Jeff Loomis
Plains of Oblivion

2012, Century Media
Prog Metal

Un guitar hero alla portata di tutti. O quasi...
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 20/04/12

“Oh no, un nuovo disco solista di un guitar hero! Sarà una sbrodolata ipertecnica per chitarristi... Una gara a chi suona più veloce... Inappuntabile ma freddo...”. Siamo sicuri che alla notizia del nuovo album di Jeff Loomis molti avranno pensato queste cose, memori di migliaia di colleghi (anche illustri) che, in effetti, sono caduti nel trappolone, e, senza andare troppo lontano, del debutto del biondo crinito ex Nevermore, “Zero Order Phase”, davvero un disco per “addetti ai lavori”.

Pensare la stessa cosa di “Plains of Oblivion” significherebbe ragionare per schemi fissi o avere le orecchie foderate di amianto. A memoria l’unico eroe metallico della chitarra non canonizzato (per intenderci, un non G3), a scampare il pericolo è stato Kiko Loureiro (Angra), da sempre votato alla musicalità, a cui si aggiunge ora il buon Jeff, che deve aver capito che il suo pubblico sa perfettamente quanto sia mostruoso alle sei (o sette) corde e che forse era arrivato il momento di far vedere che, anche da solo, poteva mettere in piedi canzoni vere e proprie, senza rinunciare alle shredding. Non che prima le composizioni di Loomis non lo fossero, ma il salto qualitativo e concettuale in “Plains of Oblivion” è netto, il che depone tutto a favore della comprensione e della piacevolezza d’ascolto.

La base “nevermoriana” c’è, segno ulteriore che gran parte dei meriti della band provenivano dalle vorticose dita del chitarrista, ma c’è anche un’importante pulsione prog, unita a una vena melodica che non ha paura di mostrarsi in mezzo ai muri sonori eretti amabilmente dal produttore Aaron Smith. Un disco molto vario, che non offre solo spunti di tecnica impressionante, ma anche frangenti in cui è l’emozione l’unica protagonista in campo, in un continuo sali/scendi che rende “Plains of Oblivion” un disco fatto da un guitar hero alla portata di tutti o quasi. Certo, bordate come “Mercurial”, “The Ultimatum” o “Escape Velocity” non tradiscono l’estrazione di Loomis: tonnellate di note e assoli a perdita d’occhio, supportato da due fenomeni come Marty Friedman e Tony MacAlpine. Ammettendo di non aver colto la bellezza dell’opera sino a qui (anche se non accorgersi dell’assolo di MacAlpine nel secondo brano è da rischio penale), la tracklist corre in aiuto ai più scettici, offrendo tre brani cantati, piazzati saggiamente a intervalli quasi regolari, che non solo stemperano la furia ipertecnica del disco, ma ne aumentano le sfaccettature. Si passa da un brano che più Nevermore non si può, “Tragedy And Harmony”, alla struggente power ballad “Chosen Time” (in entrambe un’ottima Christine Rhoades fa le veci di Warrel Dane), passando per “Surrender”, brutalizzata dall’intervento di Ihsahn.

Un album convincente in tutto e per tutto, senza punti deboli o forzature, ogni brano è incredibilmente strutturato e rifinito, in grado di soddisfare orecchie diverse: chi cerca il virtuosismo, il dinamismo, la linea melodica, il sentimento, la violenza... Per questo possiamo dire senza timore che il buon Jeff ha centrato il segno. Finalmente un disco non per musicisti, ma per amanti della buona musica... Con un piccolo sforzo, “Plains of Oblivion” non risulterà affatto la cima ostica che appare in copertina, ma un lavoro riuscitissimo di un grande chitarrista e di una line-up da primi della classe.



01. Mercurial (feat. Marty Friedman)

02. The Ultimatum (feat. Tony MacAlpine)

03. Escape Velocity

04. Tragedy And Harmony (feat. Christine Rhoades)

05. Requiem For The Living (feat. Attila Vörös)

06. Continuum Drift (feat. Chris Poland)

07. Surrender (feat. Ihsahn)

08. Chosen Time (feat. Christine Rhoades)

09. Rapture

10. Sibylline Origin

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