Il modo giusto di tornare a casa dopo quasi tre ore di concerto dei The Cure è sotto la pioggia battente che stria i coni di luce dei lampioni e nebulizza la foschia autunnale tra i fari delle auto.

La Kioene Arena di Padova è gremita in ogni ordine di posto e la sensazione è quella dedicata alle grandi occasioni. Entriamo all’interno della venue verso la fine del set di apertura di The Twilight Sad, band scozzese che regala un finale energetico contrapuntato da vocalizzi alla Morrisey e chitarre acide quanto basta.

I quaranta minuti di attesa che ci separano dai The Cure sono riempiti da strepitii di temporale e pioggia battente emessi dall’impianto principale, ad creare l’atmosfera perfetta per accogliere Robert Smith e compagni.

Il nero è chiaramente il colore predominante tra il pubblico generalmente over 40 che riempe gli spazi davanti al palco. Un pubblico educato, attento, esperto. Abitanti del pianeta musica dal vivo. Bene.

Alle 20:15 la band britannica sale sul palco, interrompendo gli ultimi rombi di tuono e intonando “Alone”, nuovo estratto del prossimo disco. Robert Smith si gode i fragorosi applausi e saluta il pubblico con dedizione. Una sfera terrestre persa nel vuoto spaziale aleggia nei ledwall alle sue spalle. 

È subito momento di grandi classici con “Pictures Of You” che esalta subito la folla di fan alzando l’asticella dell’emotività veramente in alto. Il suono riempie il palazzetto e si è già totalmente dentro al mondo oscuro e malinconico di Robert Smith.

Al momento di “Lovesong” il palco si colora di rosa e le struggenti melodie si intersecano con i cori a squarciagola di nutriti capannelli di fan.

È il tempo di un altro nuovo pezzo: “And Nothing Is Forever” apre con un piano docile, subito supportato da progressioni distorte di chitarre e riff. Torna la tematica dell’abbandono del pianeta e della poca speranza nel futuro. Molto The Cure.

Si alza il tiro con una versione tutta muscoli e lacrime di “Burn”, dove la telecamera di concentra unicamente su Jason Cooper, alla batteria e catapulta il mondo attorno in una danza tribale e psichedelica. Come suonano questi, ragazzi. Robert Smith è in estasi agonistica ed il suono del basso di Simon Gallup ci porta indietro nel tempo facendosi sentire dentro ad un club del Surrey di qualche decennio.

The “Drowing Man”, “Push” e “Play For Today” sono la perfetta anticamera di un altro grandissimo capolavoro che cala senza pietà sulle nostre teste alzate e rivolte verso il palco. Gli schermi alle spalle della band si riempiono di alberi e inconfondibilmente “The Forest” ci abbraccia tutt’attorno, senza via d’uscita se non il destino di ballare senza sosta. 

Ancora qualche pezzo avanti ed indietro nel tempo, dove spicca “From The Edge Of The Deep Green” Sea che ha da poco, assieme a “Wish”, il disco che la contiene, compiuto 30 anni. Spazio per qualcosa di “Pornography (One Hundred Years)” e per “Endsong”, altro nuovo singolo della band.

Qui è dove una band con più di 40 anni di attività solitamente si ferma. Un’ora e mezza di spettacolo ricco di classici e nuove misure. Ma è solo l’inizio quando si parla di The Cure.

L’encore formato da “I Can Never Say Goodbye”, “Cold” e “At Night” spazza via ogni minimo dubbio sul fatto che per essere grande davvero lo devi essere sul palco. “Disintegration” segue questo trittico e colpisce con colpi di feedback anche i cuori più lontani. Uno stordimento catartico cala sulla Kioene Arena. Ancora una pausa.

Tutti sanno che non può essere finità qui, senza alcuni pezzi fondamentali. Ma non aleggia una sensazione di incredulità dopo due ore di concerto senza soluzioni di continuità se non qualche sorriso e qualche “Grazi milli” di Smith tra un brano e l’altro. Quello che sta per arrivare è una mezz’ora di pietre miliari del rock per come la conosciamo. Canzoni che ci hanno accompagnato in ogni parte della nostra vita e legano diverse generazioni con un doppio filo di speranza. Così, una dopo l’altra, si inanellano sette tra i più grandi capolavori dei The Cure, senza far mancare nulla ai fan che ballano, si abbracciano, si lasciano immergere in questo rito pagano che un concerto come questo è riuscito a celebrare. 

“Boys Don’t Cry” chiude queste due ore e quarantacinque di apnea dalla vita. Ma credeteci, abbiamo pianto tutti.

Setlist

Alone
Pictures of You
Closedown
A Night Like This
Lovesong
And Nothing Is Forever
Burn
A Strange Day
The Drowning Man
Push
Play for Today
A Forest
39
From the Edge of the Deep Green Sea
One Hundred Years
Endsong

I Can Never Say Goodbye
Cold
At Night
Disintegration

Lullaby
The Walk
Friday I’m in Love
Close to Me
In Between Days
Just Like Heaven
Boys Don’t Cry

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