Che li apprezziate o no, difficilmente i Primordial non lasciano nulla al loro passaggio. Al di là dei gusti personali, è impossibile infatti non cogliere l'anima fiera, genuina, incontaminata, che pervade ogni secondo della musica dei Primordial. I nostri sono tra le poche band che, seppur non dovessero incontrare i vostri favori, certamente non finirebbero in una triste cartella sul pc o un vago ricordo tra tante band passeggere; tale e tanta la personalità messa in mostra dai nostri in venti anni di carriera che il “tocco” dei Primordial, volente o nolente, rimane.
Un tocco che dopo il capolavoro “To the Nameless Dead” (datato 2007), rischiava di perdersi per sempre. Il meritato, ma evidentemente inaspettato, successo aveva portato gli irlandesi a confrontarsi con le lodi unanimi della stampa specializzata, a dover affrontare moltitudini di fan in faticose tournée che cominciarono a portare scompiglio negli equilibri della band, sdoganata dall'underground verso lidi sempre più “mainstream”. Le aspettative per il seguito, inizialmente fissato per il 2010, contribuirono a generare ulteriori tensioni, fino a quando, dopo un concerto tenuto ad Atene, definito dalla band “disastroso, il più punto più basso di tutti i venti anni di carriera”, la corda si spezzò: Simon O'Laoghaire fu allontanato dalla formazione, i propositi per il nuovo album furono messi da parte e iniziarono le audizioni. Audizioni infruttuose... La band senza Simon non sarebbe stata la stessa, “i Primordial erano più importanti dei singoli, si poteva continuare solamente con queste cinque persone”.
Un'introduzione lunga ma doverosa per chi non ne fosse al corrente, perchè questo vissuto non solo spiega molte cose del disco, ma ne permea ogni aspetto, guida l'ascoltatore in questi sessantatré minuti di musica come una sottile guida fatta di passione e sentimento. Un album in cui è la morte la protagonista assoluta, non un concept, ma una raccolta di visioni e riflessioni della band sull'argomento, analizzando anche le strutture spirituali che vi si intrecciano, come il sesso, la procreazione e Dio. Un lavoro che assume toni malinconici dunque, differente dal predecessore, interamente dedicato ai morti dimenticati e senza nome di tutte le guerre, dallo spirito più “battagliero” e straziante; “Redemption At The Puritan's Hand“ gioca più di fino, su un sottile equilibrio tra lo sconforto di accorgersi di essere “cibo per vermi e nient'altro” e qualche sprazzo di speranza che affiora a di tanto in tanto. Un sound che si adagia alle nuove atmosfere senza perdere le caratteristiche che hanno fatto grandi i Primordial, quell'epicità intrinseca che non ha bisogno di esagerazioni, camuffamenti, esibizionismo e tanti altri artifici che siamo soliti trovare nella cosiddetta scena epic/folk dei giorni nostri.
L'impianto sonoro è infatti quanto di più lineare si possa avere: le influenze black degli esordi ormai sono un ricordo, le strutture sono semplici, basilari, le melodie sempre molto chiare, di quelle che colpiscono immediatamente, l'andamento dei brani segue un filo logico comune in tutto l'album, senza troppe “sorprese”. Eppure tutto funziona, eccome se funziona. Basta lasciarsi trasportare dalla splendida voce di Alan Averill “Nemtheanga”, declamatoria, fiera, espressiva, dai pochi riff che si ripetono per lunghi minuti, dalla carica emotiva che i nostri riescono ad esprimere, costruendo qualcosa di profondissimo utilizzando pochi elementi di pregevolissima fattura. Uno stile difficilmente classificabile, ormai proprio dei Primordial, che fa del folk/celtic/pagan un tutt'uno con un doom/heavy che affonda le radici nella tradizione, ma che dimostra che quando si ha davvero qualcosa da dire, non serve essere innovativi a tutti i costi, la vera innovazione sta nel messaggio, nel modo di presentare le cose, nella passione e nella personalità con cui si fanno le cose.
E in “Redemption At The Puritan's Hand” di passione e personalità ce ne sono in quantità quasi imbarazzanti per gli standard odierni. Un disco da assimilare con pazienza, un blocco unico che non conosce cali di tono, uno di quei lavori da vivere, più che da ascoltare. Se siete alla ricerca di musica da disimpegno, festosa e a elevata gradazione alcolica, lasciate stare, qui si fa sul serio...
"Don't expect fantasy or escapism. No remorse, no regret."
Primordial
Redemption At The Puritan's Hand
2011, Metal Blade Records
Folk/Celtic Metal
Una lezione in musica, niente finzione, niente disimpegno. Qui si fa sul serio.
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 23/04/11 01.No Grave Deep Enough
02.Lain With the Wolf
03.Bloodied Yet Unbowed
04.God's Old Snake
05.The Mouth of Judas
06.The Black Hundred
07.The Puritan's Hand
08.Death of the Gods