Dark Lunacy
Weaver Of Forgotten

2010, Fuel Records
Death Metal

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 16/11/10

Personalmente attendevo abbastanza con ansia il nuovo disco dei Dark Lunacy: cinque anni sono infatti trascorsi da “The Diarist”, disco passionale, sofferente e bellissimo, nel quale la band parmense metteva in grande spolvero la propria concezione del death metal, drammatica e teatrale. Da quel disco al qui presente “Weaver Of Forgotten” sono cambiate diverse cose: intanto la line up della band, rinnovata per 4/5 (è rimasto il solo Mike Lunacy alla voce), poi le sonorità, che si sono incupite e hanno subito una sorta di rallentamento nelle ritmiche. Chiariamolo subito, i Nostri non sono diventati un gruppo gothic/doom: hanno però perso gran parte della loro componente derivante dalla musica russa (avvertibilissima anche solo nel precedente album), con un appesantimento delle atmosfere che però va ricollegato al tema guida di tutto il lavoro. Le undici tracce sono infatti una sorta di concept ispirato alla memoria dei defunti, al ricordo dei nostri cari spesso e volentieri dimenticati (magari non volutamente) a causa delle continue pressioni alle quali siamo soggetti giorno dopo giorno. Siamo quindi di fronte ad un lavoro molto intimistico e profondo, almeno a livello di tematiche.

Musicalmente, come già anticipato, siamo sempre e comunque in territorio death metal: nonostante l’abbandono di Enomys, principale chitarra della band, il tasso tecnico non è affatto diminuito, dal momento che il buon Mike ha pensato bene di riorganizzarsi raccogliendo attorno a sé pezzi da novanta provenienti da gruppi come Infernal Poetry e Sadist. Fin qui pare che tutto scorra liscio come l’olio, e che questo si preannunci un disco memorabile, cosa che purtroppo non è. Mi spiace molto ammetterlo, ma “Weaver Of Forgotten” suona spesso e volentieri vuoto, pare avanzare privo di idee, basato quasi più su riff ben strutturati, bellissime e solenni atmosfere di tastiera e sul growl viscerale e rabbioso del cantante, ma non sembra essere guidato dalla passione che era invece presente in “The Diarist”. Forse è colpa mia, forse la mia attesa era troppa, speravo così tanto di trovarmi di fronte all’ennesimo capolavoro dei parmensi da scordarmi dei tanti scossoni che avevano sconquassato i Nostri fino a qualche mese fa, eppure non ce la faccio a fare completamente mio questo disco. Sia chiaro, non c’è niente a livello tecnico che non vada: i Dark Lunacy  sono ben al di sopra della media, superiori a tante band nostrane e in grado di rivaleggiare tranquillamente con alcune delle realtà straniere, ma se si privano del cuore e della passione (ora più che mai importanti, data la natura dei temi trattati nel disco) si tagliano le gambe da soli. La prova delle doti tecniche del gruppo è riscontrabile in alcuni momenti intensi e emozionanti, in grado di riportarci alla mente alcuni dei capolavori passati: è questo il caso di “Epiclesis”, “Masquerade” (di sicuro il miglior brano di tutto il lotto) “Sybir” e “Snow”, nelle quali fanno di nuovo capolino in maniera più corposa anche le sonorità epiche e drammatiche che avevano reso brani come “Aurora” e “Heart Of Leningrad” così memorabili.

“Weaver Of Forgotten” non è assolutamente da considerarsi un fallimento per i Dark Lunacy, semmai un mezzo passo falso, un’involuzione rispetto a quanto fatto precedentemente. Vero è che il grosso cambio di line up può avere destabilizzato i Nostri, ma se sono riusciti a tirar fuori un album suonato così bene (nonostante sia un po’ “ondivago” a livello qualitativo) e con alcuni pezzi dall’indubbio fascino, c’è da sperare per il futuro della band. Le sonorità alle volte troppo distanti dal passato (si vedano a tal proposito le tastiere spesso spettrali) e le ritmiche spesso cadenzate hanno un po’ snaturato l’avvincente, passionale e titanico suono che avevano i Nostri, ma questo ripiegamento è dovuto con ogni probabilità al concept che guida tutto il disco. L’album è comunque meritevole di un ascolto; che conosciate o meno i parmensi si tratta di un disco di difficile assimilazione, ma che sa regalare momenti (e in qualche caso canzoni intere) degni di nota. Manca a tratti di coesione e, come detto sin dall’inizio, di cuore, ma sono sicuro che questi elementi torneranno presto a far parte della chimica del suono di questi ragazzi, che sapranno senza dubbio riprendersi da questa mezza caduta e regalarci altri album intensi ed emozionanti come quelli passati.




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