Noi ci sentiamo romantici. Sarà che l’estate inizia a scemare, i primi freddi imbottiscono gli abiti e increspano il contorno delle labbra, il sole va e viene più velocemente sopra alle nostre teste, ricordandoci quanto quella prolungata sensazione di invincibilità conferitaci dalla bella stagione altro non è che l’ologramma di una vita scandita dalla luce, dal calore che, da fuori, scivola e colonizza i corpi. Probabilmente è per questo che ci ritroviamo sempre a Cinecittà, a provare a esorcizzare le giornate che si fanno più lente e goffe, sfruttando l’ultima miccia di una metà settembre che fa da malinconico spartiacque per i nostri cuori.

È questo lo Spring Attitude Festival, un po’ un rito, un po’ una necessità di evasione, lontano dal centro della capitale, ma gremito di gente da tutta Italia. Un flusso costante e metamorfico di generi che si scontrano, si pigliano e si contaminano, in un itinerario pulito e senza ostacoli che radica col folk, vibra col rock, fluttua e danza con l’elettronica.

Tocca alle cantautrici Anna And Vulkan e Gaia Morelli aprire l’edizione 2024, in una giornata dal cielo maculato e dalle temperature non esattamente settembrine – lo scorso anno il meteo era decisamente più favorevole. Subito i Fat Dog, freschi freschi dalla pubblicazione del loro debut “WOOF.”, a smuovere i primi accorsi, rave punk irriverente che, in dimensione live, allarga la sua capacità di impatto, conquistando istantaneamente la platea – con “Wither” e “Running” coincidono i primi poghi della (lunga) giornata. Un set che, sinceramente, avrebbe meritato qualche posticino più su nella timetable.

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Ma tempo per rimuginare non ce n’è, poiché Emma Nolde, in qualche minuto, colonizza il Molinari Stage con la sua voce, splendida vettrice di un cantautorato che dal bellissimo “Toccaterra” ha continuato a fagocitare influenze, strati sonori, esigenze art rock e synth-pop (“Berlino”).

Enorme presenza scenica, uno stendardo tenuto alto anche dai Bobby Joe Long’s Friendship Party, lontani dalla mistura di crossover folk, ma strenui messaggeri della coatto-wave romana, tra chitarroni rombanti, basso fatticcio per un’eminente matrice post-punk e sei corde acidule che bazzicano coi synth degli 80s.

Insomma, una bella botta, ammansita solamente dal crepuscolo e dall’entrata on stage dei bar italia: l’atteso ritorno di Nina Cristante e soci, la cui ultima passata in terra capitolina risale al 28 settembre dello scorso anno al Monk, è ipnosi indie-rock, lampi di ferraglia slacker che si forgiano di quell’essenzialità lo-fi di cui gli inglesi si fanno fieri portavoci. Act che pesca un po’ da tutti i bottoni discografici, dalle origini (“rage quit”) al notevole “Tracey Denim” di “Nurse!”, “Punkt” e “changer”, condendo con qualche estratto dall’ultimo – non ugualmente entusiasmante – “The Twits”.

Decisamente più animato è il cambio palco con Motta: il cantautore romano, accompagnato al basso da Roberta Sammarelli, si riconferma di un’altra spanna in live, dove i pezzi esondano di emotività e scintillano assieme al bagliore delle prime chitarre immerse nel buio. La delicatezza de “La fine dei vent’anni”, la spinta abrasiva di “Roma stasera”, la danza anthemica scatenata da “La nostra ultima canzone”, un bel boost di carica che serve come il pane per farsi trovare pronti per uno dei main act della serata.

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Difatti, quello dei Viagra Boys è forse il concerto più atteso del day 2, un hype smisurato tramutatosi in un’incendiaria ovazione quando Sebastian Murphy e tutta la Shrimptech Enterprises bucano la scena, premendo start ad un’ora e un quarto di sudorazione incontrollata, gomitate sulle costole e moshpit indimenticabili: benzina sulla platea con “Ain’t Nice”, e tutta Roma inizia a ballare, a lasciarsi trascinare dall’onda grossa di “Slow Learner”, dai fendenti di “Ain’t No Thief” e “Troglodyte”, dalle sgangherate movenze di “Punk Rock Loser” e di “Just Like You”. “Worms” coccola, l’inedita “Man Made Of Meat” e la lunga schiacciasassi “Amphetanarchy” bastonano fino alla tellurica doppietta finale “Sports”/ “Research Chemicals” che capovolge totalmente il parterre. Garanzia per chi li aveva già visti, adorabile sorpresa per i nuovi discepoli.

Il flusso procede a vele spiegate, il rock ricircola e assapora il gusto di un’elettronica evanescente, innamorandosene follemente: è il momento dei Mount Kimbie, che paiono proprio aver scovato la dimensione ideale – e, a mio avviso, perfetta – accasando i singhiozzi elettronici d’origine al di sotto della calda cupola dell’indie-rock, regalandoci un gradevolissimo “The Sunset Violent” che è un po’ la coronazione di un percorso, ripropostoci in live nella sua “seconda” evoluzione. Brillano i pezzi di “Love What Survives”, con quell’immancabile “Blue Train Lines” che dal vivo arde di una carica incontenibile, entrano in risonanza con l’aria i tasselli dell’ultimogenito LP, dalla strascinata “Dumb Guitar” al pepe nu gaze che trafigge le linee di “Fishbrain”.

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Un set transitorio, che apre e spalanca le porte all’elettronica, terza ed ultima regina della serata: sta a Whitemary mettere mano ai sintetizzatori, con un live che manipola l’indietronica e la getta in pasto alla techno. Decisamente più volatile e onirica, invece, è la creatura fatta decollare dai Kiasmos di Ólafur Arnalds, splendente fenice di raffinato ambient e electro atmosferica che fa salire a livelli superiori la già alta asticella del festival, portato a termine dai dj set degli onnipresenti – e sempre spaziali – Acid Arab, col loro infuso di techno e ghirigori arabeggianti, e della palestinese Sama’ Abdulhadi.

Capisci di amare qualcosa quando soffri nel doverlo salutare con una lacrimuccia: succede ogni dannatissima volta, perché lo Spring Attitude te la cambia davvero, l’attitudine. Te la fa sentire sulla pelle, la primavera, sulla stessa pelle che, nonostante il freddo, è così ricolma di calore, di felicità, di appagamento.

Un’imperdibile appuntamento col ritrovare sé stessi sotto gli ultimi, tiepidi abbracci di un sole che congeda il suo periodo migliore. E, come ogni anno, ci sentiamo più romantici per qualche istante, invulnerabili alla quotidianità soffocante, pensando già che settembre tornerà, di nuovo.

Setlist

Viagra Boys

Ain’t Nice
Slow Learner
Down In The Basement
Punk Rock Loser
Troglodyte
Amphetanarchy
Just Like You
Ain’t No Thief
Man Made of Meat
Secret Canine Agent
Worms
Cold Play
ADD
Sports
Research Chemicals

Mount Kimbie

Four Years and One Day
You Look Certain (I’m Not So Sure)
SP12 Beat
Shipwreck
Dumb Guitar
Marilyn
Fishbrain
Delta
Blue Train Lines
Empty And Silent
Made To Stray

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