The Sea Within (Roine Stolt, Tom Brislin)
Nel mezzo della grande distesa del progressive rock elegante e di qualità emerge una nuova entità: si chiama The Sea Within e ha la fortuna di vantare tra le proprie fila i più grandi nomi della scena. Un album da intenditori. 
Articolo a cura di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 21/06/18
Si ringraziano Giovanni Ausoni e Camilla Mazzitelli per la collaborazione
 
 
Ciao Tom, ciao Roine e benvenuti su SpazioRock. Come va?

 
Tutto alla grande, grazie!

 
Proprio oggi il debut album eponimo dei The Sea Within è stato rilasciato. Ci sono molte aspettative su questo lavoro poiché presenta dei nomi importanti della scena prog. Quindi cosa ci dobbiamo aspettare?

 
Tom: Penso che sarà un album colorato, che trae ispirazione da diverse influenze e personalità differenti. 


The Sea Within è un progetto molto affascinante per i fan che amano il progressive rock, specialmente perché voi come musicisti venite da band differenti con diversi background. Come e quando vi è venuta l’idea di formare questo supergruppo?


Tom: Conoscevo Roine Stolt e Jonas Reingold dai The Flower Kings, abbiamo realizzato dei lavori insieme, ci siamo conosciuti negli anni.  Quando fu il momento di formare questo nuovo gruppo Jonas mi ha contattato e pensavo che calzasse a pennello.


Come siete arrivati al processo creativo di questo nuovo album? Come vi siete divisi il lavoro tra di voi?

 
Tom: Ognuno di noi si presentò con delle nuove idee; una canzone completa o frammenti su cui potevamo costruire qualcosa. Nei mesi precedenti alla registrazione in studio ci mandavamo a vicenda registrazioni delle demo dei pezzi, a volte aggiungevamo il nostro input e altre invece erano già pronte.


Ascoltando l’album sono riuscita a identificare i vostri diversi stili e sono rimasta colpita da come le vostre anime di musicisti si bilanciano. È stato difficile equilibrare in maniera adeguata i vostri stili per ottenere i vostri obiettivi?

 
Tom: Penso che ci siamo dovuti conoscere per bene prima, anche perchè non avevo mai lavorato con Marco o Daniel ad esempio. E abbiamo sicuramente impiegato molto tempo e molte energie a comprendere i nostri rispettivi stili, ad esprimere le nostre convinzioni e principi musicali e a trovare un terreno comune. 


L’album include l’alternarsi di molte voci e alcuni ospiti illustri. Pensate che il risultato possa essere definito omogeneo? Potremmo considerarlo un disco polifonico?

 
Tom: Mi piace pensare che abbiamo creato qualcosa di flessibile. Le nostre personalità musicali sono molto presenti nell’album e includere questi ospiti incredibili lo rende un progetto vario.

 
In questo nuovo album si riconoscono davvero una miriade di stili diversi. Direi che ci sono dei momenti in cui il disco sembra fare l'occhiolino a "Red" dei King Crimson. Sei d'accordo con me?  


Roine: Uhm, sono sicuro che ci sono elementi riconducibili ai Crimson come le "frenesie metal", ma penso che "The Sea Within" sia in realtà pieno di influenze, cosa abbastanza naturale visto che siamo cresciuti con il pop, il rock, il metal e la classica. Penso che la maggior parte di noi sia molto aperta mentalmente e cerchi di essere onesta con le nostre idee e i nostri spunti. Puoi fare un sacco di cose con la musica, io sono cresciuto con i Deep Purple, Jimi Hendrix, Vanilla Fudge, quindi elementi quali le chitarre distorte sono cose che mi porto dentro da quando avevo 12 anni. Non li ho utilizzati abbastanza nei The Flower Kings. 
 
 
Pensavo al nome della band. Mi sapresti raccontare qualcosa di più su questa scelta?


Tom: È veramente difficile dare un nome ad una band al giorno d’oggi! Ma Roine ha avuto questa idea, e il nome si accoppia perfettamente con il nostro sound e la nostra intuizione creativa. C’è anche un po’ di mistero e questa cosa mi piace. 

 
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Il disco sembra unirsi con il tema del mare. Che rapporto hai con questa vastità d’acqua? Potremmo definire “The Sea Within” un concept album?

 
Tom: Non direi fosse intenzionale creare un concept album. Abbiamo unito idee diverse per rappresentare le cose quotidiane della vita, ma questo album aggiunge qualcosa di più astratto e figurativo. 
 

 
"Broken Cord" viaggia in maniera abbastanza scorrevole in una vastità di paesaggi musicali che contemplano il jazz, la psichedelia e un pop stile anni Sessanta. Personalmente, credo sia una delle canzoni più belle dell'album. Pensi sia il brano più complesso del disco?


Roine: Credo di sì, è sicuramente la più lunga, circa 30 minuti, anche se sono stato spinto da Jonas ad accorciarla per renderla "più accessibile". Adesso che mi sono reso conto di un po' di cose, sì, penso sia l'highlight dell'album, e mi chiedo come faremo a suonarla tutta... Ma, di nuovo, The Sea Within è una band e in quanto tale c'è una certa democrazia, e io ero probabilmente l'unico che voleva tirar fuori del prog un po' più complesso, mentre gli altri volevano fare qualcosa di più accessibile. Quello che amo di "Broken Cord" è che ti porta in un viaggio che attraversa tanti posti, dall'influenza pop dei Queen a qualcosa di più ambient senza alcun ritmo. Ci sono un sacco di colori nell'orchestrazione e noi avevamo tre cantanti oltre a me, Daniel Gildenlöw, Jon Anderson e Casey McPherson. Ha un non so che del musical, "West Side Story" o "Jesus Christ Superstar" per intenderci, ed è rock. 


Come ti senti quando ti si rompe una corda sul palco? Quando è stata la scorsa volta? 


Roine: Non lo ricordo, uso delle buone corde (le Elexir, ndr.) e non ho chitarristi che "mangiano" le corde.  


“Goodbye” è decisamente la mia canzone preferita: inizia con un riff di basso staccato in 7/8 molto strambo e inusuale ma immediatamente incantevole. Nella tua vita hai mai avuto difficoltà a dire addio a qualcuno?

 
Tom: Si, è molto difficile quando tieni a qualcuno, ognuno di noi della band ha dovuto dire addio ad un certo punto.


Se ti chiedessi di scegliere la tua canzone preferita dell’album?

 
Tom: Difficile a dirsi. Sono molto fiero del pezzo con cui ho contribuito al progetto “They Know My Name” che ha un significato molto personale per me.  


Tom, hai lavorato con band come Camel, Yes, Meat Loaf e tanti altri. Qual è il tuo ricordo più bello nel far parte di queste leggende del progressive rock?


Tom: In realtà tutte le persone che ho incontrato lungo il tragitto hanno un posto speciale nel mio cuore, sin da quando ero bambino. Ho anche trovato amici per la vita in questi viaggi e questa per me è la cosa più importante del mondo. 

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Quanto puoi imparare lavorando con grandi personaggi così influenti e con grandi nomi con diversi stili? Come gestite la vostra creatività?


Tom: Per me gestire la creatività vuol dire catturare le idee: questa è una delle due sfide principali. L'altra è studiare le vecchie registrazioni per sviluppare nuove idee. 


Parlando invece della tua esperienza con i Kaipa, Roine... raccontami di quando sei entrato nella band, avevi 17 anni no? Com'era la scena prog svedese a quel tempo? 


Roine: Sì, ho iniziato abbastanza presto, a 17 anni. E' stata la mia primissima esperienza come musicista professionista e continua a piacermi! Era un buon periodo per il progressive rock quello, c'erano un sacco di locali e una specie di movimento che era un po' il dopo Woodstock. Erano dei bei tempi... forse non suonavo sempre benissimo, ma imparavo tanto ad ogni concerto. Ho appreso molto anche sul music business, i concetti del songwriting e del lavoro in studio. 

 
Nella tua lunga carriera sei stato coinvolto in tantissimi grandi progetti: Transatlantic, The Flower Kings, The Tangent, Agents Of Mercy. Qual è stata l'esperienza più gratificante? Quella più difficile? E quella più deludente? 

 
Roine: Sono tutte state delle esperienze grandiose sotto punti di vista diversi. Negli Agents Of Mercy era bello per la grande chimica che si era creata nella band, tutte persone meravigliose, molto professionali e non troppo esigenti. I The Tangent sono stati un'esperienza breve per me, un pelo caotica per i miei gusti e troppo focalizzata sul denaro. I The Flower Kings sono stati naturalmente la mia band principale e ho passato dei bei momenti: tanti ricordi e tante amicizie, ma allo stesso tempo anche periodi tristi e mancanza di supporto tra i membri del gruppo. Questa band continua ad essere al centro delle mie attenzione dagli ultimi 25 anni. Sicuramente il progetto più lucrativo sono stati i Transatlantic. Ho avuto dei bellissimi momenti in giro con i The Whirlwind, lo spirito era fantastico, il tour bellissimo, tanti momenti di creatività, audience immensa, buone entrate economiche. Con i Kaleidoscope non si sono mai raggiunti livelli del genere.

 
Hai fatto tanti concerti con Steve Hackett, hai registrato un bellissimo album con Jon Anderson. Che mi dici riguardo queste collaborazioni? Cosa hanno in comune e di diverso questi due musicisti? 


Roine: Lavorare con Steve è stato grandioso, è una persona dal cuore d'oro e suonare i vecchi Genesis è stato un sogno! Ovviamente stavo lì a ricordarmi ogni momento che ero lì a cercare di sostituire Mike Rutherford, quindi non riuscivo davvero a lasciare la mia impronta durante quei concerti. Gli show sono stati bellissimi e penso di aver fatto un buon lavoro come bassista, soprattutto cercando di imitare Rutherford nei dettagli e di metterci anche del mio. Con Jon Anderson ovviamente è stato molto diverso perchè Jon cercava attivamente i miei input e le mie idee. Era interessato a me, a quello che avevo da offrire e come potevo arricchire le canzoni. Anche se la gran parte di quei pezzi sono state tirate fuori dal genio creativo di Jon (linee vocali, testi, melodie), io ero di più di una semplice persona che proponeva strutture armoniche o dava forma alla struttura delle canzoni. Ho orchestrato il lavoro, insieme alle idee di Jon, ad esempio i synth e i pezzi di chitarra. E' stato davvero fantastico collaborare con lui, è sicuramente il musicista solista più professionale con cui io abbia lavorato. Sempre gentile e disponibile, aperto all'ascolto e al cambiamento, non quell'inaffidabile spirito hippie come è disegnato da molti. Certo, lo è spiritualmente, ma anche io lo sono. Non sto qui a parlare di quanto secondo me sia stato il cuore e l'anima degli Yes. Lo potreste capire lavorandoci insieme un paio d'anni. 


Di solito un disco da solista viene percepito come un lavoro molto intimo, forse anche più immediato. Come possiamo valutare un supergruppo prendendo in considerazione questo particolare punto di vista?


Tom: È interessante perché ognuno di noi ha avuto album da solista come band leader. La differenza è quanto riesci a contribuire in un gruppo, quanto riesci a lasciare spazio agli altri e alle loro idee, e costruire una relazione basata sulla fiducia. Magari non sarà più un lavoro personale, ma sarà sicuramente vitale per il gruppo.

 
Qual è la vostra opinione sull’attuale scena prog? Ci sono molte nuove giovani band che stanno nascendo e portando nuova musica. Pensi che essere prog possa essere visto come una moda del momento?

 
Tom: Credo che questa musica si sia rinnovata in questi ultimi 20 anni. L’ideale di progressive rock è molto personale, e adesso ci sono così tanti stili e generi che puoi identificarti in molti di essi e creare qualcosa di nuovo.
 
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State pianificando un tour per supportare l’uscita del nuovo disco?

 
Tom: Sì, saremo in Germania a luglio. Poi nel 2019 ci sarà un vero e proprio tour.


Grazie per il vostro tempo, c’è un messaggio che vorreste lasciare ai vostri fan italiani?

 
Tom: Vorrei solo salutarli e ringraziarli per il fatto che seguono la nostra musica. Spero riusciremo a suonare presto in Italia, ho dei parenti lì, quindi con l’occasione li andrei anche a trovare!




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