Helstar
Glory Of Chaos

2010, AFM Records
Thrash

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 20/11/10

Gli Helstar sono nati musicalmente agli inizi dei floridi anni ottanta, con più precisione nel 1982. Sono da annoverare purtroppo nella lista di quelle band che per un motivo o per l’altro sono state vittime di incredibili sfortune e scelte stilistiche quantomeno discutibili. Per farvi un esempio, mi basta citare la perdita di contratti discografici importanti con gente del calibro della Combat Records (che stava promuovendo gruppi molto più blasonati come Metallica e Megadeth) o della Metal Blade. Oltre a questo, aggiungiamoci un cospicuo e persistente via vai di musicisti iniziato subito dopo la formazione del gruppo; i tre membri originari si allontanano dalla formazione innescando così la girandola di persone accennata pocanzi. Queste sono in sunto le principali concause del fatal destino degli statunitensi. E pensare che il successo, gli Helstar, l’ebbero quasi raggiunto con “Nosferatu”, rivalutatosi però solo grazie al tempo da stampa e fan... Tra un tentativo di rimettere insieme il team e la registrazione di nuovo materiale da proporre a case discografiche, giungiamo al 2006, anno in cui viene ricomposta la formazione: James Rivera alla voce, Larry Barragan e Rob Trevino alle chitarre, Jerry Abarca al basso e Russell De Leon alla batteria.

Glory Of Chaos” è principalmente thrash/speed metal made in USA nudo e crudo. Quello di cui ci si accorge subito è la doppia faccia del disco. Una sembra sprigionare freschezza e materiale interessante, l’altra, in contrapposizione, sembra essere portabandiera della ridondanza e del “già sentito”. Possiamo prendere la prima traccia dell’album e paragonarla con un’altra qualsiasi presente nel cd (a parte quella di chiusura, 45 secondi di chitarra acustica). Lo screaming, se così possiamo definirlo,  di James è  graffiante, incisivo e potente, gli assoli sono ben studiati e veloci, la batteria è un giga-trattore che non accennerebbe di fermarsi nemmeno di fronte a un muro di cemento. Beh, tutto molto bello direte voi; in realtà è proprio questo il punto problematico del disco. Sembra di trovarsi di fronte a un furioso copia-incolla per tutto il platter che alla lunga tende ad essere oltremodo tedioso. Purtroppo il limite degli Helstar sta tutto qui, nella poca ispirazione e fantasia dei brani, troppo monotoni e piazzati su binari per risultare incisivi (anzi, diciamo pure che sono un poco scopiazzioni; più volte ho notato punti in comune con i ben più famosi Nevermore). Se siete disposti a superare con un balzo a piedi uniti questo ostacolo, allora questo sarà sicuramente un album di vostro gradimento.

In ultima analisi, e dopo svariati ascolti, posso dire di essere rimasto insoddisfatto da questo disco. Mi aspettavo una maggior ecletticità dei brani e più sforzo in fase di songwriting. La produzione, per quanto ottima, non sopperisce a questa mancanza, e il risultato che ne scaturisce è, usando una similitudine spesso usata nelle scuole dell’obbligo: “i ragazzi sono validi ma non si applicano”.



01.Angels Fall To Hell
02.Pandemonium
03.Monarch Of Bloodshed
04.Bone Crusher
05.Summer Of Hate
06.Dethtrap
07.Anger
08.Trinity Of Heresy
09.Alma Negra
10.Zero One

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