Prima metà di ottobre decisamente brutale per gli appassionati dell’estremo.

Amputate – Dawn Of Annihilation (Massacre Records)

Sorti in Portogallo una decina di anni fa, gli Amputate si sono poi trasferiti a Zurigo, pubblicando un paio di EP, “Necrofornication” (2014) e “Chainsaw Surgery” (2015), prima di debuttare con il discreto “Tortura Macabra” (2018). Tra il caratteristico abisso traboccante di tentacoli raffigurato sulla copertina e il brutale logo della band, è logico ed esatto aspettarsi da questo “Dawn Of Annihilation”, rilasciato da Massacre Records, un death metal malato e animalesco, figlio degenere di Suffocation, Death, Morbid Angel e Cannibal Corpse, con un Tom Kuzmic capace, dietro il microfono, di lanciare urla e ringhi à la John Tardy. Qui e là appaiono riferimenti al deathcore come a un progressive di stampo esotico, ma tali accenni non si deteriorano mai nella tecnica fine a sé stessa, fungendo da dinamici cuscinetti uditivi per un assalto all’arma bianca dal sapido aroma old school di matrice yankee. Magari l’originalità non rappresenta la loro bussola principale, eppure questa strana e selvaggia congrega di svizzero-lusitani non conosce concorrenza alcuna quando si tratta di pestare a tutta e senza nessuna pietà.

Tracce consigliate: “Asphyxiation”, “Agonizing In Terror”, “Conquering Thy Flesh”

De Profundis – The Corruption Of Virtue (Transcending Obscurity Records)

La religione e il metal hanno sempre intessuto relazioni ambivalenti, tra nobili accordi, incerte oscillazioni e reciproche stoccate intrise di tossico astio. I De Profundis sono ormai da anni in trincea contro il fondamentalismo dottrinale – e politico –, con il recente “The Blinding Light Of Faith” (2018) che, benché pregno di liriche non banali, veicolava un progressive death  musicalmente poco convincente, teso più alla ricerca dell’effetto che a una scrittura di sostanza. “The Corruption Of Virtue”, sesto LP in studio di una carriera ondivaga, latrice tanto di ottimi lavori quanto di brutti scivoloni, vede i londinesi riprendere soltanto in parte il discorso intavolato nel disco anteriore, aggiungendo a groove e tecnicismi à la Death raffinatezze melodiche di scuola svedese e innesti provenienti dalle letali paludi floridiane. Ridotte le sezioni cervellotiche, il gruppo riesce a licenziare un lavoro godibile e dal forte taglio old school che, pur non rinunciando all’utilizzo massiccio del basso fretless, risulta diretto e pugnace, un po’ sulla scia degli ultimi Obscura. A parte gli scomodi paragoni e le debite proporzioni, i britannici tornano, fortunatamente, ad altezze apprezzabili.

Tracce consigliate: “Ritual Cannibalism”, “Embrace Dystopia”, “Scapegoat”

Diabology – The Father Of Serpents (Dissonant Hymns Records)

Solitamente gli anni dell’adolescenza modellano la nostra visione dell’extreme sino all’età adulta. E spesso, quando la passione per stili specifici prende piede, connettendosi alle emozioni a un livello più profondo della media, essa forgia legami interpersonali che possono durare una vita intera. I Diabology appartengono a quella categoria di formazioni statunitensi i cui membri si sono conosciuti attraverso il circuito delle rock school con l’obiettivo di suonare un thrash metal dai bordi blackened, attingendo tanto dalla tradizione quanto dalla contemporaneità. Dopo l’esordio autoprodotto “Nobody Believes Me” (2020), acerbo, ma ricchissimo di energia, i californiani vengono messi sotto contratto dalla Dissonant Hymns Records, label di proprietà di Ides e Marissa Bergen, genitori di Jess, vocalist e chitarrista della band stessa: un affare di famiglia, dunque, che Bergen, genitori di Jesse, chitarrista e vocalist della band stessa: un affare di famiglia, dunque, che non intacca la credibilità diabolica del secondo album in studio degli statunitensi “Father Of Serpents”. Un disco che, malgrado qualche ingenuità, gioca le sue carte migliori più sulle atmosfere che sulla velocità pura, facendo emergere dal sottosuolo punk/speed delle asce un’intrigante sensazione di angoscia, percepibile soprattutto nei ricami sludge che infiocchettano l’insieme. Se a questo aggiungiamo un surplus di armonizzazioni à la Iron Maiden, qualche spruzzata di deathcore melodico e liriche che spaziano dal fantasy alle questioni sociali, appare evidente che ci troviamo al cospetto di musicisti di ceto superiore rispetto alla media dei loro coetanei e il cui approccio ingegnoso e irriverente alla materia metallica ricorda i Voïvod prima maniera. Da tenere sott’occhio per il futuro.

Faceless Burial – At The Foothills Of Deliration (Dark Descent Records)

L’Australia è ben nota per la sua capacità multiforme di ingoiare vite umane: ragni botola pronti, con le loro zanne gocciolanti, a perforare le mani di un incauto giardiniere, serpenti tigre sempre e comunque aggressivi,  meduse quasi invisibili che possono trasformare un mare calmo e accogliente in una mortale trappola paralitica. L’ambiente ideale per la proliferazione discografica dei Faceless Burial, trio di Melbourne che con “At The Foothills Of Deliration” giunge al terzo opus in studio dopo i buoni “Grotesque Miscreation” e “Speciation”. Dopo le influenze provenienti da Adramelech, Autopsy, Death, Demilich, Jungle Rot, Kataklysm, Immolation e Suffocation, la formazione oceanica aggiunge al nuovo full-length l’impronta dei Nile, saturando di raffinata brutalità un death metal che picchia, rotea e sbuffa come un leone ferito desideroso di rivalsa, in perenne vagabondare su superfici desertiche e sotto un torrido sole estivo. Sintetizzatori e voci femminili aprono forse qualche spiraglio di cambiamento, ma la sostanza resta la medesima, ovvero artigliare e sventrare i malcapitati attraverso delle mini-suite di trasversale efficacia. Chapeau.

Tracce consigliate: “Equipoise Recast”, “A Mire Of Penitence”, “From The Bastion To The Pit”

Goatwhore – Angels Hung From The Arches Of Heaven (Metal Blade Records)

Attivi ormai da un quarto di secolo, i Goatwhore tornano in scena con lavoro sulla lunga distanza giusto in tempo per celebrare il proprio anniversario d’argento. Esausti dai tanti concerti che seguirono l’uscita di “Vengeful Ascension” (2017), gli statunitensi decisero di prendersi una pausa, approfittando poi dello scoppio della pandemia per lavorare con tranquillità e attenzione massima ai dettagli del nuovo materiale. “Angels Hung From The Arches Of Heaven” mostra il consueto mélange crudo, ma estremamente accattivante, di black e thrash metal, ricco di riff maligni, groove abissali, esplosioni fulminee di fascino irrefrenabile e un growl, quello di L. Ben Falgoust II, più profondo della natural burella. Nonostante la conferma di uno stile impetuoso e roboante, i vari brani del lotto palesano un songwriting più articolato e complesso del solito, merito anche del parterre de roi dietro le quinte messo a disposizione dalla Metal Blade (produzione di Jarrett Pritchard, mix di Kurt Ballou, mastering di Ted Jensen). Un risultato niente male per un gruppo a volte prigioniero di una stereotipia compositiva da sbadiglio.

Tracce consigliate: “The Bestowal Of Abomination”, “Ruinous Liturgy”, “Voracious Blood Fixation”

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