Giunti alla terza fatidica prova, i Benedictum non osano cercare sperimentazioni o nuove direzioni di sorta, ma si riconfermano come un porto franco di un heavy metal vecchia scuola di tutto rispetto.
Facciamo un po’ di storia, senza perderci troppo in particolari, per capire quando accaduto fin qui. Formatisi come cover band di Ronnie James Dio nel “lontano” 2005, la band di San Diego spinta da meriti e fortuna in eguale misura, trova rapidamente la strada verso il mercato discografico pubblicando l’anno successivo il primo Lp “Uncreation”. Il disco viene ben accolto tanto dal pubblico quanto dalla critica. Non c’è molto di originale nei solchi di quel primo lavoro se non forse la scelta di una voce femminile, materia ancora rara nell’ambiente. “Seasons of Tragedy” del 2008 conferma quanto sentito nel debutto, aggiungendo però quel tocco personale che rende il disco un piacere e una promessa per il futuro. Il 18 febbraio 2011 è la data scelta per l’uscita del nuovo full targato Benedictum; nella formazione nel frattempo non sono mancati i rimescolamenti, della band originale rimangono solo voce e chitarra e ciononostante la ricetta non sembra essere cambiata granché.
A partite dalla title-track, il nuovo lavoro dei Benedictum si presenta come un tuffo a testa bassa nel passato di un genere che, a dirla tutta, non sono più molti a bazzicare. Un heavy-metal ruvido, ricco di concessioni melodiche e sorretto dalla voce graffiante di Veronica Freeman che, novella Doro, si dimostra in gran forma. I suoni sono quanto di più interessante e la successiva “At the gates” ne da una prova evidente. Asciutti ed essenziali come richiesto dalla tendenza degli ultimi anni, che lasciati fuori gli eccessi d’effettistica, riescono al contempo a mantenere un ottimo legame con il sentore ottantiano che pervade tutta l’opera. A tratti il piglio si fa più thrash, ma il cuore del disco rimane quello heavy che mescola le soluzioni sonore della scuola tedesca degli Scorpions, alle linee vocali incontestabilmente Rob Halford della bella Veronica. “Grind It” mette in luce la potenza e la precisione della nuova sessione ritmica affidata per l’occasione a Chris Shrum al basso e Mike Pannone alla batteria. Il brano non è nulla di memorabile, ma regala quella sferzata di violenza che ne farà comunque una hit da concerto. Passando dalla riempitiva “Prodigal Son” si giunge a uno dei momenti migliori del disco: “The Shadowland”, un perfetto esempio di quanto si possa ancora fare mescolando chitarroni pesanti e distorti, una ritmica marcata ma ancora abbastanza pulita da non coprire la linea armonica e un ritornello con un groove capace di rapire l’ascoltatore. A tutto ciò si sommano le atmosfere un po’ patinate ma sempre evocative create dalle tastiere di Tony Diaz, terzo nuovo arrivato nella formazione. A riprova di quando detto viene a darci man forte l’intermezzo di “Beautiful Pain”, strumentale affidata alla sola parte armonica di chitarra e tastiera, struggente e ovattata. “Dark Heart” purtroppo non regge il paragone con la sua introduzione; unica vera qualità la voce per una volta del tutto pulita della cantante.
Lecito aspettarsi di più dai Benedictum al loro terzo album? Si e no. Il disco difetta di originalità, soprattutto nello stile vocale forse un po’ troppo debitore di illustri predecessori, ma arrivando in fondo al disco potreste scoprire che anche in questo campo la personalità non manca. Messe da parte queste riflessioni, per gli amanti del genere un buon disco di puro Heavy-metal è ormai merce rara e qui c’è di che fare la loro felicità… oltre a quella di chi vi scrive naturalmente!
Benedictum
Dominion
2011, Frontiers Records
Heavy Metal
01.Dominion
02.At The Gates
03.Seer
04.Grind It
05.Prodigal Son
06.The Shadowlands
07.Beautiful Pain
08.Dark Heart
09.Bang
10.Loud Silence
11.Epsilon
12.Sanctuary (Bonus Track)
13.Overture/The Temples of Syrinx (Bonus Track)