“Stasera vado a vedere i Tokio Hotel

Potrebbe benissimo essere l’inizio di un meme. E invece, per quanto surreale possa sembrare, artisti che sono stati dei fenomeni mediatici quasi due decenni fa sono ancora in attività e hanno ancora dei fan. E non pochi. Infatti, la fila che si è creata di fronte al Fabrique di Milano fin dal mattino non è affatto corta, sono tante le persone in attesa di entrare: chi magari è alla prima esperienza con la band e attende da ben due anni di riscuotere il proprio biglietto (la data era inizialmente prevista per il 29 ottobre 2021, poi doveva essere il 20 aprile 2022), e chi magari ha già avuto modo di vederli, magari proprio qui al Fabrique, nel 2019.

L’ingresso si apre e inizia la corsa per accaparrarsi il posto più bello da cui vedere Bill, Tom, Georg e Gustav. Nonostante la gran massa di fan che continua ad arrivare, il locale si presenta in versione dimezzata, con un telo che delimita metà del parterre. Il pubblico è molto più eterogeneo di quanto si potrebbe immaginare: non solo ragazze trentenni, che ai tempi di “Scream” erano teenagers, ma anche ragazze più giovani, donne più mature e, a conferma di quanto i meme siano solo meme, una discreta presenza maschile.

Alle 20:00 sale sul palco il chitarrista Gray Trainer, raggiunto praticamente subito dall’artista d’apertura: Casey Baer. La 22enne californiana canta per mezz’ora spaccata alcuni dei suoi inediti, che viaggiano su sonorità pop contaminate dal rock più commerciale, accompagnata solo da Trainer e da un’abbondante dose di basi. Una scelta un po’ discutibile? Forse (o forse no, dato quanto vedremo dopo), ma il pubblico apprezza ed è anche abbastanza partecipativo alle richieste di Baer. Terminato il suo set, cala un telo sul palco.

Si fanno le 21:00 e ormai la platea è gremita di spettatori. Alcune luci vengono proiettate sul telo, poco prima che questo venga fatto cadere e si riveli finalmente la band, sulle note di “White Lies”. Si capisce fin da subito quale sia il focus dello show: il frontman Bill Kaulitz entra in scena su un apposito rialzo, armato di chitarra e microfono headset, con un outfit naturalmente sgargiante. Un occhio di bue è già puntato su di lui e non lo mollerà fino alla fine del concerto.

Il resto della band appare come un semplice contorno e questo stranisce, soprattutto se si pensa che la lineup non soltanto è identica sin dalla formazione, ma oltretutto comprende alla chitarra il gemello di Bill, Tom Kaulitz. Il batterista Gustav Schäfer è una presenza a dir poco nascosta: la batteria si trova su un altro rialzo, ma molto più verso l’interno del palco e talvolta i video proiettati sullo sfondo lo nascondono del tutto. Nemmeno per Tom e per Georg Listing (basso) ci sarà molto spazio per la ribalta, nonostante la notevole diligenza di entrambi nello spostarsi continuamente da chitarre a tastiere. Perfino quando Bill esce di scena per effettuare il cambio outfit (prima in “We Found Us”, poi in “Spring Nicht”) e il suo riflettore si spegne, nessuno degli altri tre membri, intenti a suonare i pezzi fino alla fine, viene illuminato.

Musicalmente, la band ha ormai abbandonato da tempo il mondo rock/emo e si muove in valli dove risuona quasi solo musica elettronica: la batteria è talmente colma di effetti che potrebbe quasi non esserci (e a sto punto, forse basi più ricche non sarebbero state così malvage) e sono più le volte che vediamo Tom impegnato alle tastiere che quelle in cui imbraccia la sua chitarra. Eppure, loro sanno di dover accontentare anche i fan di più vecchia data e così appaiono momenti leggermente più spinti nella prima metà del set, come “Girl Got a Gun” e “World Behind My Wall”.

Dopo aver saltato con “Feel It All” e aver ondeggiato su “When It Rains It Pours”, Tom lancia tutto ciò che ha tra le mani alla platea (asciugamano compreso) e si dirige verso il rialzo insieme al fratello per suonare un paio di pezzi acustici: “Just a Moment”, che comprende in cassa e sullo schermo il feat come da studio di VVAVES e “Schwarz”.

Bill non è un gran chiacchierone, non ne ha bisogno data la capacità (e l’aiuto dello staff) di attirare tutta l’attenzione semplicemente respirando; parla col pubblico giusto il necessario per prendersi urla e applausi, sfoggiando anche le sue doti di imprecatore italiano (“Leccami le palle” l’espressione più articolata che pronuncia).

Momento notevole prima della fine è sicuramente “Spring Nicht” (noi non-germanofoni la conosciamo come “Don’t Jump”), con il suo climax sonoro in contrasto con l’anticlimax visivo (palco quasi buio dato il momento cambio outfit).

Nel bis (che giunge inaspettatamente presto) finalmente il momento più atteso: “Durch den Monsun”, che per l’ultimo ritornello diventa la (per noi) più famigliare “Monsoon”, cantata dall’intero Fabrique. I Tokio Hotel con il loro “Beyond the World Tour” sicuramente non mancano di far emozionare, ma la percentuale di attaccamento di una fanbase del genere (forse in pochi impegnati a vivere il concerto beyond the smartphone) è talmente alta che fallire sarebbe stato quasi impossibile. Tuttavia, per quanto il tempo sopra Milano stesse dando una mano, gli ex-idoli dei Millenials non hanno portato la tempesta.

Setlist

White Lies
Automatic
The Heart Get No Sleep
We Found Us
Girl Got a Gun
HIM
World Behind My Wall
Feel It All
When It Rains It Pours
Just a Moment
Schwarz
Run, Run, Run
Spring Nicht
Easy
Love Who Loves You Back
What If
Chateau
Fahr Mit Mir
Durch den Monsun
Runaway

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