Hate Eternal
I, Monarch

2005, Earache
Death Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 28/03/09

I, Monarch va ad aggiungersi al nutrito numero di eccellenti dischi di metal estremo che hanno visto la luce in questo 2005. A gruppi come Nile, Origin, Cephalic Carnage ecc...gli Hate Eternal rispondono con un full-lenght a dir poco devastante, impartendo l'ennesima lezione di violenza.

Giunti al terzo lavoro in studio, sembra definitivamente chiarito il corso musicale che il leader e fondatore Erik Rutan ha voluto impartire alla propria band: death metal brutale, che prescinde da evoluzioni troppo ardite, da strutture eccessivamente intricate o da "orpelli" che alleggeriscano la pesantezza dei brani. Quello che si potrebbe chiamare intransigenza, dedizione e coerenza alcuni potrebbero tacciarla come staticità e mancanza di idee. Del resto chi si accinge a comporre musica di questo tipo è spesso sottoposto a questa sorta di diatriba. In questo caso io sto dalla parte di chi giudica l'intransigenza sonora come un pregio, specialmente se questa viene espressa ai massimi livelli. Infatti le caratteristiche che contraddistinguono dischi del genere sono espresse in I, Monarch nel miglior modo possibile: riffing impenetrabile e claustrofobico, velocità d'esecuzione imbarazzanti, pattern di batteria precisissimi e vocals poderose unite al consueto sfoggio di tecnica e coesione fra i componenti del gruppo. Tutto questo però potrebbe non bastare per far apprezzare questo disco perchè in questi tre quarti d'ora circa di musica non c'è un momento di respiro e i ritmi si mantengono quasi costantemente a livelli iperveloci. Un disco che pesca a piene mani dal classico sound americano riproposto in una versione ancor più estremizzata. Certamente non è un disco per tutti, in quanto di per sè la proposta non ha nulla di innovativo e potrebbe annoiare più di un ascoltatore, in quanto volutamente monolitica. Mi permetto però di aggiungere che chi volesse sperimentazioni o divagazioni strumentali dagli Hate Eternal rimarrà costantemente deluso perchè i nostri evidentemente non hanno intenzione di cambiare direzione stilistica anzi, cogliendo il filo logico dei titoli dei lavori passati (Conquering The Throne e King Of All Kings), questi musicisti sembrano voler ergersi a paladini e dominatori della scena brutal senza alleggerire di un briciolo la propria musica.

Tutto questo preambolo per dire che I, Monarch è un lavoro pazzesco, dove nulla è lasciato al caso. Ogni singolo elemento sembra studiato al minimo dettaglio, incastonato all'interno della struttura dei brani in modo da eliminare ogni sbavatura o calo di tensione. Se nei dischi passati del gruppo la voglia di estremizzare il più possibile il sound aveva prevalso sul processo di song-writing, in questo terzo album è stato compiuto un consistente passo in avanti. Le tracce sono ben distinguibili l'una dall'altra, ognuna dotata di un particolare mood tale da non disperdersi all'interno del disco. Rutan riesce nel difficile compito di scrivere riff dalla violenza spropositata donandogli quella giusta dose di variabilità e senso logico necessari per la buona stesura di un disco. Come non sottolineare poi la prova del batterista Derek Roddy con una prestazione annichilente. Il suo drumming è uno dei più veloci mai sentiti, espresso per la maggior parte del tempo in blast-beat e raffiche di doppia cassa impressionanti; uno stile diretto e preciso che si è arricchito di qualche variazione in più rispetto al passato (anche se i ritmi forsennati delle ritmiche non consentono grandi "fuori programma"). A completare il terzetto vi è il nuovo entrato Randy Piro al basso, il cui apporto è notevolmente nascosto dalla produzione del disco.

A dimostrazione dello sforzo di indirizzare la brutalità verso una "forma canzone", più elaborata rispetto al passato, sono poste in apertura due dei migliori brani in scaletta: Two Demons e Behold Judas. Canzoni in cui è davvero in cui è difficile trovare qualcosa di criticabile. La band si esprime al meglio, districandosi al meglio fra i tempi sostenutissimi e variazioni spezzacollo. Anche il growl di Rutan è più incisivo e l'utilizzo di acidissime backing vocals è quantomai indovinato. In un disco che fa della compattezza una sua principale caratteristica è quasi inutile voler fare un'analisi traccia per traccia, anche se non mancano le sorprese. Ad esempio la title-track, sorretta da uno dei riff più lenti ed ossessivi dell'album, è un macigno opprimente, in To Know Our Enemies troviamo un inconsueto didjeridoo sul finale di canzone, che unito all' assolo di Erik, crea una parentesi evocativa molto ben riuscita. Un tema che viene riproposto anche nella nona Sons Of Darkness, con un breve inserto di percussioni tribali. Discorso a parte merita la conclusiva Faceless One, una traccia strumentale dove per la prima volta i nostri mettono in secondo piano la velocità d'esecuzione a favore di soluzioni più aperte e dal buon gusto melodico.

Ci troviamo quindi di fronte ad un buonissimo disco, non di certo un capolavoro; a tal proposito sembrano leggermente fuori luogo le dichiarazioni del gruppo stesso apparse sul sito ufficiale che dimostrano comunque quanto gli Hate Eternal siano pienamente soddisfatti dell'album. In effetti anche dal punto di vista della produzione, curata dallo stesso Erik Rutan, si sono raggiunti livelli di eccellenza per il genere. Il suono è incentrato principalmente sulle chitarre e batteria. Un suono preciso ed estremamente potente che mantiene quella "sporcizia" che non può altro che giovare. La batteria ha un suono caldo, ben lontano dall'abuso di trigger o effetti particolari, con ogni pezzo del set perfettamente distinguibile. Unica nota negativa è il basso che rimane affogato e quasi sempre in secondo piano.

In conclusione posso dire che con questo I, Monarch gli Hate Eternal possono definitivamente imporsi come uno dei gruppi più importanti della scena e togliersi di dosso la nomea di essere allievi di altri gruppi più blasonati senza tener conto del talento effettivo di questa formazione. Spero, che con disco come questo, un grande chitarrista come Erik Rutan possa essere ricordato ed apprezzato come leader degli Hate Eternal piuttosto che per la sua militanza in passato in un gruppo fondamentale come i Morbid Angel. Un album dalla violenza genuina e dai contenuti tecnici assoluti che consiglio a tutti coloro che cercano buona musica, senza badare troppo ad evoluzioni e stravolgimenti di un genere, il brutal, che quando suonato come si deve non ne ha bisogno. Prendere o lasciare.



01. Two Demons    
02. Behold Judas    
03. The Victorious Reign    
04. To Know Our Enemies    
05. I, Monarch    
06. Path to the Eternal Gods    
07. The Plague of Humanity    
08. It Is Our Will    
09. Sons of Darkness    
10. Faceless One   

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