Si scrive Phil Campbell, si legge Motorhead. Dopo 32 anni di onorata militanza nella creatura dell'indimenticabile Lemmy, 16 studio album incisi, 7 live prodotti e migliaia di concerti e scorribande in giro per il mondo, associare il nome del chitarrista di Pontypridd a quello del trio rock n'heavy inglese è assolutamente inevitabile. Non potrebbe essere altrimenti, siamo sinceri. In compagnia di Kilmister e Mikkey Dee, infatti, ha scritto pagine straordinarie della nostra musica preferita, ci ha regalato live show elettrizzanti e ha seriamente messo a repentaglio l'integrità dei nostri stereo con i suoi riff abrasivi e dirompenti.
Sono passati due anni da quando la morte del frontman/bassista ha posto fine alla storia dei Motorhead, e se il biondo batterista si è accasato dietro le pelli degli Scorpions, il buon Phil ha deciso di avventurarsi in una strada nuova partendo da zero. Scelta che ai più è sembrata una scommessa, se non un azzardo. Assieme ai suoi tre figli (Todd (chitarra), Dane (batteria), Tyla (basso)) ha fondato i PHIL CAMPBELL & THE BASTARD SONS, gruppo devoto a sonorità rock n'roll che, nel "tiro" e nelle intenzioni, strizza l'occhiolino alla sua ex band. Nel mondo del music bussiness è sempre più raro trovare esempi di spontaneità, voglia di divertirsi e, soprattutto, di mettersi in discussione. Ecco perché a Campbell va dato il merito di una scelta audace ma realmente apprezzabile. Perché quella passione che tutti noi fans ricerchiamo nelle scelte dei nostri eroi musicali, in questa circostanza, è evidentissima. E meno male, perché l'idea che questo grande chitarrista e compositore potesse andare in pensione proprio non ci andava giù. In occasione di questa prima calata capitolina, i Bastard Sons sono stati preceduti sul palco dai GORILLA PULP, interessante band originaria di Viterbo che nella mezz'ora a disposizione non ha sfigurato sul palco del Jailbreak che lentamente si andava riempiendo. Autori di un sound che affonda le radici nella musica dei '70 e degli '80, la band guidata dal cantante e chitarrista Maurice Flee ha dimostrato di saperci fare sul serio. Oltre alla personalità nello stare on stage (che non è poco, credetemi), a convincere il pubblico sono stati i brani presenti in scaletta, ben composti e ben arrangiati oltre che sapientemente bilanciati tra sfumature stoner e heavy. Chiudendo la setlist con la cover di "Iron Man" dei Black Sabbath, i Gorilla Pulp si sono meritati gli applausi del pubblico romano. A loro i nostri complimenti.
Si spengono le luci e un boato accoglie Phil Campbell & The Bastard Sons. Inutile specificare che la differenza tra il chitarrista e il resto della band è abissale. Concentrare, però, un live report solo su questo aspetto sarebbe ingeneroso nei confronti di un progetto che merita attenzioni particolari e supporto incondizionato per la sua bonarietà. E' passione vera quella che si è vista sul palco, e come tale è stata percepita e apprezzata. Parliamo, piuttosto, del rock n'roll suonato, quello che è stato riversato all'interno del locale e quello che gli è valso gli applausi convinti dei rockers e dei metalhead presenti. Vengono eseguiti gran parte dei brani inediti: "Big Mouth", "Spiders", "Take Aim" e la più recente "Dark Days", ma l'entusiasmo, quello vero, si accende solo con l'esecuzione di alcuni classici dei Motorhead. "Rock Out", "R.A.M.O.N.E.S.", "Born To Raise Hell" incitano al pogo e a cori da stadio, mentre una micidiale "Ace Of Spades" semina il panico all'interno del Jailbreak facendo muovere anche gli spettatori più pigri.
Si tira il fiato con "Get On Your Knees", brano destinato a restare nei live show del gruppo ancora a lungo, prima di prepararsi all'arrembaggio finale con altre cover dei Motorhead: "Rock n'Roll", "Heroes" e "Going To Brazil" chiudono uno show intenso, coinvolgente e ricco di sincero calore verso un musicista che ha segnato profondamente questo genere musicale. Dal canto loro i Bastard Sons sono una bella realtà, bisognosa di farsi le ossa in lungo e in largo in giro per l'Europa ma, almeno per il momento, più adatta a questo tipo di palcoscenico che ai palchi giganti che calcano i mostri sacri. Ma è giusto e inevitabile così, si chiama gavetta. E siamo pronti a scommettere che Campbell si stia divertendo un mondo a vivere esperienze che non viveva da una vita. Perchè in fondo, a muovere tutto, è quella scarica di adrenalina che si ha una volta saliti sul palcoscenico. Buona fortuna ragazzi, ve la meritate.