Più ineluttabile di Thanos e della riscossione delle tasse da parte dello Stato, torna la creatura principale di Thomas Eriksen, polistrumentista e vocalist che soltanto lo scorso aprile ci aveva deliziato con le nere regressioni del debutto omonimo del suo progetto parallelo Udåd. Se pensiamo che “Syv”, ennesima release a firma Mork, giunge a un anno di distanza dall’ultimo “Dypet”, si può facilmente arguire come l’eloquenza compositiva del mastermind norvegese non sembri conoscere ostacoli ciclici di sorta, rispondendo a un’intrinseca necessità di esplorazione musicale palesatasi a partire da “Eremittens Dal” (2017). Dopo i due platter iniziali “Isebakke” e “Den Vandrende Skygge”, nei quali l’enorme influenza della second wave dei Fiordi pareva relegarla tra gli epigoni scolastici del genere, la one man band di Halden si è via via ritagliata uno spazio autonomo in un contesto spesso ferocemente conservatore, riuscendo ad aggiornare la tradizione e, soprattutto, a personalizzarne con intelligenza il retaggio. L’album numero sette – cifra impressa in lingua madre nel titolo – rappresenta la persistenza di un discorso evolutivo giunto, forse, al proprio acme, benché ciò non significhi la realizzazione sic et simpliciter di un capolavoro.
A tal proposito, Eriksen continua a minimizzare il ricorso ad ancestrali principi raw e lo-fi, puntando, oltretutto, su una produzione che, mentre lo vede in azione al mixer, nel mastering accoglie le gesta tecniche di un professionista del calibro di Maor Appelbaum. La conseguenza è che il disco suona al pari di un’uggiosa nenia originaria del Mare del Nord al cui interno si insinui sottile il tepore della Corrente del Golfo, con il basso che spesso si erge a guida introspettiva dei pezzi, conferendo a essi interessanti suggestioni post punk. Un songwriting complesso, dunque, teso a cucire, su riff ossessivi e minimali, trame atmosferiche dalla patina ambient, comprimendo il tutto in arrangiamenti molto elastici, intrisi di tendenze proggy e tetre sfumature dark/doom che favoriscono una decisa prevalenza dei mid-tempo alle classiche accelerazioni in blast beat. La direzione intrapresa pare quella dei connazionali Enslaved, benché alcune sfilacciature e la combinazione, a tratti estenuante, di ritmi cadenzati, chitarre rotonde e synth rivelino la tortuosità e le sfide della strada scelta.
Un platter, comunque, dalle tante sfaccettature, che parte con i tre diversi leitmotiv della freddissima e parzialmente Khold oriented “I Tåkens Virvel”, procede sui fraseggi sincopati e le stratificazioni di “Holmgang”, sgomita fra gli accenni space e il black’n’roll di “Heksebål”, assesta un gelido manrovescio old school attraverso le note di “Utbrent”, brano che, soprattutto nella prova vocale, ricorda lo screaming fosco e intriso di Romanticismo nordico di Hoest dei Taake. Laddove il tremolo sobrio di “Med Døden Til Følge” sfocia nell’heavy epico di britannica memoria, la ferocia death di “Ondt Blod” e i Carpathian Forest quasi in versione DSBM di “Tidens Tann” anticipano una combo contemplativa e malinconica, ovvero l’instrumental folkish dalla struttura simil-sinfonica “Til Syvende Og Sist” e l’acustica “Omme”, che il singer timbra con una buona clean performance, accompagnato dalle note sublimi di un violino pressoché attivo ovunque nel lotto, a volte sottotraccia, a volte in primo piano.
Un’assoluta garanzia in ambito estremo, il monicker Mork, in “Syv”, si rende interprete di un black dolente e melodico, ricco di influenze molteplici e che cerca di svincolarsi ulteriormente dalla lezione dei padri Burzum e Darktrhone. Un disco di conferma, anche audace in qualche frangente, eppure la soglia dell’eccellenza resta un’altra cosa.
Tracklist
01. I Tåkens Virvel
02. Holmgang
03. Heksebål
04. Utbrent
05. Med Døden Til Følge
06. Ondt Blod
07. Tidens Tann
08. Til Syvende Og Sist
09. Omme