Amor Fou - Senza Far Rumore Festival 2010
22/05/10 - Campo Sportivo, Cisano Bergamasco


Articolo a cura di Marco Belafatti

Forse quella del Senza Far Rumore, un noto festival della provincia bergamasca all'insegna della musica indipendente e del buon cibo locale, non era la cornice più adatta per godersi una performance degli Amor Fou, autori di uno dei dischi più raffinati e stimolanti degli ultimi mesi. La sfortuna ha voluto infatti che la penultima serata di questo evento gratuito, che dal 20 al 23 maggio ha ospitato sul proprio palco artisti di tutto rispetto quali Mike Johnson, Il Teatro Degli Orrori e Statuto, coincidesse con la finale di Champions League tanto attesa dalle orde di tifosi di una delle più note squadre di calcio italiane. Questo particolare ha fatto sì che la maggior parte delle persone accorse in quel di Cisano Bergamasco fosse molto più interessata alla partita, trasmessa su maxischermo all'interno di un enorme tendone adiacente al palco, piuttosto che alle band che già sul calare della sera hanno cominciato ad esibirsi. La nostra delegazione, in ogni caso, non poteva lasciarsi scappare l'occasione di “tastare con mano” le già ottime credenziali espresse dal quartetto milanese con “I Moralisti”.


Tocca ai comaschi Violavinile, vincitori del Senza Far Rumore Contest 2009, aprire la serata. La band propone un buon esempio di indie rock dall'attitudine ora velatamente pop ora elettronica. Le tastiere risuonano soavi negli amplificatori, ma la disattenzione del pubblico e la fame che immancabilmente protesta contro i nostri stomaci ci impediscono di approfondire a dovere la proposta di questi ragazzi. Da rivedere, magari in un altro contesto. Il Pan Del Diavolo sono la seconda formazione a salire sul palco. Il duo palerminatano propone, grazie a due chitarre acustiche, grancassa e sonagli, un rockabilly dalle marcate influenze folk. L'energia dirompente dei brani tratti dall'ultimo disco “Sono All'osso” riscalda a dovere l'atmosfera e, laddove l'estenuante ripetitività di certe canzoni sembra cozzare con le aspettative di molti, ci pensano le trovate sceniche e l'impressionante carisma dei Nostri a risollevare il morale degli astanti. Una band originale e divertente, forse poco in linea con la ben più matura proposta musicale degli headliner.

Ore 11 circa: in maniera composta gli Amor Fou salgono sul palco ed incominciano a suonare; il primo brano proposto è una cover della cantautrice francese Charlotte Gainsbourg. Alessandro Raina e compagni vogliono forse mostrarci una particolare devozione nei confronti della tradizione musicale francese, lo stesso che emerge dal monicker scelto per il progetto, a cavallo tra la nostra cultura e quella d'oltralpe. Una sorta di tributo all'amore folle. Poi le chitarre attaccano con “Un Ragazzo Come Tanti” e, in un effluvio di malinconia alla Tenco, s'uniscono alla voce di Raina, scivolando verso un finale che si tinge di suggestioni e psichedelia. È chiaro che le canzoni degli Amor Fou, comprese quelle d'inizio carriera, si prestano più che bene ad essere riproposte in questa chiave, guadagnando in comunicatività ed impatto soprattutto grazie ad un lavoro strumentale sopraffino che ricorda da vicino il post rock dei Giardini Di Mirò (con i quali lo stesso Alessandro ha collaborato in passato).

Il pubblico purtroppo non è numeroso e sembra quasi ritrarsi di fronte al palco, ma una buona fetta di fan ed ascoltatori incuriositi dalla proposta riesce a ricreare una bella atmosfera a pochi metri di distanza dal gruppo, spesso intonando i pezzi con la propria voce. Tanti i brani estratti da “I Moralisti” suonati durante il corso della serata: si passa dalla più nostalgica “De Pedis”, con le sue stupende liriche (“Arrivederci Roma, scusa se / Ti ho ricordato che si muore...”), al singolo di lancio “Peccatori In Blue Jeans”, che con le sue sonorità beat getta uno sguardo critico sui comportamenti più irragionevoli dei giovani di oggi. “Anita” ci invita a riflettere sulla diversità, riscaldando a dovere la serata con un ritornello dall'animo rock sottolineato da un preciso Leziero Rescigno alla batteria. “Cocaina Di Domenica” disarma i presenti con il vuoto dei suoi luoghi comuni, quelli che in Lombardia sentiamo ripetere praticamente due giorni sì ed uno no dai rappresentanti di certe fazioni politiche che, con la loro retorica spicciola, contribuiscono a diffondere l'ignoranza ed il provincialismo. Il bello della musica degli Amor Fou è che non coinvolge solamente a livello emotivo, ma risveglia le coscienze degli ascoltatori attraverso uno spirito critico fine e delicato. Come non citare, allora, quel piccolo gioiello new wave intitolato “a.t.t.e.n.u.r.B.”, introdotto con poche parole dal cantante (“Questo è un brano che parla di attualità”) ed accompagnato da un discorso tristemente famoso in sottofondo.



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Nemmeno i tanto attesi momenti di pura poesia si fanno attendere, tra l'amore incondiziato espresso ne “Le Promesse” e la presa di coscienza di “Filemone E Bauci”, che, per chi scrive, non è soltanto l'apice emotivo della serata, ma la summa dell'intera carriera degli Amor Fou. Dopo una prima parte più tranquilla e battistiana la band si raccoglie, lanciandosi sguardi d'intesa, proponendo una coda strumentale un po' post rock e un po' shoegaze che ci lascia attoniti, con i brividi sulla pelle. Il crescendo di emozioni è rapido e letale e le dissonanze di “Dolmen”, frammenti di un'identità lacerata urlati e scagliati con rabbia verso il pubblico, ci consegnano il meglio della sensibilità esecutiva di questi artisti, poco prima di un encore acustico affidato al torbido romanticismo de “Il Periodo Ipotetico”, canzone-simbolo del loro primo disco “La Stagione Del Cannibale”.

Tra gli applausi gli Amor Fou abbandonano il palco, ma l'emozione è rimasta nell'aria. Capiamo allora che negli sguardi assorti di Raina, Rescigno, Perego e Dottori non c'è soltanto la consapevolezza di una sensibilità trascritta sulle pagine di un pentagramma, ma anche quella di una musica che è un misto di gioia e dolore, di candore ed amarezza. La consapevolezza di una coscienza collettiva che sta andando alla deriva, riflessa nella domanda che accompagna l'intero concept del disco: “Chi sono i moralisti?”. Ma è anche la presa di coscienza di una vita che sta lentamente perdendo i propri contorni per trasformarsi in qualcosa di oscuro ed incomprensibile...

Ah, se noi fossimo almeno noi...”.


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