacciasassi di cui gli Asphyx andrebbero fieri. Un full-length gravido di un’oscurità cupa e avvolgente, le cui spesso ardite transizioni vengono gestite in maniera così accorta da consegnare una fluidità d’ascolto che attira senza respingere. Ne vedremo delle belle in futuro.

Tracce consigliate: “Crossing The Great Divide (Prayer To A Crumbling Shrine)”, “The Lord’s Lamentations”, “Woeful Redemption”

Sadist – Firescorched (Agonia Records)

Si attendeva ormai da quattro anni il ritorno dei Sadist, storica entità dello Stivale che ha fatto di un technical/progressive death metal fantasioso e innovativo la propria bandiera, tanto da diventare una delle formazioni nostrane maggiormente apprezzate all’estero, soprattutto in Europa e dintorni. Ed è dal vecchio continente che arrivano a dar manforte a Tommy Talamanca e Trevor due musicisti a dir poco d’eccezione, il drummer Romain Goulon (Necrophagist) e il bassista Jeroen Paul Thesseling (Obscura, Pestilence). Entrambi, invece di indulgere in onanistiche prodezze strumentali, si mettono a totale servizio della band, contribuendo il giusto al grande risultato di “Firescorched”. Più aggressivo e sperimentale dello scorso “Spellbound”, il nuovo disco dei liguri, registrato presso i Nadir Music Studios di Genova, colpisce sia per l’estrema finezza musicale, arricchita da elementi fusion e vibrazioni etniche che ricordano a tratti i tempi di “Tribe”, sia da un groove generale che quasi permette di fischiettare i singoli brani. Forse un’esagerazione, quest’ultima, che, però, si regge non soltanto sull’importanza rivestita dalla melodia, ma anche sul ruolo delle tastiere, capaci, a mo’ delle soundtrack cinematografiche dei Goblin, di immergere i vari pezzi in familiari atmosfere horror. Straordinari.

Tracce consigliate: “Accabadora”, Finger Food”, “Burial Of A Clown”,

Septicflesh – Modern Primitive (Nuclear Blast)

I Septicflesh rappresentano indiscutibilmente uno dei massimi riferimenti, assieme ai Carach Angren, quando si parla di death metal sinfonico: il gruppo, infatti, è diventato maestro nell’arte di combinare riff massicci e mainstream alla solennità delle orchestrazioni classiche. L’ultima fatica “Codex Omega” (2017) ha sancito il successo definitivo di questa formula, sublimata attraverso il vibrante live “Infernus Sinfonica MMXIX” (2020), nel quale risaltava appieno la capacità dei greci di rendere ogni canzone una sorta di racconto omerico, malgrado ciò significhi abbandonare la pur minima idea di sobrietà. “Modern Primitive”, l’undicesimo parto della formazione e primo sotto il patrocinio di Nuclear Blast, non cambia molto la situazione, catapultandoci in quelle atmosfere apocalittiche di stampo mediorientale che soltanto gli ellenici riescono a restituire con tanta intensità e varietà. Accanto alla produzione del fido Jens Bogren, garanzia di qualificatissimo know-how in termini di arrangiamento ed equilibrio, giocano un ruolo fondamentale la presenza della Filarmonica di Praga, un coro di adulti, uno di bambini e un’incredibile varietà di strumenti etnici, tutti elementi che vanno a sfumare un disco capace di non perdere mai il filo della propria narrazione. E i quaranta minuti di durata dimostrano che gli attici tengono alla spettacolarità cinematografica dell’insieme quanto alla sua efficacia e condensazione. Fuoriclasse.

Tracce consigliate: “Self-Eater”, “Neuromancer”, “A Desert Throne”

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