Abraham
The Serpent, The Prophet & The Whore

2012, Pelagic Records
Postcore

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 29/10/12

Direttamente dalla terra di orologi e (soprattutto, almeno per il sottoscritto) cioccolato, gli svizzeri Abraham sfornano il loro secondo disco in due anni – perché i nostri vicini di casa, lo ricordiamo, sono noti anche per la precisione – e si ripresentano sulla scena con questo “The Serpent, The Prophet & The Whore”. A voler essere cattivi, l’indicazione Pelagic Records nella casella “etichetta discografica” potrebbe far concludere questa recensione in poche righe. Avete presente chi è il capo della label? Mr. Robin Staps, mastermind degli osannati The Ocean e tuttofare della scena post-metal-hardcore. Avete presente “Aeolian”, il secondo disco del gruppo di Staps? Ecco, i membri degli Abraham devono averlo ascoltato giorno e notte, prima di tuffarsi in studio per registrare il loro, di album…

Analizzando un po’ più a fondo il disco, si scopre che c’è un’altra grande influenza nella proposta musicale degli Abraham: si tratta dei Breach, epica band postcore svedese attiva fino al 2001 (anno del capolavoro “Kollapse”). E non è un caso che gli stessi Breach figurino tra i maggiori ispiratori di Staps, tant’è vero che il cantante Tomas Hallbom ha anche partecipato come ospite in alcuni pezzi dei The Ocean. Il problema dei nostri svizzeri è che, a tratti, si rischia il plagio. Ci sono infatti dei passaggi che ricordano troppo da vicino quanto fatto dai migliori interpreti del genere, e questo mina seriamente la freschezza del risultato finale.

Il disco in sé non è certo da buttare: trattasi, l’avrete intuito, di classico post-metal dalle sfumature sludge e doom, in cui non è la velocità a farla da padrone, ma l’atmosfera. “The Serpent, The Prophet & The Whore” sprigiona una pesantezza opprimente, è un lavoro monolitico senza spazi aperti, senza quasi nessuna fuga per riprendere fiato. In questo, appunto, ricorda “Aeolian”, un colpo in pieno viso con un mattone di cemento armato. Ne esce un disco complesso, pesante, anche difficile da digerire – specialmente se non si è familiari con il tipo di sound proposto. Ovviamente poi, e torniamo a battere il dito sul difetto principale dell’album, pure i pochi momenti di “escape” sanno di già sentito, e riportano alla mente passaggi degni, per esempio, degli Isis, ma senza quella ricerca di originalità che è la condizione primaria per suonare un genere come questo.

Insomma, gli Abraham hanno semplicemente proposto quel che piace loro, e di questo non possono essere incolpati. Ma si può certamente criticare l’assenza di spunti, il tentativo di fare qualcosa che potesse distinguerli dalla massa, senza diventare l’ennesimo caso di copia-incolla. Poi, come già accennato, il disco può anche piacere a chi non cerca innovazione a tutti i costi e vuole soltanto altro pane per i suoi denti affamati di postcore. Io, già che ci sono, torno ad ascoltarmi i Breach.



01. Start With a Heartbeat

02. Man the Serpent

03. The Great Dismemberment

04. New King, Dark Prophet

05. This Is Not a Dead Man, Yet

06. Carcasses

07. The Chymical Fiancé

08. Dawn

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