Savatage
Streets: A Rock Opera

1991, Atlantic
Heavy Metal

Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 22/03/12

Recensione a cura di Erika Baini

L’immensa memoria musicale che ci offre il passato è intrisa di ricordi, emozioni, immagini, suggestioni condensate in semplici capolavori che senza pretese sono diventate vere e proprie pietre miliari. Inserendo la mano all’interno di questo mare magnum ritroviamo con tanta gioia ma anche con un velo di malinconia una bellissima storia ricca di successi, gioie ma purtroppo anche di dolori e sogni infranti: una storia che ha nome Savatage. La band statunitense capitanata dal “Mountain King” Jon Oliva, seguendo le orme maestre di Judas Priest, Black Sabbath e Iron Maiden, ha sfornato la bellezza di dodici fantastici gioiellini aggiudicandosi ben presto posto fisso nel novero di coloro che hanno lasciato una traccia inossidabile nella storia dell’hard and heavy. Rimane comunque un arduo compito scegliere quale sia l’album con il quale la band abbia dato vera e propria prova di sé, data la ricercata e sofisticata sperimentazione musicale che attraversa l’intera discografia. Di fronte a tale dilemma non ci resta altro che eleggere “Streets: A Rock Opera” a emblema della storia dei Savatage.

L’album datato 1991 costituisce il punto di svolta per la band statunitense e spalanca le porte a una lunga stagione rock/operistica iniziata nel 1987 con “Hall Of The Mountain King” e culminante nell’attuale Tran-Siberian Orchestra. “Streets” assieme ai precedenti “Gutter Ballet” (1989) e “Hall Of The Mountain King” (1987) si configura appunto come una vera e propria suite musicale (dalla tessitura melodica fino all’organizzazione dei testi atti a creare un concept album) in cui la fusione tra l’heavy metal e il sinfonico viene portata a compimento raggiungendo la sua vetta più alta; le ritmiche serrate ed essenziali che connotavano i primi lavori “Sirens” (1983), “The Dungeons Are Calling” (1984), “Power Of The Night” (1985) e “Fight For The Rock” (1986) depongono le loro armi per lasciare spazio alla magia del pianoforte e a infallibili orchestrazioni sempre più in crescendo (come anche i cori). “Streets” sarà anche il penultimo lavoro con il quale Criss Oliva, fratello del Mountain King Jon, potrà dar prova della sua maestria nel dimostrar di saper vivere appieno un rapporto intenso la sua chitarra, instaurando con essa un dialogo biunivoco: Criss purtroppo perderà la vita in un tragico incidente stradale durante una maledetta notte dell’ottobre 1993. Da quel triste momento quel fantastico sogno chiamato Savatage, nonostante l’inserimento di musicisti eccezionalmente dotati come Al Pitrelli (Alice Cooper band, Megadeth) e Alex Skolnik (Testament), non sarà più lo stesso: perdendo Criss è stato come perdere una delle menti e dei musicisti chiave per la band, nonché un amato fratello.

Un destino avverso quello che è venuto incontro ai Savatage giocando le carte in maniera meschina ma che tuttavia non ha tolto la voglia di sperare e continuare a credere nella musica; un destino affine a quello del protagonista del concept “Streets” che da spacciatore di droga ma con una passione segreta per la musica (dal nome DT Jesus ovvero Gesù dei bassifondi) diventa una rockstar di successo. Purtroppo la vita nel paese dei balocchi dura poco per DT che ben presto sprofonda di nuovo nell’abisso della tossicodipendenza. Tutto sembra finire quando il road manager Tex riorganizza il suo ritorno sulle scene. Ma anche questa volta il fato gli si ritorce contro: lo spettro della dipendenza gli si ripresenta in carne ed ossa uccidendo Tex, la persona più cara a DT Jesus e in cui riponeva ogni fiducia. Ora per il nostro Gesù dei bassifondi è veramente tutto terminato; piange, vaga senza una meta e alla fine si mette a pregare in attesa di un possibile segno da lassù. Posto sul filo di un rasoio, soppesando la possibilità di ributtarsi o meno nel mondo della droga, trova sulla strada un anziano senzatetto, morente e abbandonato da tutti. Così DT gli si inginocchia dinnanzi e stringendogli la mano gli dice che non è più solo; il vecchio muore e avvolto in un fascio di luce esce dal suo corpo esanime lo spettro di un bimbo che dopo essersi posato sull’orlo di un edificio si gira per l’ultima volta verso DT sorridendogli. Il fantasma del piccolo se va per sempre dissolvendosi in un alone soffuso di luce. Così DT ritrovando pace in se stesso torna a casa e capisce che è arrivato il momento di credere davvero.

Si parte dalle voci bianche del Metropolitan Opera Children Choir di “Streets” per farci trascinare in medias res in un roccioso e sferzante riff di apertura in “Jesus Saves” affidato alle chitarre urlanti e violentate di Criss Oliva. Torna la tranquillità imbevuta di una drammatica quiete con “Tonight He Grins Again” nella quale è il piano a farsi largo ma che in “A Little Too Far” diventa unico indiscutibile padrone. Come un fulmine in ciel sereno ecco che risplende la gioia di vivere con “You’re Alive” in cui i giochi di ritmica chitarristica si rincorrono giocosamente a un drumming sostenuto per poi contrastare in “Sammy and Tex”: non c’è tregua da entrambe le parti ma solo un pugnale squarcia una tela. Si passa attraverso l’intimismo lirico di “St. Patrick’s” in cui prende voce una preghiera da cui scaturisce amarezza, rabbia e rassegnazione per approdare al pieno surrealismo dettato dall’atmosfera tempestosa di “Can You Hear Me Now”. Giri di basso insistenti e martellanti rispondono alla dolcezza acustica introduttiva di “New York City Don’t Mean Nothing” affondando poi nella piena disperazione degli spiriti senza pace che prendono vita nei cori di “Ghost In The Ruins”. Ad un certo l’amore sembra prendere sopravvento per una momentanea consolazione dettata dalle dolcissime note di piano sposate a preziosi riff melodici ricamati in una delle più belle ballad dell’heavy metal, “If I Go Away”.  Arriva però “Agony And Ecstasy” a spazzare via tutta la positività precedente lasciando spazio a un senso di panico reso perfettamente dalla ritmica serrata ma d’improvviso tutta la furia tempestosa si trasforma in quiete regalandoci un bellissimo connubio piano, voce solista e cori di voci bianche come sfondo in “Heal My Soul”. “Somewhere In Time” prepara al meraviglioso e struggente finale in cui la storica “Believe” mostra sotto i nostri occhi che il momento di credere è davvero arrivato, anzi non è mai venuto meno: “I’ll be right there, I’ll never leave, and all I ask of you is Believe”.



01. Streets
02. Jesus Saves
03. Tonight He Grins Again
04. Stranger Reality
05. A Little Too Far
06. You're Alive
07. Sammy And Tex
08. St. Patrick's
09. Can You Hear Me Now
10. New York City Don't Mean Nothing
11. Ghost In The Ruins
12. If I Go Away
13. Agony And Ecstacy
14. Heal My Soul
15. Somewhere In Time
16. Believe

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