Cambio di etichetta ma medesimi risultati per gli ungheresi Ektomorf con questo nuovo What Doesn't Kill Me..., il solito disco facile da ascoltare, che passa svelto nel lettore, per poi difficilmente tornarci nuovamente.

Il buon Zoltan non rinuncia neanche stavolta a tributare il suo mentore Max Cavalera, prendendo in prestito il timbro vocale, e lo stile che ha reso unico l'artista brasiliano. Paradossalmente non ci sarebbe altro da dire su questo lavoro, se non che gli Ektomorf, arrivati alla soglia dell'ottavo disco in studio, sono diventati un qualcosa che più prevedibile non si può, buoni musicisti che però non se la sentono proprio di abbandonare le ali protettrici di Max e cercare di camminare con le proprie gambe.

What Doesn't Kill Me... ripropone il solito pastone di thrash “modernizzato”, con discreti elementi tribali e dosi abbondanti di groove, sfornando canzoni snelle e dal songwriting elementare. L'unica novità di questo disco, è una certa propensione verso sonorità vicine al rock puro, con il risultato di rendere leggermente diversificata la tracklist, alternando canzoni più aggressive, ad altre dal piglio meno asfissiante. Nonostante tutti gli sforzi dei nostri, e la buonissima produzione a cura di Tue Madsen, questo lavoro denota gravi mancanze di idee, tanto da rendere ostico l'ascolto per intero del cd, riuscendo a dare il meglio solamente sulla brevissima distanza, almeno fino a quando non ci si è stancati del medesimo canovaccio che i nostri condiscono via via in maniera apparentemente diversa.

Difficile la vita per chi fa di un artista e di un “filone” particolare la propria guida, quando l'artista di riferimento stesso sta cominciando a pagare dazio dopo anni di militanza, continuando a citare se stesso ad ogni occasione. Passate oltre senza indugiare.