Grenouille (Marco Bugatti)
In occasione dell’uscita dell’EP “In Italia Non Si Può Fare La Rivoluzione”, abbiamo raggiunto Marco Bugatti dei Grenouille per farci raccontare non solo la musica della band, ma anche la realtà che ci circonda. Vi auguro una buona lettura!
Articolo a cura di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 15/03/11

Comincerei parlando del vostro ultimo EP: mi vorresti spiegare meglio il messaggio della titletrack? In che senso “In Italia oggi non si può fare la rivoluzione (perché tanto ci conosciamo tutti)”?

E' un titolo sarcastico, che vuole ironizzare su un certo modo (tutto italiano) di restare attaccati a concetti semplici e banali per non fare la fatica di capire veramente quello che succede nel mondo reale. Nel nostro paese, che è stato per decenni al centro della guerra fredda, quasi conteso tra America e Russia, si tende spesso a guardare la realtà come fosse un derby calcistico: Fascisti contro Comunisti, destra contro sinistra, Buoni contro Cattivi. Questo sicuramente aumenta la polemica, di cui gli italiani sono innamorati (come diceva Gaber) ma impedisce di avere un dialogo costruttivo e una visione reale delle cose. C'è una persona che questa cosa l'ha capita molto bene e tende ad alimentarla, creando una realtà virtuale in cui esisterebbe, in Italia, un pericolo comunista, in cui c'è un partito dell'odio e un partito dell'amore. L'unico scopo è distrarre l'opinione pubblica con concetti banali ed elementari  che catalizzano però grosse emozioni, per far si che la gente non guardi a quello che accade veramente, in modo da poter fare di questo paese quello che vogliono. Questa persona si chiama Silvio Berlusconi, ma allo stesso modo chi spera e predica il vecchio concetto nostalgico di rivoluzione anni'70 fa il suo stesso gioco in questa specie di strategia della tensione "bianca".  

E cosa bisognerebbe fare, secondo te, per invertire questa rotta?

Bisognerebbe smetterla di alimentare il concetto di famiglia o di comunità inteso nella sua accezione mafiosa, credere nelle proprie ambizioni e cercare di realizzarle senza scambi di favori che uccidono la meritocrazia, staccarsi dal concetto di destra-sinistra nato dalla guerra fredda, che permette a chi ci governa di dirsi "liberale" mentre gestisce il paese come la Russia. Insomma, la vera rivoluzione è la rivoluzione culturale e di pensiero che ciascuno di noi potrebbe fare nel proprio piccolo, solo avendo un po' di coerenza, e che permetterebbe lo svilupparsi di tante realtà diverse, di una vera partecipazione sociale, artistica, perché dalle diversità di ognuno di noi non può nascere che del bene.

Come cover del vostro ultimo disco avete messo il bacio tra Breznev e Honecker sul muro di Berlino. E’ chiaramente una deliziosa provocazione, almeno così viene percepita da me…cosa volevate smuovere con quell’immagine?

Proprio tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora. A parte la bellezza dell'immagine in se, quel graffito è un simbolo della guerra fredda. In più rappresenta due persone di terza età che si baciano, come a rappresentare gli accordi tra stato e mafia, o tra la nostra classe politica di ultrasessantenni. In più, anche senza conoscerne i protagonisti, è pur sempre un bacio in bocca tra due maschi anziani, e volevamo smuovere l'omofobia dell'osservatore e metterlo davanti ai propri pregiudizi sessuali. Insomma una provocazione su più livelli, tutti italiani.

Per “In Italia non si può fare la rivoluzione” come data simbolica di uscita avete scelto il 25 di aprile: è chiaro che, per voi, questa data racchiude un grande significato. Vi chiedo: quale significato? Solo quello storico-politico associato alla festività?


Sì, il significato voleva essere soltanto simbolico riferito alle tematiche trattate nelle canzoni. Una provocazione ulteriore far uscire un'EP nel giorno della liberazione, come fecero i Sex Pistols, che promuovere "God Save the Queen" la loro personale antitesi dell'inno nazionale inglese, affittarono un barcone e fecero un concerto sul Tamigi il giorno del giubileo della regina. Noi speriamo in una liberazione da un certo modo di pensare prima, e da una certa classe politica di conseguenza.

Tra “Saltando dentro il fuoco” ed “In Italia non si può fare la rivoluzione” c’è stato un deciso cambio di sound: siete meno ruvidi, più “alternative” (per quanto può significare questa affermazione), ma comunque sempre energici: a cosa dobbiamo questa evoluzione?

“Saltando dentro al fuoco” è stato un disco di esordio, registrato in un mese con la poca esperienze di quattro ragazzi ventenni. Nonostante sia molto influenzato dalle sonorità anni '90, a livello di suoni è molto punk, cioè non ha varietà di suono e poca varietà di scrittura. Per esempio, il fatto che non ci fossero pezzi lenti è stata una casualità, non una scelta, ma il nostro obiettivo è sempre stato quello di riuscire ad esprimerci anche con canzoni tranquille, suoni acustici e diversità fra un pezzo e l'altro. Questo EP è stato proprio un esperimento per cercare un'identit° più complessa e una maggior varietà di suoni. Per quanto riguarda l'energia e la provocazione, quelle sono il nostro lato punk e lo consideriamo come qualcosa che ci caratterizza fortemente, per cui penso di poter dire che non lo abbandoneremo mai.

 

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Sbaglio o avete un altro EP in imminente pubblicazione? Qualcosa di acustico, giusto? Ce ne vuoi parlare nel dettaglio?

Penso che tu ti riferisca a "Il mondo libero", che in realtà è uno spettacolo acustico, in cui suoniamo canzoni nuove che finiranno sul nostro prossimo disco ufficiale, alcuni nostri pezzi vecchi e qualche cover. Il tutto senza basso e batteria, ma soltanto io e Giuseppe Magnelli (chitarrista della band n.d.r.). Abbiamo già una manciata di serate in locali della Lombardia, locali diversi, dove la gente può sedersi, bere una birra in tranquillità, fare due chiacchiere e godersi lo spettacolo. Locali come il Ligera, l'Arci Matissage, il Tambourine, l' 1&35 e la Locomotiva di Vimercate e spero di fissare una data anche al Moonshine di Via Ravenna, il nostro locale storico dove siamo cresciuti musicalmente. Lo stiamo pubblicizzando su internet con un immagine in cui Giuseppe indossa la maschera di Guy Fawkes, presa dal film V per Vendetta. Quando vedete scritto Grenouille2 vuol dire che siamo solo io e lui con lo spettacolo acustico.

Ma come vi trovate a suonare i nuovi pezzi dal vivo rispetto al vostro vecchio corso musicale?

Molto bene, ci rispecchiano molto e sembrano essere anche stati accolti bene dal nostro pubblico. In più ci permettono di avere un attimo di respiro durante i live che altrimenti sarebbero stati 40 minuti di canzoni picchiate a più non posso. Alla lunga annoia.

I vostri testi sono parecchio comunicativi, semplici e mai banali. Come li costruite?

Per i testi i ragazzi mi lasciano carta bianca. Solitamente, cerco di unire tematiche intimiste a tematiche sociali…o comunque temi che riguardino la realtà oggettiva che mi trovo a vivere o quella del mondo che mi circonda. Mi affascina molto il territorio, la realtà urbana, forse perché sono cresciuto ascoltando i dischi di Jannacci dei miei genitori. Quello che faccio è cercare un concetto che mi rispecchi molto, una frase, un'idea che siano molto espressive della mia situazione personale e, potendo, anche di altre realtà esterne. Poi tengo questo concetto in mente per settimane, a volte mesi, finché non trovo frasi che riescano a sviscerarlo e, piano piano, costruisco la canzone come fosse un puzzle. Raramente, invece, mi capita di scrivere una canzone di getto nel giro di un quarto d'ora come è successo per "La Terza guerra mondiale" o per "In Italia non si puo' fare la rivoluzione (perchè ci conosciamo tutti)". Mi piacciono molto i testi interpretabili su più livelli. Ascolto molta musica Rap.

Posso farti una domanda cretina? Sei poi riuscito ad entrare “nel tubo della Giò”?

(ride) "La Giò" di cui si parla in quella canzone non è nient'altro che la Marijuana, e il "tubo" è la versione innocua di quello che per le droghe pesanti viene chiamato il "tunnel", ma può essere anche il Cylum, come nella canzone degli Articolo 31 "poi l'ho conquistata con un tubo Perugina". Chiaramente, equiparandola a una donna, mi faceva molto ridere il fatto di cantare "fammi entrare nel tuo tubo". Comunque per rispondere alla tua domanda, diciamo che ci riesco ogni volta che ne trovo un po'.

Trovo che Milano sia una città che faciliti molto i compiti ad una band come la vostra, essendo una notevole fonte di ispirazione. Sei d’accordo con me?

Sono d'accordo per quanto riguarda gli spazi che, pur essendo molti di meno di quelli che la gente che viene da fuori si immagina, comunque ci sono, e ti permettono di suonare. Per quanto riguarda l'ispirazione, lo è sicuramente per me in quanto, venendo da una piccola realtà di provincia, mi ha sempre affascinato e attratto. Ma penso che se fossi nato in un'altro posto avrei scritto di altro, e che per altri possa essere una fonte di ispirazione come un blocco creativo. Milano è tutto il bene e tutto il male che ci si può immaginare, racchiuso in un’unica realtà. A ognuno sta farne l'uso che più lo rispecchia. Molta gente ci sta per qualche anno e poi fugge, altri rimangono. Tantissimi, comunque, ci passano.

Grazie per essere stato con noi Marco, quella era la mia ultima domanda. Come nostra consuetudine, ti chiedo adesso di lasciare un messaggio libero a tutti i nostri lettori!

Alzate il culo e venite ai concerti.




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