Benché della formazione storica resti unicamente il chitarrista Kurdt Vanderhoof, che, stanco della vita on the road, per un periodo preferì rivestire il ruolo di compositore esterno, i Metal Church continuano ancora oggi a resistere sulla breccia dell’HM a stelle e strisce, stoici dinanzi alle tragedie che ne hanno cosparso il cammino e a un successo mai centrato appieno. Il nuovo “Congregation Of Annihilation” (2023), in ogni caso, presentava degli statunitensi in ottima vena e addirittura capaci di sfornare il loro miglior frutto da un ventennio abbondante a questa parte, un lungo trancio temporale costellato di album piacevoli, ma lontani dalla vecchia eccellenza. La pubblicazione, oggi, di “The Final Sermon (Live In Japan 2019)”, resoconto di due show estivi tenuti al Club Citta di Kawasaki, va a toccare, invece, le corde interiori di coloro che ancora, e a giusta ragione, si dolgono per la precoce e improvvisa scomparsa di Mike Howe, morto suicida nel luglio del 2021 a soli cinquantacinque anni, suscitando il cordoglio unanime della comunità metal mondiale.
Il singer, all’epoca nelle fila degli Heretic, venne scelto quale sostituto del compianto David Wayne e riuscì a imporsi alla grande per carisma e qualità vocali, marchiando paltter del calibro di “Blessing In Disguise” e “Human Factor”, dischi, che, usciti tra il 1989 e il 1991, si trovarono ad affrontare il tornado dell’era grunge, deleterio, soprattutto a livello commerciale, per una band di Aberdeen musicalmente non allineata. La sua ugola affilata, poderosa, sinistra e allo stesso tempo in grado di trasmettere emozioni profonde, si sposava perfettamente all’amalgama talora adrenalinico, spesso oscuro, roccioso e cadenzato, di NWOBHM, US power e thrash, un sound originale come pochi, intriso di suggestivi arpeggi melodici e percorso da sfumature prog à la Queensrÿche. Dopo il rilascio dell’ottimo “Hanging Balance” (1993) e il momentaneo scioglimento, il gruppo ripartì senza MK, tornato poi in line-up per registrare “XI” (2016) e “Damned If You Do” (2018), un paio di prove che, al netto del calo d’ispirazione del songwriting, mostravano un cantante sempre e comunque in splendida forma.
La scaletta del live nipponico, pur pescando principalmente dai full-length con il frontman del Michigan al microfono, non dimentica di ornarsi di alcune perle tratte sia dall’esordio omonimo del 1984 sia dal meraviglioso “The Dark”, una combo forse insuperata per valore complessivo e tenebrosità delle atmosfere, i cui pezzi appaiono qui resi in maniera maiuscola, quasi ai confini del solenne, specialmente la colossale “Beyond The Black”. Privo di orpelli da studio e con un pubblico che si avverte davvero partecipe, rendendo il clima palpabilmente elettrico, il disco raggiunge i propri momenti apicali quando le varie “Fake Healer”, “Start The Fire”, “No Friend Of Mine”, mentre anche le più recenti “Needle & Suture”, “The Black Things”, “By The Numbers” ricevono una boost proteico maggiore rispetto alle versioni originali, grazie al feeling ottantiano e alla potenza sprigionati dal quintetto. La prestazione del singer non si discute e l’immensa malinconia di “Badlands”, pezzo deputato a chiudere la performance, accende la miccia di un trasporto collettivo autentico, che sembra preconizzare, purtroppo, il tragico epilogo concretatosi successivamente.
“The Final Sermon (Live In Japan 2019)” è un tributo sincero dei Metal Church al talento e alla profonda umanità di Mike Howe, concedendo agli appassionati e a sé medesimi, per l’ultima volta, la possibilità di godere della magia interpretativa di una delle leggende dell’heavy metal. Un saluto commovente, che cattura l’anima e il cuore.
Tracklist
01. Damned If You Do
02. Needle & Suture
03. Fake Healer
04. In Mourning
05. Human Factor
06. Date With Poverty
07. The Black Things
08. Gods Of A Second Chance
09. Start The Fire
10. Watch the Children Pray
11. Beyond The Black
12. By The Numbers
13. No Friend of Mine
14. Badlands