Kate Bush
Fifty Words For Snow

2011, EMI
Jazz

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 23/11/11

L'uscita di un nuovo full length di Kate Bush è sempre un evento di portata non indifferente. L'artista inglese, scoperta e coltivata da David Gilmore sul termine degli anni 70, con la sua potente voce da soprano e il suo stile eccentrico sia nel comporre le proprie canzoni che nel presentarsi al pubblico, ha conquistato in oltre trent'anni di carriera il cuore di milioni di persone in tutto il globo terracqueo, meritandosi senza troppe discussioni il titolo di Regina del rock. Lo scoppiettante esordio con l'ormai celeberrima "Wuthering Heights", a neanche vent'anni di età, ha segnato un'epoca: in un momento in cui il punk esplodeva nel Regno Unito, la "diversità" e la particolarità di Kate Bush hanno sicuramente dato una spinta alla sua carriera, benché, con un padrino d'eccezione come un membro dei Pink Floyd, le cose non avrebbero potuto andare diversamente. Nel corso degli anni la signora Bush si è dedicata anima e corpo alle proprie composizioni, senza imbarcarsi in tour come tanti altri colleghi, ma concentrandosi unicamente sulla propria musica. Potevano passare anni tra un disco e l'altro, ma negli anni 80 (decennio particolarmente propizio per la musica, considerata la grandissima varietà di proposte) l'Inglese ha sfornato grandissimi capolavori. Poi qualcosa è cambiato, il ritmo è calato e le uscite discografiche si sono rarefatte, tant'è che questo "Fifty Words For Snow" giunge a noi a sei anni dal precedente "Aerials", datato 2005 - anche se quest'intervallo di tempo sembra quasi una facezia, dato che tra "Aerials" e il precedente "The Red Shoes" trascorsero ben dodici anni.

 

Ma veniamo al presente: "Fifty Words For Snow" segna la seconda uscita della Bush per questo 2011, cosa che non accadeva dal 1978. Nei mesi scorsi è stato infatti pubblicato "Director's Cut", un album contenente alcune rivisitazioni di pezzi originariamente inclusi in "The Sensual World" e "The Red Shoes". Alle orecchie dell'ascoltatore questa nuova uscita si presenta come qualcosa di differente. È un album intimo, cupo, minimale. Il pianoforte è il re di queste sette canzoni, tutte di lunghezza considerevole. Le composizioni hanno un che di gelido, nel senso che trasmettono sensazioni di freddo, quasi ci si trovasse nel bel mezzo di una tempesta di neve. Non siamo di fronte all'art rock che ci si potrebbe aspettare da Kate Bush e forse alcuni fan potranno rimanerne spiazzati, ma abbiamo per le mani un disco di ottimo cold jazz come non se ne sentivano da qualche anno. Il sound si mantiene compatto e organico, pur con le necessarie e accortissime variazioni atte ad evitare lo spettro della noia e della ripetitività, per tutti i 65 minuti di durata dell'album, rendendolo facilmente identificabile come una suite, una unica canzone divisa in capitoli più brevi. Tutto ciò porta ad una continuità emozionale ammirevole, raramente riscontrabile nella musica moderna.

 

Nato da una riflessione sul mito secondo cui il vocabolario della lingua Inuit possegga ben cinquanta parole per descrivere la la neve, questo decimo full length porta il marchio della sperimentazione più estrema, con elementi fortemente contrastanti accostati all'interno di composizioni molto coraggiose, estremamente particolari ed evocative, sia sul fronte musicale che per quanto riguarda i testi. Un esempio più che lampante è "Snowflake", biglietto da visita dell'album. Piano, voci e poco altro: un brano che "gela il sangue nelle vene" nel significato letterale del termine. In duetto con il figlio Albert, membro di un coro di voci bianche, Kate Bush dipinge un paesaggio innevato che è solo una piccolissima porzione del grande quadro che si viene a formare ad ogni secondo che passa. Come in un notturno di stampo classico, le note sono tenute lunghe in un effetto di morbidezza e di impalpabilità, come quello creato dai fiocchi di neve. L'azzardato accostamento con una voce bianca fa risaltare la voce più pulita e matura della Bush, che ha raggiunto negli anni livelli di drammaticità forse ineguagliabili in ambito pop rock. Più vario è invece il seguente "Lake Tahoe", brano in cui si presentano ulteriori elementi oltre al piano e alle voci. La batteria dal sapore di world music e i cori quasi da canto liturgico sostenuti da una piccola ma incisiva sezione d'archi, accompagnano il piano e la voce in un lunghissimo viaggio sulle rive di un lago, un luogo freddo e umido, quasi sgradevole, caratteristica enfatizzata da alcune sequenze di note che, a rigor di teoria musicale, non dovrebbero risultare piacevoli all'orecchio. Il contesto però rende questi attimi di teorica cacofonia necessari, proprio perché la comunicazione emotiva richiede alle volte attimi poco piacevoli.

 

Ma la prima delle tante sorprese di questo "Fifty Words For Snow" è "Misty", terza traccia dell'opera. Quasi come in una fotografia, ci vengono mostrati momenti molto intimi tra due persone, ma l'immagine è fuori fuoco, nebbiosa, ma tratti si schiarisce e in questi tratti la musica si alza di tono, diventa dirompente e fortemente emozionale. La grande potenza della canzone sta di fatto nel passaggio quasi continuo tra momenti più altisonanti, con gli archi a pieno volume che rubano la scena, a momenti più intimistici e di pura narrazione. La batteria soffusa, tremendamente jazz, accompagna un piano mantenuto quasi sempre di molto sotto al Do centrale, accostamento che dà quasi l'idea di sofferenza e paura, la paura della donna protagonista della storia narrata nelle liriche di perdere il proprio amato, che vede scivolare via da lei come un pupazzo di neve si scioglie al sole.

 

Si cambia invece stile con "Wild Man". Una chitarra acustica fa capolino, l'atmosfera si fa molto più da jazz club vecchio stile, un'aria a metà tra il fumoso e l'indefinito. Chitarra e percussioni la fanno da padrone, non solo come sezione ritmica ma soprattutto come fautrici della melodia. In un momento molto raro oltretutto, sentiamo la Bush cimentarsi con note più basse del suo solito. La sua voce è un sussurro sensuale nelle strofe, la sua piena potenza è espressa solo nel ritornello, accompagnata da una seconda. In questa canzone incentrata su un ipotetico incontro tra un gruppo di escursionisti e uno Yeti in Himalaya, la Bush dona ad una leggenda vecchia come il mondo un nuovo tono, quasi da colonna sonora, trasformando una "favola" in un racconto vero ed emozionante.

 

Giungiamo quindi a "Snowed In At Wheeler Street", brano che segna un ulteriore variazione del tema e incanta l'ascoltatore fin dai primi secondi. Splendido duetto con Elton John, le cui liriche narrano la storia di due persone che si incontrano più volte attraverso i secoli, due amanti che si perdono e si ritrovano reincarnandosi ogni volta in persone diverse, ma sempre capaci di riconoscersi. Vengono citati numerosi eventi della storia, (l'incendio di Roma, la Seconda Guerra Mondiale, l'11 Settembre) e vari luoghi (Parigi, Londra, New York, Wheeler Street) dove i due amanti si sono incontrati e persi, fino a riconoscersi un'ultima volta e decidere di rimanere insieme per sempre. Piano e synth si intersecano nel creare la melodia di supporto, benché tutta l'architettura, estremamente complessa, della canzone si regga principalmente sulle basi date dalle due voci. Brano minimalistico nella realizzazione ma di forte impatto per via del crescendo finale nella quale i vari elementi si fondono insieme per un'esplosione che mette i brividi.

 

La title track "Fifty Words For Snow" è un particolare esperimento in cui affiorano le radici più rock di Kate Bush. Di fatto torniamo a sentire le chitarre elettriche, il ritmo si fa più sostenuto e quasi marziale. I synth vengono rimessi in primo piano e si hanno reminiscenze di brani più datati, mentre ancora una volta le voci (gli appassionati di cinema e teatro inglese potranno riconoscere facilmente la voce di Stephen Fry che recita le cinquanta parole, alcune inventate dalla stessa Bush) si prendono la responsabilità di sorreggere la tutta la struttura. Un esperimento azzardato, al limite dell'ossessivo, soprattutto per il rullio incessante della batteria e per i frequenti stacchi tra le strofe e il ritornello, che prendono alla sprovvista l'ascoltatore e lo lasciano stordito. Con "Among Angels" si ritorna, come in una composizione ad anello tanto amata dai poeti ottocenteschi, all'inizio, con piano e voce e poco altro. Pezzo in cui il piano è totale protagonista, riporta l'ascoltatore a casa dopo un lungo viaggio. Per riprendere la metafora del quadro che viene dipinto davanti ai nostri occhi, "Among Angels" pone le ultime pennellate e gli ultimi tocchi di colore per pacare gli animi. Dopo l'inserimento di una piccola sezione d'archi, che di tanto in tanto esce dalle quinte per farsi sentire con più forza, volge al termine, ovvero con qualche secondo di necessario silenzio.

 

"Fifty Words For Snow" è un album potente. Emozionale. Emozionante. Una miriade di sensazioni differenti e contrastanti si formano nell'ascoltatore, a volte sensazioni estreme, come può accadere con "Snowflake" o "Misty". Ogni nota e permea di un freddo raggelante, di una cupa malinconia che si esprime attraverso il pianoforte e la voce. Tra artista e ascoltatore si instaura una forte connessione, tramite la quale Kate Bush comunica quasi a filo diretto. Parla e racconta, descrive e dialoga, quasi avessimo di fronte non solo un'opera musicale ma un intero film di cui questa è soltanto la colonna sonora. Forte di una sensibilità incredibile nei confronti del mondo, Kate Bush ricrea un piccolo mondo innevato, poco illuminato, soffice ed effimero come quello della neve che cade, quando tutto si ferma e guarda fuori dalla finestra i piccoli fiocchi di acqua ghiacciata che scendono fluttuando dal cielo plumbeo.

 

Forse il suo disco più maturo, più emotivo, di certo il più travolgente. Sicuramente il livello raggiunge quello degli antichi fasti di "Hounds Of Love" e "The Dreaming", sebbene si parli di generi completamente agli antipodi. Ciononostante, si può affermare con assoluta certezza che Kate Bush abbia centrato un bersaglio particolarmente arduo da colpire, e che lo abbia fatto con il suo stile unico e inimitabile. Di certo questo non è un album semplice, richiede molta concentrazione per essere capito, e non si può pretendere di comprenderlo appieno solo dopo un primo, distratto ascolto. "Fifty Words For Snow" Richiede una certa concentrazione e disposizione d'animo per riuscire ad entrare nell'ottica della sua complessa semplicità, soprattutto in virtù del suo essere così diverso da quello che ci si potrebbe aspettare dall'artista.

 

Certo è che, nel bene e nel male, l'ultima fatica discografica di Kate Bush lascia il segno. Anche solo per i brividi che riesce a trasmettere.





01. Snowflake
02. Lake Tahoe
03. Misty
04. Wild Man
05. Snowed In At Wheeler Street (feat. Elton John)
06. 50 Words For Snow (feat. Stephen Fry)
07. Among Angels

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