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Nile – The Underworld Awaits Us All

La trama del cult movie “La Casa” (1981), il cui successo diede vita a un franchise ancora in corso e a una curiosa serie di apocrifi di provenienza italiana, si imperniava sul rinvenimento, da parte di un gruppo di ragazzi, del Neronomicon-Ex Mortis, un testo sumero che offriva la possibilità di evocare ancestrali entità maligne. Qualora Sam Raimi decidesse di imbracciare la macchina da presa e girare un vero reboot, probabilmente sceglierebbe di affidare ai Nile la composizione della colonna sonora, visto l’interesse del quintetto del South Carolina sia per la cultura e il folklore dell’Antico Egitto sia per la produzione letteraria di Howard Philips Lovecraft. Laddove la presenza del solitario di Providence oggi si limita a qualche vago riferimento, faraoni e piramidi continuano a costituire l’immaginario principale degli statunitensi, ormai da trent’anni sulla scena del mondo estremo e che giungono al decimo album in studio con “The Underworld Awaits Us All”, un titolo da vacanza estiva nella Duat.

Rispetto a “Vile Nilotic Rites” (2019), la line-up vede l’ingresso del bassista Dan Vadim Von al posto di Brad Parris e si arricchisce di un terza ascia nella persona di Zach Jeter, un tentativo, forse, di conferire maggiore spessore a un sound che nella scorsa fatica, la prima priva del fondamentale apporto di Dallas Toler-Wade, difettava in densità e consistenza, al netto di un piglio volenteroso e di una produzione davvero ottima. Il nuovo disco, il debutto su Napalm Records, continua a usufruire di un notevole lavoro dietro la console, tuttavia, in merito a scrittura e suggestioni, risulta il meno etnico della discografia del gruppo, avvicinandosi, in molte circostanze, a un US death metal di foggia classica, rotondo e dalle brevi scanalature thrash. Un brutal/technical, dunque, che, se da un lato preferisce non spingere troppo il pedale del parossismo, adagiandosi su soluzioni spesso più “semplici” e dirette, dall’altro sfuma attraverso lunghe e talvolta estenuanti digressioni dal taglio cinematografico, aspetto rilevabile in una seconda metà del lotto nella quale il ricorso a macabri e orecchiabili cori femminili di natura gospel/fusion e a ralenti di matrice doom ricorda molti passaggi di “Black Seeds Of Vengeance” e “In Their Darkened Shrines“.

L’opener “Stelae Of Vultures”, comunque, ci assesta un bel calcio nei denti dispiegando le armi tipiche dei Signori della scala frigia, tra riff dal gusto esotico, blast beat a manetta e oscuri break atmosferici intrisi del sangue degli Ummiti trucidati dal re Eannatum. “Chapters for Not Being Hung Upside Down On A Stake In The Underworld And Made To Eat Feces By The Four Apes”, oltre a superare in quantità di caratteri alfabetici la vecchia “Chapter Of Obeisance Before Giving Breath To The Inert One In The Presence Of The Crescent Shaped Horns”, si rivela un boccone escrementizio da sorbire tutto d’un fiato, benché la mancanza di stacchi e la morigerata cavernosità delle tre voci gutturali, una costante, quest’ultima, che non sempre aggrada i padiglioni auricolari, rendano il brano soltanto discreto. La concisa “To Strike With Secret Fang” cancella il Medio Oriente dalla propria geografia musicale a favore di incisive influenze blackened, mentre in “Nagada II Enter The Golden Age” tornano a dominare i magnetismi levantini, inserite in un contesto proggy dal sapore Cattle Decapitation che, però, ha la colpa di indebolire un po’ il tiro e la ferocia della canzone. Dopo gli effluvi sabbiosi dell’interludio “The Pentagrammathion Of Nephren-Ka”, seguono le variazioni dinamiche di una complessivamente buona “Overlords Of The Black Earth” e una “Under The Curse Of The One God” che si giova di morbose ammortizzazioni à la Morbid Angel per esecrare il fanatismo religioso responsabile dell’abbandono del saggio magistero di Thot.

Con liriche che esplorano temi di morte e reincarnazione, “Doctrine Of Last Rights” riesce a tenere viva l’attenzione grazie a una forza percussiva tanto prevedibile quanto efficace, così come l’epica “True Gods Of the Desert”, che impiega, attraverso lo stile malevolo tipico della band, ritmi e melodie capaci di riverberare l’andatura ipnotica dei cammelli nel deserto, malgrado, poi, l’eccessivo minutaggio diluisca l’efficacia dei piacevoli spunti messi in vetrina. La title track, invece, non convince appieno, alternando, in maniera un po’ confusionaria e senza una direzione precisa, assoli rapidissimi e demolitori a momenti di solenne accettazione dell’inevitabile, con un Karl Sanders che pare mostrare la corda a livello di numero e chiarezza di idee. A chiudere il platter, l’instrumental “Lament For The Destruction Of Time”, un pezzo che sviluppa un senso di misurata attesa crepuscolare, con rumori di rocce che si sgretolano nel mezzo di fraseggi brontosauriani e di qualche accelerazione compulsiva, invitando l’ascoltatore a riflettere sul significato dell’esistenza e della sua precarietà.

“The Underworld Awaits Us All” è un full-length di mestiere, sorretto dalle straordinarie impalcature ritmiche di George Kollias e in generale, dall’enorme conoscenza della materia della formazione a stelle e strisce, eppure ritroviamo con frammentarietà lo spirito maledetto e l’esoterica spietatezza che impregnavano un “Annihilation Of The Wicked”. I Nile, comunque, restano un usato sicuro che non passa mai di moda, Ra e Anubi permettendo.

Tracklist

01. Stelae Of Vultures
02. Chapter For Not Being Hung Upside Down On A Stake In The Underworld And Made To Eat Feces By The Four Apes
03. To Strike With Secret Fang
04. Naqada II Enter The Golden Age
05. The Pentagrammathion of Nephren-Ka
06. Overlords Of The Black Earth
07. Under The Curse Of The One God
09. Doctrine Of Last Things
10. True Gods Of the Desert
11. The Underworld Awaits Us All
12. Lament For The Destruction Of Time

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