Akercocke
Choronzon

2003, Earache
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 31/03/09

Choronzon non è un disco qualunque, questo è un lavoro che a mio modo di vedere o si ama o si odia. Nessuna via di mezzo, nessuna posizione neutrale, né tanto meno alcun compromesso. Del resto per gli albionici Akercocke queste parole devono essere decisamente sconosciute, dal momento che i nostri sono alfieri di un sound che non accetta né catalogazioni né schemi fissi per poter sprimersi.

Choronzon è così, un oscuro mosaico che mette a dura prova il giudizio degli ascoltatori. Ammirare l'importante quantità di idee riversate in ogni brano o denigrare un disco (apparentemente) privo di amalgama in cui è facile perdersi? Io sinceramente non mi sono mai posto la questione, preferendo abbandonarmi fra le spire avvolgenti di questo album, lasciandomi abbracciare dalla caleidoscopica Leviathan, perfetto esempio e supremo manifesto di come si possa suonare secondo diversi regimi per raggiungere poi un unico climax di emozioni ammorbanti o dall'elegantissima Goddess Flesh, un brano capace di conciliare ed amplificare tutti gli stati d'animo attraversati durante l'ascolto.

Non è una caso che mi stia soffermando sul lato emotivo di Choronzon, a mio avviso la giusta chiave di lettura per poter decifrare un disco che se affrontato nella maniera sbagliata non riesce a mostrare il profilo migliore di sé. Un compromesso tra la ferocia di The Goat Of Mendes e il raffinatezza esecutiva di Words That Go Unspoken, Deeds That Go Undone, Choronzon innalza ad un livello superiore la proposta che gli Akercocke avevano inaugurato con i due full-length precedenti, andando a confezionare brani più complessi, mandando a benedire (o meglio a maledire...) definitivamente qualsiasi rigida impostazione, migliorando notevolmente nella composizione e nell'esecuzione tecnica delle tracce in scaletta. Uno stile che annovera una sterzata decisamente più death metal rispetto al passato, ma che mantiene ed esalta le caratteristiche tipiche della band inglese, attraversando quindi tutto il panorama estremo, con una grande attenzione agli stacchi atmosferici, sottolineati da discreti ma essenziali inserti sinfonici ed elettronici, uniti dalla consueta aurea infernale ed esoterica insita nell'immaginario degli Akercocke.

Canzoni che non solo riescono a rapire la sfera emotiva, ma che spiccano anche per l'alta qualità esecutiva messa in mostra dai nostri, capaci di variare regime con una semplicità disarmante, riuscendo anche a ricucire meglio i salti che queste variazioni comportano e che avevano leggermente segnato The Goat Of Mendes. Praise The Name Of Satan inaugura il disco nel migliore dei modi, svariando dal black metal iniziale verso sfuriate brutal death e aperture sinfonico/atmosferiche per dar vita ad un brano davvero completo sotto tutti i punti di vista. La cosa più sorprendente è poi come tutto questo riesca a ripetersi per tutta la generosa durata dell'album, senza riproporre le stesse soluzioni in maniera differente, ma tessendo sempre nuovi riff e nuove partiture con altrettanti cambiamenti vocali da parte del frontman Jason Mendonca, qui ulteriormente migliorato. Dopo la gia citata Leviathan (splendida, a mio avviso la migliore del lotto), si passa dalla terremotante Enraptured By Evil alla teatrale Valley Of The Crucified -da pelle d'oca il primo minuto e mezzo, ascoltare per credere-. Superbo il lavoro delle chitarre della coppia Jason Menonca e Paul Scanlan, così come il supporto della sessione ritmica di Peter Theobalds al basso e dell'indemoniato David Gray a profilare pattern sempre fantasiosi e violentissimi. Difficile esprimere a parole tutte le sfumature di Choronzon, ammaliati dagli arabeschi iniziali di Bathykolpian Avatar, e sorpresi dalla mole di lucida cattiveria e maestria del terzetto composto da Scapegoat, probabilmente il pezzo più brutale e dal finale a dir poco incandescente, dalla sperimentale Son Of the Morning, ancora una volta buonissimo l'uso combinato di elettronica, noise e voce pulita e dalla mazzata finale Becoming The Adversary, quasi sette minuti di estremismo sonoro targato Akercocke. Chiude tutto la breve Goddess Flesh, a cui tocca il gravoso compito di ricucire con delicatezza le ferite provocate fino ad ora.

Finalmente supportati da una produzione all'altezza (il mixaggio è stato curato da Neil Kernon) e da una buona dose di raziocinio anche nell'inserire i tre brani rumoristico/strumentali, gli Akercocke riescono a porre il primo punto esclamativo di una carriera in piena evoluzione, con un disco ricchissimo, superato solo dall'ultimo Words That Go Unspoken, Deeds That Go Undone. Come la discinta ragazza ritratta nella cover, affrontare questo disco significa mettersi in viaggio verso un abisso barocco ed elitario, specchiarsi ed accorgerci che l'inferno non è poi così lontano. Giudicate Choronzon come volete, per me rimane nel suo genere un capolavoro.



1. Praise The Name Of Satan

2. Prince Of The North

3. Leviathan

4. Enraptured By Evil

5. Choronzon

6. Valley Of The Crucified

7. Bathycolpian Avatar

8. Upon Coriaceous Wings

9. Scapegoat

10. Son Of The Morning

11. Becoming The Adversary

12. Goddess Flesh

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