Gli All That Remains ci hanno abituato ad una certa regolarità in fatto di pubblicazione dei dischi; come ogni due anni infatti, ecco un nuovo full length, intitolato questa volta “...For We Are Many”. Ventiquattro mesi (venticinque ad esser precisi), seppur intervallati da lunghi tour, dovrebbero teoricamente bastare per comporre qualcosa di nuovo o di valido, specie se ci troviamo davanti ad una delle band “di punta” del genere; non è così purtroppo per gli americani che, reduci dal già deludente (per il sottoscritto) “Overcome”, pubblicano un album né più né meno identico nella struttura.
Da questa breve premessa si capisce quindi che dalla parte di “...For We Are Many” non c’è sicuramente l’originalità, anche perché risulta ormai difficile distinguere gli All That Remains dalle altre band della “marmaglia” metalcore; d’altronde chi ha o aveva più personalità rispetto alla media (August Burns Red, Bring Me the Horizon, ad esempio) ha saputo distinguersi dalla massa già alcuni anni fa, quando la scena era ormai satura di cloni. Viene spontaneo dunque pensare, e non lo dico con cattiveria, che chi sceglie di rimanere ancorato ad uno stile ormai vecchio di quasi dieci anni lo faccia anche per incapacità di comporre qualcosa di nuovo, oltre che per convenienza personale visto che, detto in soldoni, il genere “vende” ancora sufficientemente, specialmente oltreoceano. Non che il gruppo del Massachusetts sia l’unico ad avere questo difetto, data la staticità della scena: si veda ad esempio l’ultima fatica dei californiani As I Lay Dying, che non brilla certamente per varietà; tuttavia se al gruppo di Tim Lambesis si può dare atto di avere una certa capacità compositiva, lo stesso non si può dire degli All That Remains.
Come già scritto qualche riga più sopra difatti, poche differenze troviamo tra il precedente “Overcome” e questo “...For We Are Many”, anche purtroppo sotto l’aspetto della qualità: sono infatti ben pochi gli episodi degni di nota in grado di dare una marcia in più a questo platter e soprattutto rimane, fastidiosa l’impressione di un disco fatto “a tavolino”, in altre parole poco ispirato e poco genuino, come invece furono le prime due release della band, specialmente quel “This Darkened Heart” che personalmente reputo ad oggi il migliore parto della discografia degli americani. In tutta questa mediocrità va segnalata una buona prova dietro il microfono di Phil Labonte, che si dimostra un singer molto versatile in grado di spaziare da growling gutturali, ad uno stile più consono all’hardcore, oltre che ovviamente agli immancabili puliti; e sono proprio le clean vocals uno dei punti deboli più cruciali di “...For We are Many”: troppo invadenti e troppo effettate, impoverendo non poco la potenza dell’album, che a tratti risulta veramente fiacco e spompato.
Dispiace quindi notare che gli All That Remains non confermino le buone potenzialità espresse nei primi album, senz’altro in parte derivativi della scena svedese, ma altrettanto sicuramente più genuini e spontanei. Pertanto non mi sento di dare la sufficienza ad un disco dove i momenti in grado di catalizzare l’attenzione sono superati di gran lunga dagli sbadigli. Bocciati quindi.
All That Remains
...For We Are Many
2010, Prosthetic Records/Razor & Tie
Metalcore
01.Now Let Them Tremble
02.For We Are Many
03.The Last Time
04.Some Of The People, All Of The Time
05.Won't Go Quietly
06.Aggressive Opposition
07.From The Outside
08.Dead Wrong
09.Faithless
10.Hold On
11.Keepers of Fellow Man
12.The Waiting One