All Shall Perish
This Is Where It Ends

2011, Nuclear Blast
Death Metal

Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 02/08/11

Quando scoprii gli All Shall Perish, ormai più di cinque anni fa, in concomitanza della pubblicazione di quel “The Price of Existence” che tuttora reputo il miglior parto dei californiani, ero convinto di aver trovato uno dei pochi gruppi in grado di portare aria fresca in una scena metal estrema sempre più stantia e poco propensa ad offrire realtà interessanti. Tuttavia, un paio di anni dopo, tutte le impressioni positive subirono un arresto con l’ascolto di “Awaken The Dreamers”, disco con pochi alti e molti bassi, che il più delle volte ho faticato ad ascoltare per intero. Beh, un passo falso può capitare, quindi mi è sembrato più che giusto dare una possibilità ai nostri data l’imminente la pubblicazione della loro quarta fatica “This Is Where It Ends”, ancora una volta sotto Nuclear Blast.

Nell’analizzarlo innanzitutto balza all’occhio che la line-up ha subito due importanti cambiamenti: lo storico Matt Kuykendall è stato sostituito da Adam Pierce dietro le pelli mentre il ruolo di lead guitarist è passato da Jason Richardson a Francesco Artusato. Per quanto riguarda lo stile invece quest’ultima fatica degli All Shall Perish evidenza una riscoperta di sonorità più veloci e melodiche rispetto a quanto mostrato nel penultimo album, fin troppo incentrato su un abuso di noiosissimi mid-tempo e breakdown. Sicuramente ci troviamo davanti ad un album che quindi segna un miglioramento deciso rispetto al recente passato, sia per la propria varietà stilistica (per gli standard del genere ovviamente) che per l’indubbia qualità di buona parte del songwriting, ispirato e a tratti davvero coinvolgente.

Tuttavia non sono solo rose e fiori: i primi due dischi della band hanno comprovato che le potenzialità della band sono più alte di quanto ci mostrano in “This is where it ends”, che è senza dubbio dotato di canzoni di ottima fattura (“There is Nothing Left”, “The Past Will Haunt Us Both” e “Royality into Exile”  su tutte) ma anche momenti in cui la noia la fa da padrone, caratterizzati o da una violenza random che ci lascia più sbadigli che altro o da rallentamenti più tediosi che affascinanti. Insomma vien da dire che piuttosto che pubblicare un disco di 53 minuti di cui un quarto d’ora è trascurabilissimo era meglio avere il classico full – length da sì 40 minuti scarsi, ma con una qualità media più alta.

Ad ogni modo sarebbe ingiusto non premiare questi ragazzi di Oakland con una sufficienza abbondante, dato che il disco, pur restando come detto lontano dai livelli toccati in passato e non apportando niente di sostanzialmente nuovo, rappresenta comunque un netto miglioramento rispetto al suo predecessore. Speriamo sia un nuovo punto di partenza per gli All Shall Perish.



01. Divine Illusion
02. There Is Nothing Left
03. Procession Of Ashes
04. A Pure Evil
05. Embrace the Curse
06. Spineless
07. The Past Will Haunt Us Both
08. Royalty Into Exile
09. My Retaliation
10. Rebirth
11. The Death Plague
12. In This Life Of Pain

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool