Anna Calvi
Anna Calvi

2011, Domino Record
Indie Rock

Oscuro, seducente, tormentato. Anche il Diavolo amerebbe un disco così.
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 08/02/11

Spira un vento forte in questo deserto, la sabbia ti entra negli occhi e nella bocca, rendendo la saliva ruvida e difficile da deglutire. Si sente una chitarra elettrica riecheggiare nella distanza,  un blues che sembra asciutto come il deserto su cui stiamo camminando e letale come il serpente a sonagli che ci attraversa la strada. Ad un certo punto, ecco arrivare un coro tanto caro al nostro Morricone al lavoro per il Leone più Western che si possa immaginare, il suono accelera, la tempesta si dirada, l’introduzione strumentale di “Riders To The Sea” giunge al termine e notiamo, dritti di fronte a noi, degli edifici.

Entrando in questa cittadina plasmata dallo spirito musicale dell’inglese (ma dalle evidentissime origini italiane) Anna Calvi, ci accoglie una chitarra arpeggiata con delicato brio, una voce sensualissima che, con movenze da femme fatale, ci seduce, salvo quindi stordirci in un crescendo country rock psichedelico come se ne sentono pochi in giro, per terminare con un coro di ampio respiro melodico. Ancora storditi dalla bellezza di “No More Words”, un organetto a fisarmonica ci introduce ad un brano potente ed energico, dove la Calvi si dibatte tra il demoniaco ed il celestiale desiderio, mostrando un’inedita potenza "baritonale" nella splendida voce, giocando con noi spettatori già irrimediabilmente persi nella sua malia - e su ritornelli sempre più incalzanti (ed un bridge di quelli che non si dimenticano mai), avvolti da una melodia anni ’70 il rapimento diviene estatico stupore in “Desire”. Al termine dell’ennesima perla che risponde al titolo di “Suzanne And I”, brano che pulsa di una sezione ritmica vivace ed assolutamente entusiasmante, l’incantesimo si compie del tutto, e lo stupore si trasforma in irrefrenabile amore.

Inutile, a questo punto, dire come la Calvi ricordi Nick Cave: entrambi non si sottraggono al gioco di fascinazione con l’oscuro, e la Nostra, come la più impavida Laura Palmer, non piega lo sguardo di fronte alla passione crescente del suo Bob. Quasi ci convince, la nostra Anna, di temere il Diavolo nel lamento straziato di “The Devil”, ma il rossetto non mente: la seduzione, quando fatale, sa essere più gustosa. Inutile, a questo punto, scrivere che la Calvi sia la nuova PJ Harvey: entrambe hanno questo modo di usare la voce per esprimere al meglio il loro femminino sempre e comunque tormentato, questa capacità di saper narrare storie di ordinaria dannazione con una modulazione vocale che ha dello stupefacente.

E’ tutto inutile, perché Anna Calvi riesce con estrema naturalezza laddove molte altre, prima di lei, hanno tentato e sempre in un qualche modo fallito: Killing Mood, Laura Marling, Joanna Newsom e persino Florence Welch, tutte donne che hanno provato ad utilizzare la carta del folklore americano e della fascinazione country settantina per poter veicolare pura emozione nel cuore di noi ascoltatori, ma sempre trovando una qualche sorta di ostacolo lungo il loro cammino. Non accade in questo caso, e per una volta si può seguire l'entusiasmo, ahimè spesso sin troppo facile, dei colleghi inglesi nel declamare la nascita di una nuova, fiammante, stella nel firmamento delle cantautrici più sanguigne e passionali che abbiano visto i natali nella terra di Albione.

Si potrà dire che la Calvi non sia il massimo dell’originalità, si potrà insinuare più di un dubbio sul vicolo cieco musicale in cui la Nostra rischia di accartocciarsi con una proposta già ampiamente spiegata dai fari guida citati in questa recensione, ma che tutto questo non fornisca l’alibi per non lasciarsi travolgere dall’esordio più folgorante dai tempi di Soap&Skin. Non mi stupirò, quindi, se al termine del disco vorrete premere di nuovo il tasto “play”, per ritrovarvi ancora una volta dispersi nel selvaggio West che pulsa nel cuore di questa donna tormentata. Perché in fondo, Anna, hai ragione tu: il desiderio è celestiale, ed è quasi sempre mosso dal diavolo che ci portiamo dentro.



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