Edu Falaschi
Almah

2007, AFM Records
Heavy Metal

Recensione di Gaetano Loffredo - Pubblicata in data: 05/04/09

Tra la miriade di progetti solisti che sovraccaricano il mercato discografico, segnaliamo l’esordio del brasiliano Edu Falaschi che, agevolato dal trampolino di lancio messo a disposizione dalla casa madre, gli Angra, si è attivato per reclutare strumentisti di una certa rilevanza e dare vita alla sua personale creatura.
Mi riferisco alla formazione base, composta dal batterista dei Kamelot, Casey Grillo, dal chitarrista dei Nightwish, Emppu Vuorinen e dal bassista degli Sratovarius, Lauri Porra, senza dimenticare Mike Stone (Queensriche) ed Edu Ardanuy (Dr. Sin) presenti in qualità di ospiti di lusso.

E’ bene evidenziare che Almah, questo il titolo del disco, fa parte di un programma che sconfina nei territori extrateatrali e, prendete nota, esplora una dimensione fino ad ora mai attraversata dagli stessi Angra.

Almah è un viaggio immaginario tra suoni, colori e musiche che hanno accompagnato Edu Falaschi nei sentieri sin qui battuti; Almah è una caratteristica intrinseca dell’uomo sensibile che ha una concezione profonda del proprio essere e dei propri sentimenti. Un intimo manifesto utile al ragazzo per sussurrare al mondo quanto di bello ci sia nelle piccole cose della vita quotidiana. Questo è, sinteticamente, il messaggio finale.

Falaschi ha acquistato una serie di doti  importanti: non più interprete delle emozioni altrui ma, voce, testo e strumento delle proprie.
Undici episodi incentrati sulla ridondanza dei cori, undici episodi assai differenti l’uno dall’altro dove spiccano melodie di chitarre riverse, accompagnamenti fingerpicking in acustica, chitarre pulite con delay, ritmi new-metal, selvaggio power e momenti di estrema distorsione.
La sensazione del “di tutto un pò” è la costante di questo Almah; dispersivo se giudicato nella sua totalità, godibile se inalato a piccole dosi.
King, Children of Lies, Take Back Your Spell e Scary Zone sono i titoli dei brani più effervescenti, ibridi che scaturiscono da rabbia mista sinfonia, passaggi che vengono parzialmente oscurati dalla scarsa resa produttiva di Adriano Daga che, stento quasi a credere, ha vinto un Grammy Award nel 2005 e ha già lavorato con artisti del calibro di Silverchair e Lenny Kravitz. Che sia il caso di contattare un produttore afferente alla scena heavy Edu?

Il National Brazilian Gospel Choir è l’altra faccia della medaglia e, non a caso, esalta e fa risaltare oltremodo le malinconiche Forgotten Land, Primitive Chaos e la conclusiva Almah, pezzi lenti e ardenti, canzoni concepite ora come “sollievo”, ora come “terapia”. Indice di crescita artistica?
 
Almah è un disordinato riassunto di tante buone idee. Edu Falaschi è nel bel mezzo della cosiddetta “fase di costruzione” e non basta l’ottima prestazione vocale per un disco nel quale si contano numerose falle, prima fra tutte una struttura base poco dettagliata e impostata in modo superficiale.
Sarà anche l’inizio di una lungimirante carriera solista, per ora siamo alle prese con un disco pretenzioso e riuscito soltanto a metà.




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