Guilt Machine (Arjen Lucassen)
E’ con grande onore ospitare, sulle pagine di SpazioRock, il maestro Arjen Lucassen, creatore della meravigliosa saga Sci-Fi di Ayreon e oggi alle prese con un progetto tutto nuovo intitolato Guilt Machine. Mi sono avvicinato con un po’ di apprensione a questa telefonata, ed è la prima volta che mi capita dopo più di una decade di interviste, sarà perché riconosco in Arjen Lucassen un artista unico e inimitabile, sarà perché seguo la sua carriera dal lontano “The Final Experiment” e da sempre bramo un’intervista con lui. State per leggere il resoconto di, come detto, una telefonata lunga trenta minuti nella quale Arjen ri-attraverserà completamente tutta la sua carriera, parlando degli insuccessi iniziali, degli inaspettati successi, e del nuovo capitolo della sua discografia figlio di una traumatica depressione. Buona lettura.
Articolo a cura di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 28/09/09

Ciao Blind Minstrel, che piacere riuscire a trascorrere un po’ di tempo con uno degli ultimi geni del vecchio e del nuovo secolo…

Mio Dio, grazie Gaetano, il piacere è tutto mio.
 
Sono sinceramente dispiaciuto per il brutto periodo che hai trascorso di recente, un divorzio, problemi fisici e la depressione. Come ti senti ora?

Grazie. Beh, ora sto molto meglio, ho divorziato tre anni fa e sono andato a vivere da solo. Ero felice dei miei tredici anni di matrimonio e speravo di arrivare almeno a venti (ride, ndg). Dopo di che sono caduto in uno stato di depressione, è durata per un po’ ma oggi sto bene, è tutto apposto e ti ringrazio per il pensiero.

Figurati, meglio così. Negli ultimi giorni mi sono prodigato nell’ascolto del tuo nuovo album e mi devo congratulare con te. Che ne pensano i tuoi fan?

Beh, loro si aspettavano un nuovo capitolo di Ayreon sotto un altro nome. Mi sono sembrati dispiaciuti per il fatto che non ci fossero tutti gli ospiti che avevano partecipato nei dischi precedenti ma dopo i primi ascolti hanno capito che Guilt Machine non è da buttare. Ho ricevuto tanti messaggi e tante mail di conforto da persone che hanno letto i testi di “On This Perfect Day”, e devo dire che chi non ha mai particolarmente apprezzato la saga Sci-Fi di Ayreon potrà trovare un nuovo motivo d’ascolto qui. E’ un album più moderno e assolutamente non facile da recepire. Penso sia una buona cosa, molti capiranno.

Bene Arjen, ho impostato un’intervista di tipo storico quindi, se sei d’accordo, partirei parlando del tuo passato, quello che ha preceduto la saga di Ayreon.

Bene, cominciamo.


lucasse_intervista_2009_00Che ricordo hai relativamente ai cd e ai singoli usciti col nome di “Anthony Project”, “Vengeance” e Bodine”? In che tipo di musica credevi più di venticinque anni fa?


Ho cominciato molto presto, trent’anni fa più o meno. Alice Cooper è stato il mio primo idolo ma a mia mamma non piaceva (ride, ndg). La band “Bodine” cercava un cantante e a me interessava molto la loro musica, erano influenzati da Iron Maiden, Judas Priest e avevano già due chitarristi in gruppo: ho lasciato la chitarra nel bagagliaio della macchina e mi sono presentato come singer anche se poi mi ricordo di avergli detto “se volete suono anche la chitarra”, e all’inizio non mi hanno preso proprio sul serio. Ad ogni modo è stato il primo gruppo professionale con cui ho lavorato, se non ricordo male sono stato con loro tre anni tra il 1980 e il 1984. Poi sono passato ai “Vengeance”, un gruppo che aveva l’età media inferiore di dieci anni rispetto a quella dei “Bodine”, loro mi hanno voluto come chitarrista e ho accettato: era una gruppo dalle due facce, seri sul palco e divertenti fuori, anche con loro suonavamo un metal influenzato dai Judas Priest. Sono stato coi Bodine per nove lunghi anni, dal 1985 al 1992, non li dimenticherò mai. Poi, come avviene quasi sempre in queste situazioni, ho capito che avrei voluto proporre qualcosa di mio, qualcosa di nuovo, mi sono staccato dai “Vengeance” per produrre pezzi da solista se non erro nel 1993, ma in tutta sincerità mi sono perso via (ride, ndg), ho provato a comporre ciò che chi mi aveva messo sotto contratto mi chiedeva di fare, ma non è che ci avevo capito poi molto. Anzi, trovo assurdo anche il fatto di aver siglato un contratto per quei dischi e ti dirò, detesto quel che ho fatto in quel biennio. Troppi stili mischiati l’uno con l’altro, pop, country, l’unica nota positiva è questa: in quel momento ho capito cosa non volevo e poco dopo è nato Ayreon...

E’ così, dopo l’insuccesso del tuo progetto solista, sei entrato nella storia con “The Final Experiment” rilasciato nel 1995. Quel disco come ha cambiato la tua vita e i tuoi orizzonti musicali?

Well, dov’eravamo rimasti? Ah si: tutto è andato storto, il progetto “Anthony” è stato un flop totale. Ho raccolto i cocci e preso in mano la mia vita, ho deciso di seguire la mia strada e di comporre solo musica di mio gradimento, senza lasciare spazio a pareri esterni. La mia rock opera preferita è da sempre “Jesus Christ Superstar”, per il concept e per le atmosfere, dunque decisi di registrare la mia personale prog-rock opera e ti confesso che già nel 1992 avevo buttato giù qualcosa che avrei voluto pubblicare un paio d’anni dopo, ma avevo ricevuto solo risposte negative, nessuno era interessato a ciò che stavo facendo. Pensa che ho ricevuto una trentina di no da altrettante etichette discografiche, risposte tutte simili che recitavano più o meno così: “complimenti per il tuo splendido lavoro ma al momento non siamo interessati a collaborare con te” (ride, ndg). Poi un bel giorno mi ha chiamato una label giapponese, mi misero sotto contratto e il disco ha venduto immediatamente mille copie, poi 2 mila, poi 20 mila e mi sono chiesto cosa diavolo stesse succedendo. Mi hanno richiamato dal Giappone “Hey man, devi lavorare al secondo disco dell’opera”, e da lì e cominciato tutto. Nessun compromesso, solo quello che avrei voluto realizzare e che avevo bene in mente.

La tua anima nella tua musica…

Proprio così, in tutto e per tutto.

E poi hai composto due album totalmente differenti: “Actual Fantasy” e “Into The Electric Castle”, quest’ultimo è quello che ha avuto il maggior successo in termini commerciali. Perché, secondo te, “Into The Electric Castle” è il disco preferito dei tuoi fan?

Devo dire che “Actual Fantasy” è stato un disco piuttosto sfortunato, dal punto di vista commerciale, e non me ne capacito visto che lo ritengo uno dei migliori. “Into The Electic Castle” è quello su cui ho cominciato a lavorare con grandi nomi, un po’ costosi a dire il vero (ride, ndg). Ha un impatto sonoro molto forte, è un album organico, tutti gli strumenti al suo interno sono veri, i violini per esempio. Poi la storia fantasy, ha funzionato a dovere, e nel nostro mondo i fan stanno attenti anche ai testi.

E il nuovo secolo l’hai inaugurato con la doppia uscita “Universal Migrator” e, a tal proposito, devo dirti che da sempre il genere heavy/power metal è quello che mi appartiene. Hai sorpreso tutti proponendo una performance incredibile di Russel Allen, collaborando con Bruce Dickinson e con molti altri. Perché hai voluto misurarti con un album power metal, non sarà un fatto di “moda” visto che in quel periodo c’è stato il boom del genere?

No, certamente no. Tutti i miei dischi hanno sempre avuto una componente metal, oltre alle influenze pinkfloydiane, e così decisi di separare quelle che in quel momento erano le mie priorità pubblicando due dischi: uno di power/heavy metal (“Flight Of The Migrator”, ndg), potente e melodico, e l’altro progressivo (“The Dream Sequencer”, ndg), con musica più tranquilla e ragionata. Avere dalla mia parte pezzi grossi come Bruce Dickinson è stata solo una fortuna.

Tra l’altro, se non ricordo male, hai reclutato il nostro Fabio Lione…

Assolutamente sì (ride, ndg). E’ un ragazzo molto dolce e sensibile. Ricordo che “Symphony Of Enchanted Lands” mi aveva sconvolto positivamente, che gran disco, Hollywood Metal: bei tempi! Mi ha ispirato molto quel disco, ho chiamato Fabio e devo dire che ha fatto un ottimo lavoro per me e come detto, è un gran bravo ragazzo.


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Bene, continuiamo il nostro excursus storico passando alle ultime due rock opera: “The Human Equation” e “01011001”. Quanto è stato difficile realizzarle?

Well, mi ricordo che per “The Human Equation” ho voluto fortemente la pubblicazione integrale dell’opera. Ancora oggi sono convinto che la scelta di separare i due capitoli di “Universal Migrator” sia stata un grosso errore perché penso che la forza di Ayreon sia anche quella di offrire qualcosa di più all’ascoltatore non solo dal punto di vista musicale. C’era stata pressione da parte della mia etichetta discografica per dividere anche “The Human Equation” ma mi sono opposto, volevo fare esattamente come fu fatto per “Into The Electric Castle” e non avrei accettato compromessi, e ho vinto io. Gli ospiti di “The Human Equation” sono tutti grandi artisti che suonano rispettivamente nei miei gruppi preferiti, e non è stato facile adattare i brani per ognuna delle loro voci. “01011001” per tanti motivi è stato il disco più difficile da realizzare, ero nel bel mezzo di una depressione che mi ha fatto temporaneamente perdere stima in me stesso. Ho avuto ben diciassette cantanti e ho fatto una fatica bestiale per riuscire a inserirli tutti nel contesto, eppure i fan continuavamo a dirmi di chiamare questo, quello, quell’altro, chiamali tutti mi dicevano: e io li ho chiamati tutti (ride, ndg).

Eppure, Arjen, secondo me ce n’erano davvero troppi per una linea vocale a tratti dispersiva…

E’ vero, me ne sono accorto anche io e ti confesso che è il primo disco del quale non sono completamente soddisfatto. E’ stata dura, credimi, la depressione e tutto il resto, è un disco ottimo ma effettivamente migliorabile.

Stai già pensando a un nuovo capitolo della saga Ayreon?

Beh, la storia di Ayreon si è effettivamente conclusa con l’ultimo capitolo della serie. Sarebbe troppo complicato, ora, riaprirla. Sinceramente, adesso come adesso, non ho idea se ci sarà un nuovo capitolo della saga e attualmente non è in programma per il futuro.

Ok Arjen, stop con Ayreon, è iniziata una nuova era. Un mondo costruito sulla depressione, sugli incubi, un mondo dove il sole non splende mai. Cos’è cambiato nel tuo modo di pensare la musica, che ti ha portato a realizzare Guilt Machine?

Guilt Machine è una reazione, chiamiamola così, a tutto ciò che c’è stato prima. Stavolta ho voluto misurarmi con un progetto molto più piccolo, nessuna storia Sci-Fi, nessun cantante famoso coinvolto. Volevo parlare della mia depressione, l’ho fatto: se non sei entrato in uno stato depressivo non ne puoi parlare, perché è più intenso di quanto una persona esterna possa capire. Guilt Machine è arrivato al momento giusto.

Hai lavorato sui nuovi pezzi cercando di evitare di dare loro un’impronta che fosse troppo simile a quella di Ayreon?

Ecco, penso che questa cosa non si percepisca poi molto sul disco. Il sound basico di Ayreon si sente anche su Guilt Machine per il semplice fatto che sono ancora io il produttore e sono stato io a scrivere le parti di ogni strumento. Ecco, l’atmosfera è diversa, l’impostazione del nuovo cantante è completamente diversa rispetto al passato, e i testi non hanno niente a che vedere con Ayreon. In questo senso è un disco nuovo anche se lo stile è sempre quello.

Quanto è stata importante per te, come uomo e come artista, la presenza di Lori Linstruth nella tua vita e sul disco?

Molto importante. Lori ha una grande passione per la musica, ci lavora ventiquattro ore su ventiquattro. Suona benissimo la chitarra, è un gran talento, e si è occupata interamente dei testi scrivendo tutto ciò che io realmente avevo in mente, anche perchè ha vissuto da vicino la mia depressione. Possiamo considerare “On This Perfect Day” come un disco per metà mio e per metà suo, ma non c’è nemmeno stato bisogno di chiederle di lavorare con me e per me: anche nella vita è la mia partner, la mia compagna. Lori è importante, tanto.


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Bene, lo avevo sospettato (risata generale, ndg). Passiamo ad altro: come mai dopo tutti questi anni sei passato da Inside Out Music a Mascot Records?

Guilt Machine è una cosa completamente nuova e il contratto con InsideOut scadeva con Ayreon. Loro erano interessati a lavorare ancora con me, ma Mascot Records è quella che si è mossa meglio e più velocemente, ho conosciuto i ragazzi e mi hanno fatto una gran bella impressione. Loro si sono detti da sempre affascinati dalla mia proposta musicale e ci siamo accordati. Tutto qui.

Suppongo che con una line-up formata da quattro elementi, tu possa finalmente pensare di fare un tour in giro per il mondo, anche perché il download illegale non ti consentirà, purtroppo, di vivere a lungo con la sola musica da studio. Insomma, succederà prima o poi di vederti in tour?

Purtroppo no. Prima di tutto perché Guilt Machine non è nato per essere un live project e in secondo luogo perché gli  artisti che ci lavorano, escludendo me e Lori, non sono disponibili. Jasper (il cantante, ndg) suona in un gruppo molto famoso nel suo genere, Chris (il batterista, ndg) è impegnato in un musical. Il mio lavoro principale invece è quello del produttore. Non so dirti se mai suoneremo nemmeno un concerto con questa line up, certamente non è questo il momento giusto per farlo.

Uhm, una gran seccatura se mi consenti…

Sorry man (ride, ndg).

Ultima domanda: sei un super fan dei Beatles, hai comperato il videogioco “The Beatles Rock Band”?

No, lascia stare i videogames (ride, ndg). Quando accendo un pc ho solo il tempo di rispondere alle mail, ai messaggi sul MySpace o su Facebook, se mi metto anche a giocare sono finito (risata generale, ndg). Rimane il fatto che i Beatles sono e resteranno nel mio cuore.

Bene Arjen, siamo al termine: ti va di lasciare un messaggio ai fan italiani prima di chiudere l’intervista?

Certo. Sono stato in Italia per suonare con gli Stream Of Passion e ho grande rispetto per la gente del tuo paese, ricevo tantissimi messaggi dai fan italiani e spero di cuore di poter tornare da voi… magari un giorno succederà. E infine grazie a te per avermi fatto ripercorrere la mia carriera con le tue domande, a presto.




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