Dark Lunacy
The Rain After The Snow

2016, Fuel Records
Melodic Death Metal

Questo disco è una esaltazione dell'intimità più profonda che viviamo dentro. Quando il ricordo, in un momento, è in grado di smuoverci. Anche se, purtroppo, non sempre si ha il coraggio di ascoltare il bambino che c'è in noi (Mike Lunacy)

Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 22/02/17

Un quartetto d'archi annuncia il ritorno dei Dark Lunacy: ecco "Ab umbra lumen", prima traccia del nuovo "The rain after the snow"; l'album prende forma, come sempre, intorno alla figura di Mike Lunacy, insieme ad una formazione per 2/4 rinnovata ma il cui valore tecnico non risulta sminuito. Sfuma in dissolvenza la Grande Madre Russia del precedente "Day of Victory"; solo un verso, di quella lingua che fu di Pasternak e Tolstoj, avvampa in "Tide of my heart", brano centrale, il più veloce e potente. Resta comunque la neve, certo non la stessa che sorprese, in un gelo di morte, le divisioni tedesche a Stalingrado.

 

L'inverno della guerra - tempesta della Storia - cede infatti al bianco avvolgente e conflittuale di un'intimità profonda. Qui si incontrano il fanciullo e l'età adulta, qui, nella neve di una età remota e perdutamente giovane, la seconda prende per mano il bimbo: ed è ora lei a condurre, fra malinconia e speranza, smarrimento e fiducia.

 

Raccontami la neve, e del suo farsi notte e silenzio. Dammi la nota che il verbo abbraccia, scavando nel bianco, la parola sospesa, fra l'adulto e il fanciullo, mentre i fiocchi ricoprono il tempo:

 

"The silence of snow, played its mighty chant/ Winter, hear my fears.."

 

Così apre "King with no throne"; un re senza alcuno scranno, la cui nudità interiore vestono le note iniziali di un pianoforte, mentre l'avorio dei tasti forma un trono di neve. Non è forse questo il Sognatore di Nasten'ka? Il sire adulto e fanciullo insieme, solitario abitatore delle dostoevskijane "Notti Bianche", sembra trovare nuova suggestiva dimora nell'ultimo diamante di casa Lunacy, il più luminoso d questa decade:

 

"E invano il sognatore fruga, come nella cenere, nei suoi vecchi sogni, cercando in quella cenere una sia pur piccola scintilla per ravvivarla, e con il rinnovato fuoco riscaldare il cuore intirizzito..."

 

Ed allora ogni brano è lei, Nasten'ka, perchè ogni singola canzone tende ad una immagine unica e intensa, come il volto la cui parola accende le notti di San Pietroburgo.
Tutto inizia con uno sguardo attento. Ecco la cover: una piazza vuota, ai margini di una città che non esiste. La statua di un angelo a riposo, colta dal lato in ombra, lì dove più risalta la fiamma di una candela: ab umbra lumen, appunto. Non vi sono attori: nostra è già la prospettiva di chi guarda attraverso il cancello. Siamo già all'interno, dentro ogni nota che attende. Tu guardi la cover e inizi l'ascolto: è ora l'anima a gettarsi nel fragore della battaglia. Sei oltre il cancello, nella notte, come nella neve. Nel mezzo, la musica. Il tradizionale death-heavy metal di casa Lunacy incrocia le sue ritmiche, mai autoreferenziali, con gli strumenti acustici, senza alcuna sopraffazione sonora; archi, pianoforte e coro, spiccano con lo stesso risalto di quelli elettrici, rivelandosi ben più che dei comprimari, o, peggio, sfondo sonoro ai margini di un pavido missaggio. Non c'è più spazio per i cori russi e le grandi orchestrazioni di "The Day of Victory", tutto è ricondotto alla misura di un singolo sguardo introspettivo. L'esito è un disco opposto e complementare allo stesso tempo. Così Mike Lunacy:

 

"Questo disco è un'esaltazione dell'intimità più profonda che viviamo dentro. Quando il ricordo, in un momento, è in grado di smuoverci. Anche se, purtroppo, non sempre si ha il coraggio di ascoltare il bambino che c'è in noi. A volte per paura di essere giudicati illusi sognatori, a volte per vergogna, a volte per la semplice mancanza di fiducia verso noi stessi. Ecco perchè un coro Russo, non era adatto a rappresentare tutto ciò. Il coro Russo esalta le gesta eroiche ed il coraggio degli uomini. Qui invece c'era bisogno di un coro diverso, più delicato e malinconico".

 

Parole queste, a immagine e somiglianza della stessa titletrack, dove il coro è centrale rispetto ad ogni altro brano e lancia in accompagno alato un solo leggero, ed ispirato di chitarra. Mai come qui gli archi vengono a "simboleggiare l'inevitabile incedere delle stagioni" (cit. Mike), a scandire, morte e rinascita dalla neve, il ciclo naturale dell'esistenza:

 

"Spring comest thou!/ I forgot the last Snow.../ I've been stolen of the prayer of a child/ All their answers were in vain,/ help me to hide my seasons..."

 

In uno spazio sonoro mai pericolosamente saturo, trova posto anche l'altra faccia dei Dark Lunacy, quella del metallo pesante, ruvido ed elettrico, mai brutale, che più concretamente li arruola fra i veterani del death metal italiano.
L'intelligenza sta nel non aver sacrificato nessun aspetto del proprio sound a vantaggio di una idea astratta. L'impegno sta nell'aver raffinato lo stile come equilibrio. Se il cammino dei Dark Lunacy è la ricerca continua di questo equilibrio, qui ne troviamo il più fulgido esempio.
"The Rain after the Snow" non manca di energia. Chitarra basso e batteria, la stessa voce di Mike, "si nutrono", profondamente, di archi, piano e coro. Ne traggono vigore e, per risalto, spessore. La voce di Mike è un vero e proprio "screaming teatrale", dalla rabbia finemente esplosa nella bellissima "Howl", fino al fascino tagliente di "Life deep in the lake", col suo inquietante algore lì dove:

 

"What flesh cut - it hurt itself/ This purity obscures the judgment/ I'm well aware of how it tastes/ 'Cause shadows can belong to grace"

 

Il piano introduce una frattura marziale, cui segue il "This Goes" che restituisce il brano alla sua volata finale. Ecco, volendo, proprio "Life deep in the lake" esprime il maturo ed esaltante connubio di rabbia e raffinatezza che coinvolge ogni singolo contributo strumentale. Ruvida la chitarra iniziale, graffiante la voce di Mike, mentre basso e batteria riempiono l'aria facendo da contrasto all'entrata del quartetto.
L'ultima fatica studio dei Dark Lunacy ci dona un album che attinge all'atmosfera intimistica dei primi famosi lavori, lo fa però in modo più asciutto e limato, forte della maturità degli anni, quindi con personalità maggiore nell'intraprendere lucide scelte stilistiche, e superando nettamente l'album tematicamente più affine, "Weaver Of Forgotten".
Dopo 8 tracce e nessun calo, nell'intensa leggerezza di appena 42 minuti, una nota a parte merita l'unica strumentale del disco, "Fragments Of A Broken Dream". Il brano è stato scritto da Jacopo Rossi, in base ad una visione di Mike su come dovesse terminare l'album. Quartetto con piano.

 

La pioggia dunque, rimuove il candore niveo della fanciullezza; altri tempi verranno.

 

Altri ancora dopo di noi.

 

Silenzio in sala. Esecuzione perfetta.

 





01.Ab Umbra Lumen
02.Howl
03.King With No Throne
04.Gold Rubies and Diamonds
05.Precious Things
06.Tide of My Heart
07.The Rain after The Snow
08.Life Deep in The Lake
09.The Awareness
10.Fragments of a Broken Dream

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