Anticipato da singolo "Fever", questo nuovo lavoro sembra decisamente diverso dai precedenti, distinguendosi per un'impronta più lenta e più marcatamente psichedelica. ""Brothers" è un album più lento, incentrato sul groove, con un'atmosfera abbastanza dilatata. "El Camino" è più veloce rispetto al passato, più melodico e meno ripetitivo. Questo nuovo album prende le atmosfere di "Brothers" e le melodie di "El Camino". C'è più attenzione agli arrangiamenti e alla scrittura". Un disco diverso, che non taglia i ponti con i suoi predecessori, ma che, al contrario, cerca di estrarre da entrambi gli elementi migliori e di rielaborarli.
La cosa che preme ai The Black Keys preme mettere in chiaro è però questa: nonostante la fama internazionale, il loro spirito indipendente non si è per nulla affievolito. "Il nostro atteggiamento non è cambiato, siamo sempre noi a prendere le decisioni. Però è vero che siamo cambiati come persone. Sono passati 12 anni dal nostro primo lavoro, non vogliamo ripeterci. Il nostro obiettivo è fare album di cui NOI siamo orgogliosi e che a NOI piacciono". E le cose non cambiano nemmeno per quel che riguarda Daniel e il suo lavoro da produttore, che deve avere sempre un unico obbiettivo: "fare un lavoro che MI piaccia". Nonostante la confermata e genuina indipendenza, il duo di Akron non si lascia cullare dall'ipocrisia. Dopo aver detto ironicamente che, nonostante non condizionati da nessuno nel loro lavoro, adesso c'è "più gente disposta a produrre il proprio materiale", i The Black Keys non si vergognano di ammettere che, se sono arrivati dove sono, il merito è anche di spot, serie TV e film che hanno preso la loro musica come colonna sonora, incoraggiando anche altre band emergenti a prendere questa strada: "All'inizio non riuscivamo a passare in radio, quindi la pubblicità ci ha aiutati parecchio. Non guadagnavamo molto, quindi sicuramente gli spot ci hanno aiutato. A noi non è più necessario, ma io invito a cercare questa strada, perché dà molto spazio". Dopo aver ammesso di aver intrapreso delle noiose diatribe legali contro multinazionali colpevoli di aver usato delle canzoni "molto simili" alle loro per i propri spot pubblicitari ("Non ci piace farlo, ma a volte è necessario. Quando ti rendi conto che c'è una multinazionale che prova a fregare il tuo pubblico, a quel punto bisogna opporsi"), si passa finalmente a parlare del nuovo disco.
La prima curiosità deriva sicuramente dal titolo "Turn Blue" e ai diversi significati che questo termine può assumere a seconda dei casi, passando da "soffocamento" a "depressione". In realtà, non è nulla di tutto questo: "Il vero significato dell'album è semplicemente riferito ad un programma televisivo trasmesso nell'Ohio, "Show Theatre". Questa era una delle espressioni che usava Ghoulardi, uno dei personaggi. Usata in questo modo aveva un mucchio di significati. Può significare quello che volete". Proprio riguardo a uno dei significati però, Daniel Auerbach ammette di essersi sentito "soffocato" da alcuni particolari avvenimenti della sua vita privata: "Mentre scrivevo questo brano stavo vivendo l'esperienza più brutta della mia vita: il divorzio. E' stato uno degli anni peggiori della mia vita. Mi sono trovato a crescere un bambino di 6 anni da solo. Abbiamo vissuto in un monolocale per sei mesi. Stavo lavorando come produttore in un altro album e stavo scrivendo nuovi pezzi per questo disco. Quindi sì, è sicuramente stata una sfida e posso dire che tutti i significati del titolo assumono una certa valenza in quest'esperienza". Un'esperienza che in qualche modo ha influenzato profondamente il lavoro di "Turn Blue", perché ovviamente "l'arte è l'espressione della tua immaginazione e della tua realtà". E se la tua vita sta "diventando blu", non può che diventarlo anche la tua produzione artistica.
Ma, se è vero che la vita privata colpisce il disco solo marginalmente, molto più ragionato e partecipe è il legame con gli anni '70 e con i gruppi che ne hanno fatto la storia. "Abbiamo fatto molti riferimenti agli album che abbiamo ascoltato da piccoli, negli anni '70. Gente come Bowie, Pink Floyd e Beatles ha dato un'impronta al modo di comporre i brani in questo album, perché quelli sono gli anni che hanno influenzato la musica mondiale, soprattutto a livello di composizione del disco". Proprio a questo proposito, il duo ci tiene a chiarire una cosa: "Turn Blue" non è una raccolta di singoli, ma un album pensato nel suo insieme, con una tracklist studiata per creare un disco che possa fluire con continuità dall'inizio alla fine. ""El Camino" puoi iniziare ad ascoltarlo dove ti pare, non ha una successione logica, mentre invece "Turn Blue" è meglio ascoltarlo dall'inizio alla fine". In un'epoca dove raramente la gente è disposta a considerare un album nella sua totalità, questa è sicuramente una scelta coraggiosa. "O stupida", ci tiene a precisare Daniel. Si vedrà.
Per quel che riguarda il panorama musicale attuale, i The Black Keys dimostrano di non aver affatto abbandonato la loro vena dissacratoria e irriverente, commentando la generale scomparsa di virtuosismi di chitarra elettrica con un "Grazie a Dio!", perché del resto è vero che "i virtuosismi non fanno per forza dei bei dischi". Ma non è finita: "C'è chi dice che sia un'involuzione il fatto che i ragazzi con iPad e Garage Band non debbano imparare uno strumento. Secondo me è una figata, mi piace. Il rischio è che tutti abbiano lo stesso suono. Infatti incoraggiamo gli altri a farlo, ma non noi." Insomma, una cosa è certa: oltre alla loro indipendenza, i The Black Keys hanno mantenuto anche la loro vena polemica e ironica. Li amiamo anche per questo.
Prima del fatidico 13 maggio, attendiamo l'imminente uscita del video di "Fever", su cui la band dimostra il più assoluto riserbo. Una cosa è certa: dopo l'esperienza di "Lonely Boy", ci aspetterà sicuramente una gran bella sorpresa.